Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6503 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 229/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, NOMECOGNOME, domiciliate per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DELL’ENTRATE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliati per legge in ROMA alla INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO, domiciliazione telematica in atti
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 375/2023 depositata il 25/05/2023.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 13/01/2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I coniugi NOME COGNOME avvocato, e NOME COGNOME curatrice fallimentare, vennero tratti a giudizio dinanzi al Tribunale penale di Perugia per rispondere dei reati reiterati di appropriazione indebita e falso, commessi, dal 1994 e fino al 2004 circa, in relazione a numerose procedure fallimentari presso lo stesso Tribunale di Perugia, mediante la falsificazione di mandati di pagamento certificati con apposizione di timbri del detto Tribunale e conseguente incasso di ingenti somme di denaro, rivenienti dalle dette procedure concorsuali.
All’esito del processo penale, svoltosi con rito abbreviato, entrambi vennero condannati, dal giudice per l ‘udienza preliminare del detto Tribunale, con sentenza del 11/03/2005 alla reclusione (la pena all’esito del complesso svolgimento dele diverse fasi del giudizio risulterà determinata in quattro anni di reclusione ciascuno di cui tre condonati) e al risarcimento, in solido, dei danni, da liquidarsi in sede civile, con concessione di provvisionale di cinquantamila euro in favore delle parti civili, quali il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.
La sentenza penale di condanna di primo grado, a seguito di impugnazione del COGNOME e della COGNOME, venne confermata in appello dalla Corte territoriale.
La sentenza d’appello venne cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 5447 del 11/02/2010, ai fini della rideterminazione della pena con riferimento alla posizione del COGNOME.
A seguito di giudizio di rinvio svoltosi dinanzi la Corte d’appello di Firenze la sentenza di condanna divenne definitiva, con riqualificazione, operata dalla Corte di Cassazione, nella predetta sentenza n. 5447 del 2010, delle appropriazioni indebite in truffe
aggravate, poiché l ‘ulteriore ricorso per cassazione del COGNOME e della COGNOME, avverso la sentenza della Corte territoriale di Firenze, che aveva provveduto a rideterminare la pena nei confronti del COGNOME, venne rigettato da questa Corte di Cassazione con sentenza n. 25785 del 4/07/2012.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Perugia, con atto di citazione notificato l’8/06/2017, NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale
I convenuti rimasero intimati e vennero dichiarati contumaci all’udienza del 27/11/2017 .
Il Tribunale di Perugia, istruita la causa documentalmente, svolta consulenza tecnica di ufficio al fine della determinazione delle somme oggetto di appropriazione, con sentenza n. 405 del 11/03/2020, li condannò in solido al risarcimento dei danni, liquidati in euro trecentomila (€ 300.000,00) in favore di ciascuna delle Amministrazioni dello Stato e in ulteriori euro seicentosettantottomila cinquecento quarantotto e sette centesimi (€ 678.548,07) in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, oltre interessi al tasso legale.
La sentenza di primo grado venne impugnata dinanzi alla Corte d’appello di Perugia da NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME la prima anche in proprio e tutte quali coeredi di NOME COGNOME accettanti asseritamente, come meglio in seguito, con beneficio d’inventario.
Tutte le Amministrazioni convenute si costituirono in giudizio con un unico atto, a ministero dell’Avvocatura Erariale.
La Corte d’appello di Perugia ha, con sentenza n. 375 del 25/05/2023, accolto parzialmente l’impugnazione e ha rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta in
primo grado dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate e ha confermato la sentenza di primo grado nel resto.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono per cassazione, con atto affidato sei motivi, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME.
Resistono con controricorso la Presidenza del consiglio dei Ministri, il Ministero della Giustizia, Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
Le ricorrenti hanno depositato memoria, ribadendo l’eccezione di giudicato esterno, in quanto la condanna pronunciata dalla Corte dei Conti è divenuta definitiva n el corso dell’anno 2024 .
All’adunanza camerale del 13/01/2025 il ricorso è stato trattenuto per la decisione e il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che il ricorso per cassazione è stato irritualmente notificato all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia.
L’ Avvocatura dello Stato si è, nondimeno, costituita ritualmente in giudizio, con controricorso, e pur rilevando la detta irritualità della notifica ha inteso, peraltro espressamente, sanarla, resistendo ai singoli motivi di ricorso dopo avere fatto rilevare l’irritualità della notifica.
Il ricorso deve, pertanto, essere scrutinato con riguardo alle censure proposte nei motivi, non sussistendo ragioni di patente inammissibilità o improcedibilità o per disporre la rinnovazione della notifica.
Le ricorrenti propongono i seguenti motivi d’impugnazione.
Primo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., 24 e 111 Costituzione, 101 e 174 c.p.c.,
79 disp. att. c.p.c., 183 c.p.c., 292 e 293 c.p.c., 300, quarto e quinto comma, c.p.c. in ordine al mancato riconoscimento della nullità del procedimento e, per l’effetto, della sentenza per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio; difetto di motivazione, motivazione insufficiente e (o) lacunosa.
Il motivo si fonda sulle asserite omissioni delle comunicazioni relative ai mutamenti dei giudici istruttori del Tribunale di Perugia e sulla mancata notificazione, alle parti contumaci, dei verbali di causa nei quali si dava atto della produzione di scritture sottoscritte da essi, e segnatamente dalla COGNOME
Ai fini del compiuto scrutinio del motivo occorre premettere che NOME COGNOME era deceduto il 20/11/2018 nel corso del giudizio di primo grado, senza che l’evento venisse dichiarato o notificato .
La prima udienza del processo di primo grado era, infatti, stata tenuta in data 27/11/2017 e alla stessa era stata dichiarata la contumacia dei convenuti, ossia dello stesso COGNOME e della COGNOME.
L’evento interruttivo era stato notificato dalla COGNOME e dalle sorelle COGNOME soltanto successivamente alla conclusione del primo grado di giudizio.
Il motivo è infondato, per le ragioni che si vanno a esporre.
Per costante giurisprudenza di questa Corte i provvedimenti di mutamento dei giudici non devono essere comunicati ai contumaci (Cass. n. 10037 del 01/08/2000 Rv. 538984 – 01): la sostituzione del giudice, disposta ai sensi dell’art. 174, secondo comma, c.p.c., non è indicata tra gli atti da comunicare al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c., e pertanto l’omissione di tale comunicazione non viola il principio del contraddittorio, né può comportare alcuna nullità. È inoltre manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità, ai sensi degli articoli 3, 25 e 108 della Costituzione, dell’art. art. 74 disp. att. c.p.c., che disciplina le formalità per detta sostituzione, perché sotto il primo profilo la
posizione del convenuto costituito non è parificabile a quella del contumace e perciò non vi è alcuna irrazionale disparità di trattamento; sotto il secondo non è ravvisabile alcuna violazione del principio di precostituzione del giudice naturale.
Con riferimento alla mancata notifica dei verbali contenenti l’attestazione dell’avvenuta produzione delle scritture private (lettere, stati passivi di procedure fallimentari) la sentenza d’appello fa corretta applicazione dell’orientamento stabile di questa Corte (Cass. n. 13145 del 14/05/2021 Rv. 661383 – 01) secondo il quale la parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado può disconoscere in appello la scrittura privata contro di essa prodotta nella precedente fase ed utilizzata nella sentenza impugnata ai fini della decisione: l’appellante può compiere il disconoscimento con l’atto di impugnazione, primo atto successivo alla sentenza che menziona la scrittura.
Nella specie non risulta che le appellanti, ossia la COGNOME e le sorelle COGNOME abbiano inteso avvalersi di detto potere di proporre l’istanza di disconoscimento , cosicché i documenti prodotti dalla difesa erariale sono stati ritenuti ritualmente acquisti al processo e su di essi il giudice di merito, in entrambi i gradi di giudizio, ha legittimamente fondato la sua decisione, non dismettendoli dall’incarto processuale .
Il primo motivo è, pertanto, infondato.
Secondo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 360, comma primo, n. 1 c.p.c., 37 c.p.c., 17, comma 30ter , del d.l. n. 78 del 2009 convertito con modificazioni dalla legge n. 102 del 3/08/2009 e 51 d.lgs. n. 174 del 26/08/2016, cd codice di giustizia contabile, in ordine al mancato riconoscimento del difetto di giurisdizione dell’ autorità giudiziaria ordinaria, in relazione alla pretesa di risarcimento del danno all’immagine avanzata dal Ministero della Giustizia.
Il motivo prospetta una questione di giurisdizione, che, tuttavia, appare manifestamente infondata, senza che sia necessario, quindi, investire della sua cognizione le Sezioni Unite di questa Corte in quanto il d.l. n. 78 del 2009 convertito nella legge n. 102 del 2009 non può essere ritenuto applicabile ai fatti per i quali vennero convenuti in giudizio il COGNOME e la COGNOME, poiché i detti fatti furono, pacificamente, commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legge suddetto e della relativa legge di conversione.
La motivazione della Corte d’appello è corretta laddove afferma che non vi è un’esclusiva della giurisdizione contabile ossia della Corte dei Conti, ai fini dell’accertamento del danno non patrimoniale alle Pubbliche Amministrazioni.
Il secondo motivo è, quindi, infondato.
Terzo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., 50 della Carta dei diritti fondamentali UE del 7.12.2000 e 4 del protocollo della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in ordine al mancato riconoscimento della violazione del ne bis in idem in relazione alla pretesa di risarcimento del danno all’immagine avanzata dal Ministero della Giustizia e, pertanto, in ordine al mancato accoglimento dell’eccezione di intervenuto giudicato esterno, a seguito della condanna del giudice contabile.
Il motivo è infondato poiché non vi è duplicazione di giudizi tra il giudizio civile introdotto dalla Pubblica Amministrazione, avente ad oggetto l’accertamento del danno derivante dalla lesione di un suo diritto soggettivo conseguente alla violazione di un’obbligazione civile, contrattuale o legale, o della clausola generale di danno aquiliano, da parte di soggetto investito di rapporto di servizio con essa, quale nella specie la COGNOME ed il giudizio promosso per i medesimi fatti innanzi alla Corte dei Conti dal Procuratore contabile, nell’esercizio dell’azione obbligatoria che gli compete,
poiché la prima causa è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola Amministrazione attrice, mentre l’altra, invece, è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatoria, come affermato da oltre un decennio dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 23833 del 05/09/2024 Rv. 672358 -01; Cass. n. 4871 del 15/02/2022 Rv. 663851 -01; Cass. 26582 del 28/11/2013 Rv. 628611 – 01).
Il terzo motivo segue, pertanto, la sorte dei primi due.
Quarto motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., 24 e 111 Costituzione, 293 e 294 c.p.c.: erronea negazione del diritto di NOME NOME e NOME ed essere rimesse in termini; vizio di motivazione: motivazione insufficiente e contraddittoria.
Quinto motivo: violazione di legge per nullità del procedimento civile, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., 345, terzo comma, c.p.c., 293, secondo comma, c.p.c., stante la ritenuta inammissibilità della prova documentale versata nel giudizio di appello dalle odierne ricorrenti; violazione del diritto alla prova; errori di diritto sostanziale e processuale; vizio di motivazione per motivazione insufficiente e lacunosa.
Sesto motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. e 112 c.p.c.; omessa pronuncia sulla richiesta, proposta in via subordinata, di condanna di NOME e NOME COGNOME nei soli limiti dell’attivo ereditario e pro quota .
Il quarto, il quinto e il sesto motivo possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto vertenti tutti sulla mancata remissione in termini ai fini della produzione documentale, comprovante l’accettazione con beneficio d’inventario, di NOME e NOME COGNOME Invero i detti tre motivi riguardano,
pressoché esclusivamente, la posizione processuale e sostanziale delle dette due figlie ed eredi.
I detti tre motivi sono infondati, non sussistendo causa non imputabile, o non risultando comunque questa dimostrata, così come richiesto da questa Corte, al fine di ritenere errata la decisione della Corte territoriale di non ammettere la rimessione in termini in favore delle due figlie eredi di NOME COGNOME poiché secondo la giurisprudenza di legittimità, alla quale si intende dare seguito (Cass. n. 14393 del 21/12/1999 Rv. 532435 -01) il contumace, il quale chieda di essere rimesso in termini per impugnare, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., ha l’onere di provare sia la nullità della notificazione, sia che tale nullità gli abbia impedito di avere conoscenza del processo.
Nessuna delle dette dirimenti circostanze è stata provata, o finanche soltanto oggetto di richiesta di prova da parte della difesa della COGNOME e delle COGNOME nella fase di merito.
A tanto consegue che tutta la documentazione che le ricorrenti assumono essere stata non oggetto di acquisizione illegittimamente da parte della Corte territoriale è effettivamente rimasta fuori dall’incarto processuale, in essa compresa la dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, cosicché la domanda è stata correttamente accolta per l’ intero, salvo l’espunzione del capo relativo al danno all’immagine alle Pubbliche Amministrazioni diverse dal Ministero della Giustizia, anche nei loro confronti e non nei soli limiti dell’attivo ereditario .
Giova, peraltro, evidenziare che non risulta in alcun modo allegata la stessa ritualità della prospettazione della questione di riduzione della condanna nei limiti dell’accettazione beneficiata e, peraltro, le stesse NOME e NOME COGNOME avevano riservato di integrare l’inventario in caso di scoperta di ulteriori attività o passività (pag. 6, par. 4, della sentenza), il che comporta che le
stesse fossero verosimilmente consapevoli della situazione processuale del dante causa.
I tre ultimi motivi di ricorso sono, pertanto disattesi.
Il conclusione, il ricorso è infondato in tutte le censure e deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza delle ricorrenti e valutata l’attività processuale espletata , in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo.
La decisione di rigetto del ricorso comporta che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di