Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31247 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 31247 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3199/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, in persona del procuratore generale AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, e per essa in qualità di procuratrice mandataria RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 839/2022, depositata il 21/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis cod.proc.civ., NOME COGNOME, rappresentata in forza di procura generale da NOME COGNOME, conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE e la mandante RAGIONE_SOCIALE perché fossero condannate al risarcimento dei danni per inadempimento del contratto di cessione del credito o, in subordine, per responsabilità precontrattuale nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 130/2007 nei confronti di NOME COGNOME.
La ricorrente asseriva: a) di essersi aggiudicata all’asta tenuta da professionista delegato e per il tramite di legale che agiva per persona da nominare l’immobile sito in Favria Canavese; b) di avere corrisposto, il 17/11/2011, l’importo di euro 91.800,00 alla creditrice procedente, RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 41 d.lgs. 385/1993; c) di essere stata dichiarata decaduta -per omesso versamento degli oneri -d all’aggiudicazione dal Giudice dell’esecuzione, il quale aveva disposto ulteriori esperimenti di vendita; d) di avere chiesto l’immediata restituzione di quanto già erogato alla creditrice; e) di aver recuperato le somme precedentemente versate tre anni e mezzo dopo e solo su ordine del Giudice dell’ esecuzione e a seguito di specifico ricorso; f) di
avere convenuto con RAGIONE_SOCIALE la cessione del credito ipotecario alla base della procedura esecutiva, onde subentrare nel processo espropriativo già avviato e vedersi attribuire in via prioritaria, quale creditrice privilegiata assistita da ipoteca di primo grado, il ricavato della vendita; g) di non essere succeduta alla RAGIONE_SOCIALE nella procedura esecutiva, perché quest’ultima aveva richiesto ulteriore documentazione del tutto irrilevante; h) di aver poi partecipato all’incanto ed ottenuto l’aggiudicazione del bene, in esito alla quale l’istituto di credito aveva nuovamente preteso la produzione di ulteriore documentazione, questione rimediata con provvedimento del Giudice dell’ esecuzione, che aveva poi pronunciato il decreto di trasferimento dell’immobile .
Rimarcando la contrarietà a buona fede della condotta tenuta da RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente chiedeva, quindi, la condanna di parte convenuta al pagamento di euro 5.263,58, a titolo di interessi sulle somme tardivamente restituite, di euro 7.879,25, per spese legali sostenute per il recupero di dette somme, di euro 17.798, 46, pari alla differenza tra la somma ottenuta da RAGIONE_SOCIALE dalla vendita dell’immobile e la somma pattuita per la cessione del credito, a titolo di mancato adempimento del contratto di cessione o comunque per danni derivanti da responsabilità precontrattuale, di euro 22.500,00, per lucro cessante, provocato dalla ritardata acquisizione del bene, pari ai frutti civili che avrebbe ottenuto concedendo in godimento a terzi il bene a far data dall’ottobre 2014, oltre al riconoscimento del danno morale.
Entrambe le resistenti si costituivano.
Con ordinanza pronunciata il 15/10/2020, ai sensi dell’art. 702 ter cod.proc.civ., il Tribunale di Ivrea, sulla scorta del principio della ragione più liquida e, segnatamente, per l’insussistenza di riscontro probatorio in ordine alla conclusione del contratto di cessione del credito ipotecario posto a fondamento dell’azione esecutiva, constando solamente alcune proposte contrattuali dell’attrice non
seguite da accettazione, disattendeva le domande avanzate da NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Torino, all’esito del giudizio di secondo grado promosso da NOME COGNOME, con la sentenza n. 839/2022, depositata il 21/07/2022, ha accolto parzialmente il gravame, ritenendo disatteso dal Tribunale uno specifico motivo del contendere, cioè quello volto a ottenere, da parte dell’appellante, la corresponsione degli interessi sulla somma di euro 91.800,00 erogata alla creditrice RAGIONE_SOCIALE il 17/11/2011 e poi restituita il 28/06/2014, in ottemperanza ad una specifica statuizione del giudice preposto al processo esecutivo, e, per l’effetto, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento a tale titolo di euro 178,57, ha confermato per il resto l’impugnata sentenza.
In particolare, il giudice a quo, innanzitutto, ha ritenuto: i) ipotizzabile che l’appellante non avesse la liquidità necessaria, poi recuperata con il riacquisto del prezzo ‘ab origine’ pagato e che contava di destinare al perfezionamento del negozio di cessione del credito; ii) molto probabile, anche in considerazione del fatto che l’indirizzo dell’immobile oggetto della procedura esecutiva coincideva con quello di residenza sia della COGNOME sia della esecutata, NOME COGNOME, la quale, peraltro, aveva partecipato fattivamente alle trattative finalizzate alla cessione del credito ipotecario, che le varie iniziative (aggiudicazione dell’immobile, proposta d’acquisto del credito) fossero state funzionali al perseguimento di un interesse proprio ed esclusivo dell’esecutata, la quale, valendosi di un’interposizione fittizia, contava di mantenere la proprietà dell’immobile in esito alla procedura esecutiva, violando così il preciso disposto degli artt. 571 e 579 cod.proc.civ. che vietano al debitore di avanzate offerte d’acquisto.
Ha, quindi, reputato la Corte di merito, per quel che rileva in questa sede, che : iii) l’azione volta a ottenere la restituzione
dell’importo di euro 9 1.8 00,00 da parte dell’appellante fosse riconducibile alla ripetizione di indebito e che, pertanto, la decorrenza degli interessi coincidesse con il momento in cui era stata chiesta al giudice dell’esecuzione l’ordinanza restitutoria, perché solo da quel momento era venuta meno la buona fede dell’ accipiens ; iv) all’appellante spettasse, a titolo di restituzione dell’indebito, la somma di euro 178,57, maggiorata degli interessi al saggio legale, con decorrenza dalla domanda giudiziale e sino al saldo; iv) non fosse dovuta la somma pretesa a titolo di rimborso delle spese legali affrontate per ottenere la restituzione, posto che <>; v) non fossero dovute le altre somme pretese dall’appellante, perché la richiesta presupponeva che il contratto di cessione del credito si fosse perfezionato; invece, quella che l’appellante considerava l’accettazione della proposta era la comunicazione da parte di un dipendente di RAGIONE_SOCIALE che riferiva che ‘a breve’ sarebbe stato indicato ‘il nome del gestore che’ avrebbe seguito ‘le ulteriori fasi’; segno che il contratto non era ancora perfezionato, mancando alcuni approfondimenti e diverse elaborazioni di dettaglio; vi) non fossero pretestuose, e neppure contrarie alla buona fede ex art. 1337 cod.civ., le richieste di ulteriore documentazione da parte dell’istituto di credito.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE, e per essa in qualità di procuratrice mandataria RAGIONE_SOCIALE, resistono con separati controricorsi.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
La ricorrente, in vista dell’odierna Camera di consiglio, deposita memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunziano la violazione e falsa degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Attinte da censura sono le congetture della Corte territoriale quanto alle ragioni sottese al suo tentativo di acquistare l’immobile e di rendersi cessionaria del credito ipotecario. La ricorrente sostiene che, risiedendo nell’immobile oggetto della procedura esecutiva, aveva interesse ad acquistarlo per sé e che, avendo già depositato in cancelleria varie somme a titolo di cauzione, qualora l’asta si fosse conclusa a favore di terzi a un prezzo maggiore di quello che era disposta a pagare rendendosi cessionaria del credito, ne avrebbe comunque tratto il vantaggio di recuperare il ricavato derivante dall’esecuzione.
Le affermazioni congetturali della Corte territoriale violerebbero le regole di diritto di cui agli artt. 112, 113 e 116 cod.proc.civ. e farebbero ritenere che la sentenza sia basata su argomenti non oggetto di causa e non provati.
1.1) Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, atteso che con esso la ricorrente contesta esclusivamente un obiter dictum , espresso ad abundantiam dalla Corte territoriale, il quale non ha influito sul dispositivo della decisione (Cass. 8/06/2022, n. 18429; Cass. 10/04/2018, n. 8755); le rationes decidendi della statuizione reiettiva sono del tutto avulse dalle congetture che la Corte d’appello ha espresso sulle ragioni perseguite con l’operazione posta in essere dalla ricorrente e non hanno prodotto effetti giuridici che debbano essere rimossi.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 cod.civ. e 113 e 115 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
La censura investe la motivazione della Corte d’appello nella parte in cui ha affermato che relativamente alla cessione del credito ipotecario <> e in quella in cui ha ritenuto, ponendosi dall'<>, che il contratto di cessione non si fosse perfezionato.
La tesi della ricorrente è che la mail del 7/10/2015 del legale alla banca contenesse una precisa proposta di acquisto del credito per euro 80.000,00 e che la mail di risposta dell’8/10/2015, recando già nell’oggetto la dicitura <> e nel testo la frase <>, avrebbe dovuto essere considerata un’accettazione.
Il contratto avrebbe dovuto dunque essere considerato perfezionato; infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 13033/2018 – quando nella proposta viene richiesta una forma determinata per l’accettazione essa è posta nell’esclusivo interesse del proponente, per le esigenze di certezza e di agevolazione della prova di cui lo stesso ha necessità o da cui trae utilità; di conseguenza, il proponente può rinunciare al rispetto di detta forma, ritenendo sufficiente un’adesione manifestata in modo diverso, con l’ulteriore conseguenza che il difetto di forma non può essere invocato dalla controparte per contestare il perfezionamento del contratto; inoltre, l’accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di
affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altro (Cass. n. 10533/2014).
Gli <> e le diverse <> che pure vi erano stati, infatti, non riguardavano la formazione dalla volontà contrattuale, ma esclusivamente le modalità con cui la ricorrente avrebbe dovuto pagare il prezzo concordato.
2.1) Il motivo è inammissibile.
Non solo perché è stato dedotto non in perfetta e completa applicazione dell’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., ma anche perché: a) le censure sono volte a contrapporre, senza il supporto di pertinenti argomenti in iure (v. oltre) , all’accertamento della Corte territoriale una diversa ricostruzione dei fatti che porti a ritenere perfezionato l’accordo tra le parti; b) l’indagine volta a stabilire se il contratto si sia perfezionato o meno è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente se non adeguatamente motivata (cfr. Cass. 21/09/2023, n. 26982; Cass. 18/11/2003, n. 17449; Cass. 12/07/1976, n. 2676; Cass. 26/10/1974, n. 2879); c) le argomentazioni in iure con cui la ricorrente censura l’impugnata sentenza sono costituite dall’invocazione del principio di diritto enunciato da Cass. 24/05/2018, n. 13033 e da Cass. 14/05/2014, n. 10533, il quale, come si è anticipato, non è pertinente, riferendosi a fattispecie molto diverse da quelle per cui è causa nelle quali si ipotizzava che il contratto fosse stato concluso senza accettazione, ma con l’esecuzione della prestazione.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 111, 6° comma, Cost., dell’art. 1337 cod.civ., degli artt. 113 e 115 cod.proc.civ., dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2007, in relazione all’art. 360, 1° comma, n., 3 cod.proc.civ., nonché dell’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto
di discussione, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.
La tesi è che i giudici abbiano fatto riferimento agli adempimenti relativi alla normativa antiriciclaggio, senza individuarli specificamente (di qui il difetto di motivazione), e non abbiano tenuto conto di varie email: a) quella del 21.102015 con cui la banca chiedeva una serie di documenti, alla quale era stato dato riscontro con mail 22.10.2015, allegando i documenti richiesti; b) quella del 23.10.2015 contenente la richiesta di altri documenti alla quale era immediatamente seguito l’invio della parte di documentazione richiesta disponibile; c) quella del 27.10.2015 con richiesta di completare la documentazione, alla quale aveva risposto il 29.10.2015 allegando gli ultimi documenti richiesti.
La richiesta di documentazione finalizzata ad ottenere l’accreditamento, secondo la ricorrente, non era affatto necessaria, ma era frutto di una ossessione amministrativa della banca, tant’è che, una volta aggiudicatasi il bene all’ultimo esperimento d’asta, al momento del pagamento del saldo direttamente alla banca, ex art. 41 T.u.b., le era stato nuovamente richiesto di avviare la procedura per l’accreditamento e, allo scopo di superare gli ostacoli frapposti dalla banca, si era rivolta al Giudice dell’esecuzione affinché le consentisse, come poi aveva fatto, senza violare alcuna norma antiriciclaggio, di versare il saldo del prezzo direttamente al professionista delegato.
La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto che la banca l’aveva già accreditata all’atto della ricezione del versamento dell’importo di euro 93.000,00 in data 17/11/2011, senza chiedere l’origine dei fondi, posto che la normativa lo impone solo se necessario, e nel caso di specie non era certamente necessario, perché l’origine della valuta non era dubbio, trattandosi della somma appena restituitale dalla banca.
Il giudice a quo sarebbe incorso quindi in un errore di diritto, ritenendo che la banca avesse solo preteso il rispetto della normativa antiriciclaggio: al contrario, il comportamento della creditrice procedente sarebbe stato contrario a buona fede, essendo finalizzato a lucrare, attraverso l’incameramento di tutte le somme già versate nella procedura, una somma maggiore di quella concordata per la cessione del credito.
3.1) Il motivo è inammissibile.
La violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. non supera la preclusione di cui all’art. 348 ter , ult. comma, cod.proc.civ. (nel testo ratione temporis applicabile, pur dovendosi considerare che l’art. 360, 4° comma, cod.proc.civ. ne ha riprodotto il contenuto), secondo cui quando la sentenza di appello sia -sul punto in questione – conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. Il ricorrente per evitare l’inammissibilità del motivo deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Inoltre, non è stata ben compresa la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto non perfezionato il contratto, perché la comunicazione della banca non costituiva l’accettazione della proposta, ma una manifestazione di interesse a negoziare la cessione, tant’è che riferiva che <>; segno che le ulteriori fasi richiedevano <>.
La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto non pretestuosa la richiesta di ulteriore documentazione, anche di quella richiesta dalla normativa antiriciclaggio, finalizzata a consentire approfondimenti e
valutazioni discrezionali della banca. Il che esclude che la Corte d’appello abbia ritenuto la banca obbligata ad acquisire la documentazione ai fini del rispetto della normativa antiriciclaggio e destituisce di fondamento la censura mossale di difetto di motivazione per non avere specificamente indicato quali erano gli obblighi antiriciclaggio posti a carico della banca.
Va aggiunto che la deduzione della violazione dell’art. 1337 cod.civ. non è stata articolata esaminando il contenuto precettivo della norma asseritamente violata e raffrontandolo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo (v. Cass., Sez. Un., 28/10/2020, n. 23745), essendosi la ricorrente limitata ad affermare del tutto assertivamente che la banca procedente non aveva agito in buona fede.
4) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1183, 1218, 1282, 1458, 1493 e 2033 cod.civ., 113 e 115 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie per cui è causa l’art. 2033 cod.civ. (che attiene al c.d. indebito oggettivo), ritenendo che avesse chiesto la restituzione di un pagamento non dovuto: al contrario, il pagamento era, all’epoca in cui era stato eseguito, dovuto in forza dell’art. 41 T.u.l.b. che deroga alle disposizioni del codice di procedura civile relative al deposito del prezzo di aggiudicazione, ma non a quella di cui all’art. 587 cod.proc.civ., per cui l’aggiudicatario viene considerato inadempiente, in perfetta corrispondenza logica alla parificazione della vendita forzata al normale contratto di vendita sotto il profilo delle norme non incompatibili.
Essendo la dichiarazione di decadenza una risoluzione del contratto per inadempimento, con effetti ex tunc (art. 1458 cod.civ.) e con correlativo obbligo di restituzione del prezzo (art.
1493 cod.civ.), la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare gli artt. 1458 e 1493 cod.civ.
E comunque -aggiunge la ricorrente -la banca, percettrice delle somme, era tenuta a restituirle immediatamente e, trattandosi di obbligazione pecuniaria, maggiorate degli interessi ex art. 1282 cod.civ.
Il motivo è infondato.
4.1) Questa Corte, proprio di recente, interrogatasi sull’applicabilità della disciplina della ripetizione dell’indebito alla risoluzione per inadempimento che secondo la ricorrente si sarebbe verificata nel caso di specie, ha ritenuto, muovendo dal richiamo della disciplina dell’indebito contenuta esclusivamente all’ art. 1422 cod.civ., in tema di nullità, e all’art. 1463 cod.civ., in tema di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, assente una ragione che giustifichi l’applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo solo in dette ipotesi, rilevando semmai un certo difetto di coordinamento nella trama del tessuto normativo; è pervenuta dunque alla conclusione, di interesse nella vicenda per cui è causa, secondo cui <>.
La giurisprudenza consolidata di questa Corte è nel senso che <> (Cass. 8/01/2025, n. 423).
Il che esclude che la Corte d’appello abbia fatto erronea applicazione della disciplina in materia di ripetizione dell’indebito oggettivo.
Quanto al secondo ordine di censure -relativo all’erronea decorrenza degli interessi -va osservato che, domandandosi se la retroattività della statuizione risolutoria giustifichi una regolamentazione del diritto ai frutti e agli interessi difforme da quella dettata dall’art. 2033 cod.civ., Cass. n. 423/2025 ha ritenuto che, tra le due contrapposte opinioni (quella della retroattività forte che determinerebbe l’obbligo, in capo all’ accipiens , di corrispondere i frutti e gli interessi dal momento in cui è eseguita la prestazione, indipendentemente dallo stato di buona fede o di mala fede di quel soggetto) e quella della retroattività debole che consentirebbe l’integrale applicazione delle norme sulla ripetizione dell’indebito (ivi compresa quella che distingue tra accipiens in buona fede e accipiens in mala fede) debba preferirsi quella che, ai fini della decorrenza degli interessi sulle somme divenute indebite a seguito della risoluzione, valorizza lo stato di buona fede o di mala fede dell’ accipiens , pur precisando che la disciplina dettata dall’art. 2033 cod.civ. per i frutti e gli interessi, dovuti per legge a seconda dei casi dal pagamento o dalla domanda, non può valere per i frutti e gli interessi ricevuti in forza del contratto.
La buona fede dell’ accipiens , rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso
soggettivo, quale ignoranza dell’effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, dal momento che non trova applicazione l’art. 1147, 2° comma, cod.civ., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, dovendo quest’ultima essere presunta per principio generale, la mala fede può ritenersi sussistente solo ove risulti provato che l’ accipiens , al momento della ricezione del pagamento, avesse la certezza di non avere il diritto a conseguirlo (per tutte: Cass. 7/05/2024, n. 12362; Cass. 26/10/2020, n. 23448). Pertanto, se una conoscenza dell’obbligo restitutorio sarà normalmente assente nel momento in cui è eseguita la prestazione, detta conoscenza potrà insorgere in un momento successivo, precisamente dalla data della domanda, atto che tipicamente fa venir meno l’ignoranza dell’obbligo di restituzione, e quindi fa cessare lo stato di buona fede, perché, intervenuta la domanda, l’ accipiens in buona fede non può più disconoscere che il pagamento è indebito, e tanto giustifica l’insorgenza dell’obbligo, da parte sua, di corrispondere al solvens frutti e interessi.
L’espressione ‘dal giorno della domanda’ è stata però intesa dalle Sezioni Unite di questa Corte non come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprendente anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 cod.civ. (Cass., Sez. Un., 13/06/2019, n. 15895).
A quanto consta a questa Corte, la ricorrente non aveva chiesto all’ accipiens la restituzione delle somme prima della domanda rivolta al Gi udice dell’esecuzione.
L’istanza rivolta al G iudice dell’esecuzione di restituzione del prez -zo già erogato alla società esecutante è stata accolta con ordinanza del 18/04/2014 (v. p. VIII dell’impugnata sentenza); pertanto deve intendersi che la Corte d’appello. quando ha statuito che gli interessi decorrono dalla data della domanda (e cioè, nella specie, dal 18/04/2014), abbia ritenuto la data di proposizione dell’istanza
restitutoria coincidente con quella del suo accoglimento (del resto, la ricorrente non ha fornito a questa Corte elementi per far ritenere diversamente): da quel momento, infatti, «sopravvenne un indebito, che titolava la NOME a ripetere quanto già prestato oltre gli interessi legali, non potendosi più ravvisare la perduranza di una ‘ bona fides ‘ in capo alla creditrice procedente, comunque consapevole di dover restituire».
Non può dunque imputarsi alcun errore alla Corte d’appello per avere fatto decorrere gli interessi dalla data (intesa come sopra precisato) della domanda di restituzione delle somme percepite dall’ accipiens , perché da quella data era venuta meno la buona fede della società esecutante.
5) Con il quinto motivo la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1183, 1196 e 1218 cod.civ., 113 e 115 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per avere la Corte d’appello respinto la domanda di rimborso delle spese sostenute per ottenere l’ordine di restituzione delle somme versate a RAGIONE_SOCIALE, essendo l’acquisizione ed il mantenimento per un certo qual tempo della disponibilità delle stesse dipesi da una condotta oggettivamente lecita e da una protratta sua inerzia. I giudici del merito (peraltro in totale contraddizione logica con la parte della motivazione che ha interpretato la sua domanda come una condictio indebiti ) hanno ritenuto che la banca avrebbe avuto titolo non solo per l’acquisizione (prevista dall’art. 41 T.u.l.b.) ma anche per il mantenimento per un certo tempo della disponibilità della somma, in violazione dell’art. 1176 cod.civ., e omettendo di considerare che, ai sensi dell’art. 1196 e 1223 cod.civ., le spese per il pagamento o i danni per il ritardo sono a carico del debitore.
5.1) Il motivo merita accoglimento.
Coglie nel segno la ricorrente quando censura la statuizione delle C orte d’appello che ha rigettato <>.
Detta statuizione, mentre è idonea a giustificare la decorrenza degli interessi a partire dalla data della richiesta risarcitoria avanzata con la domanda giudiziale, si palesa del tutto erronea con riferimento al rigetto della domanda volta ad ottenere il ristoro per le spese giudiziali affrontate al fine di ottenere dal giudice dell’esecuzione il provvedimento di condanna restitutoria. Le spese fatte per ottenere detto provvedimento sono infatti un danno emergente che,se sostenuto da una puntuale attività di allegazione e prova, spettavano alla ricorrente.
Con il sesto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 96, 113 e 115 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., avendo la Corte d’appello disposto a suo carico l’integrale pagamento delle spese di lite nonostante non fosse stata totalmente soccombente.
6.1) Il motivo è assorbito.
All’accoglimento del quinto motivo, assorbito il sesto, disattesi i restanti, segue la cassazione in relazione al motivo accolto della sentenza qui impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo, assorbito il sesto, disattesi i restanti. Cassa l’impugnata sentenza in relazione con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà
anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 3 aprile 2025 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME