Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33700 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33700 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15530/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE TRANI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, pec: ufficioEMAILcomuneEMAIL;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 7/2022, depositata il 04/01/2022 e notificata il 14/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2101/2017, il Tribunale di Trani respingeva la domanda di NOME COGNOME, volta a ottenere la condanna del Comune di Trani a rimborsargli l’importo di euro 20.865,42, pari alle spese affrontate per difendersi dal reato di diffamazione aggravata, per avere quale consigliere comunale criticato l’operato dell’ente in materia di incarichi professionali, per il quale era stato rinviato in giudizio, dal quale era stato assolto con formula piena con sentenza passata in giudicato.
La sentenza del Tribunale di Trani è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bari, la quale con la pronuncia n. 7/2022, depositata il 04/01/2022 e notificata il 14/06/2022, ha ritenuto che: i) l’art. 7 bis , 1° comma, del d.l. n. 78/2015, convertito in l. n. 125/2015, il quale aveva modificato l’art. 86, 5° comma, TUEL, prevedendo il diritto degli amministratori pubblici al rimborso delle spese legali, non potesse applicarsi retroattivamente ai fatti di causa; ii) alcuna rilevanza potesse attribuirsi all’ulteriore requisito della copertura finanziaria pregressa, atteso che essa doveva riferirsi al bilancio annuale contestuale alla maturazione del fatto costitutivo (2014) ovvero, a tutto concedere, all’epoca dell’istanza del rimborso (2015); iii) la natura stessa del richiesto ‘rimborso’ implicava la prova che il pagamento delle spese di difesa fosse stato effettuato.
NOME COGNOME ricorreva avverso la surriferita pronuncia della corte di merito, formulando tre motivi.
Il Comune di Trani resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380bis cod.proc.civ. con cui ha prospettato il rigetto del ricorso, ritenendo che la sentenza impugnata avesse fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte.
NOME COGNOME ha chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis , 2° comma, cod.proc.civ.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
In vista dell’odierna Camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia « Violazione dell’art. 1720 cod.civ., in relazione all’art. 12, secondo comma disp.prel.c.c. », in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
La tesi del ricorrente è che il diritto al rimborso delle spese legali avrebbe dovuto essergli riconosciuto in forza dell’applicazione analogica dell’art. 1720, 3° comma, cod.civ., come statuito da Cass., Sez. Un., n. 478/2006, per i funzionari onorari dei comuni, da Cass., Sez. Un., n. 10680/199, per gli amministratori di società di capitali, da Cass. n. 41999/2021, per il presidente dell’autorità aeroportuale. Di conseguenza, la corte territoriale avrebbe dovuto considerare irrilevante che i fatti costitutivi della pretesa si fossero verificati in epoca anteriore o successiva alla modifica dell’art. 86, 4° comma, TUEL (Cass., Sez. Un., n. 3887/2020).
Il motivo è infondato.
È pacifico e non lo contesta neppure il ricorrente che <> (in termini: Cass. n. 6745/2019; seguita da Cass. n. 835/2024; Cass. n. 17078/2024).
Quanto alla mancata applicazione analogica dell’art. 1720 cod.civ. occorre rilevare che neppure dalla memoria ex art. 380bis , 2° comma, cod.proc.civ, con cui il ricorrente, al fine di confutare la
proposta di definizione accelerata, <> del proprio ragionamento difensivo, incentrandolo sulla contrarietà dell’indirizzo evocato nella proposta di definizione accelerata con Cass., Sez. Un., n. 3887/2020, emergono ragioni che inducano questa Corte a pronunciarsi ad accogliere il ricorso.
Si tratta, infatti, di una censura infondata perché le Sezioni Unite con la pronuncia n. 3887/2020 hanno affrontato e risolto una questione di giurisdizione; segnatamente hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la domanda atteneva all’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo, essendo l’ente locale tenuto a far luogo al predetto rimborso ove ne ricorrano i presupposti di legge ed esulando, nel caso, apprezzamenti di natura discrezionale. Solo al fine di decidere detta questione hanno ritenuto irrilevante <>.
Hanno quindi concluso -senza entrare nel merito -affermando che <>.
Né giova al ricorrente il richiamo al precedente costituito da Cass., Sez. Un., n. /2016, che, sempre in tema di regolamento preventivo di giurisdizione, aveva statuito: <>; nemmeno con detta pronuncia questa Corte ha <> (ancora Cass. n. 6745/2019).
Non avendo affatto enunciato un principio di diritto volto ad accreditare la tesi secondo cui, indipendentemente dall’entrata in vigore della modifica dell’art. 86, 4° comma, TUEL, all’odierno ricorrente spettasse il diritto al rimborso delle spese legali sia
Cass., Sez. Un. n. 2020/ sia Cass. n. 478/2016 risultano inconferenti ai fini dello scrutinio del motivo.
Quanto al regime previgente ed in particolare quanto all’applicabilità in via analogica della disciplina del mandato, l’orientamento di questa Corte è nel senso che tra il sindaco e/o l’assessore e l’ente pubblico non è configurabile un rapporto di lavoro dipendente, bensì un rapporto avente natura onoraria ed assimilabile alla figura del mandato onorario (v. Cass., 13/09/2022, n. 26895; Cass., 22/01/2019, n. 1557).
La non applicabilità in via analogica dell’art. 1720 cod.civ. discende dalle seguenti considerazioni che il Collegio intende ribadire:
– il titolare di carica elettiva, assimilato al funzionario onorario, che svolge l’incarico affidatogli in piena discrezionalità e senza vincolo di mandato con l’Ente politico presso il quale è stato eletto, in assenza degli elementi caratterizzanti dell’impiego pubblico (quali: 1-la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnicoamministrativo effettuata mediante procedure concorsuali, che, si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una scelta politico-discrezionale, 2-l’inserimento strutturale del dipendente nell’apparato organizzativo della p.a., rispetto all’inserimento meramente funzionale del funzionario onorario, 3-lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego, che si contrappone ad una disciplina del rapporto di funzionario onorario derivante pressoché esclusivamente dall’atto di conferimento dell’incarico e dalla natura dello stesso, 4-il carattere retributivo – perché inserito in un rapporto sinallagmatico – del compenso percepito dal pubblico dipendente, rispetto al carattere indennitario rivestito dal compenso percepito dal funzionario onorario, 5-la durata tendenzialmente indeterminata del rapporto di pubblico impiego a fronte della normale temporaneità dell’incarico onorario) che giustificano, ex art. 1720 cod.civ., il
rimborso delle spese sostenute dal dipendente pubblico fanno difetto invece quando il rimborso sia chiesto dal c.d. funzionario onorario;
-non appare pertinente il richiamo all’analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell’ordinamento; vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche fra loro, e la detta diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell’ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono del loro operato (Cass. 24/05/2010, n. 12645; Cass. 25/09/2014, n. 20193);
-le disposizioni che riconoscono espressamente il diritto al rimborso delle spese legali non sono suscettibili di interpretazione analogica, né estensiva, ma non è ammissibile neppure l’applicazione del diritto comune, perché l’adattamento alla funzione pubblica dell’amministratore di un istituto tipico della sfera di cooperazione giuridica nei rapporti tra privati, qual è il mandato, non può non risultare forzato, considerando: a) la radicale incompatibilità con la suddetta funzione pubblica, improntata ad autonomia e responsabilità anche politico-istituzionale, delle tipiche modalità di svolgimento del mandato privatistico (ancorché privo di rappresentanza); b) gli obblighi del mandatario: di attenersi alle direttive del mandante, di comunicargli le circostanze sopravvenute suscettibili di determinare la revoca o la modificazione dell’incarico, di presentare il rendiconto del proprio operato; c) l’esigenza di un rapporto di dipendenza con l’ente nel cui ambito è stata espletata la funzione pubblica;
l’art. 1720, 2° comma, cod.civ. iscrive l’obbligo del mandante nell’ambito di una fattispecie risarcitoria che, per sua natura, richiede che il danno subìto dal mandatario si ponga in rapporto di diretta derivazione causale con l’espletamento dell’incarico. Detto
nesso di diretta derivazione causale viene eliso nell’ipotesi di processo penale intentato a carico dell’esponente -dal sopravvenire di un evento esterno, costituito dall’accusa sulla base della quale il processo penale viene instaurato; cosicché il danno trova, nell’espletamento dell’incarico, un’occasione ma non la causa, intesa quale eziologia diretta -del suo verificarsi. La distinzione ex art.1720, 2° co., c.c. tra rapporto di causa ed occasionalità nella risarcibilità del danno subito dal mandatario già ritenuta dirimente, nella sua più ampia portata, da Cass., Sez. Un., n. 10680 del 14/12/1994 con riguardo al rapporto tra l’amministratore e la società di capitali, fattispecie peraltro assai più vicina al mandato di quella qui in esame – ha successivamente trovato applicazione proprio con specifico riguardo ad incarichi di natura pubblicistica, quale quello del consigliere comunale: soggetto al quale non spetta il rimborso delle spese effettuate per difendersi in un processo penale, pur riferito a fatti connessi all’incarico. E ciò non soltanto qualora egli venga riconosciuto colpevole in tale processo, ma anche quando venga prosciolto dall’imputazione, <> (Cass. 03/04/2013, n. 8103; Cass. 16/04/2008, n. 10052; Cass. 25/09/2014, n. 20193; Cass. 08/03/2019, n. 6745; Cass. 13/09/2022, n. 26895; Cass. 8535/2024, cit.).
2) Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 86, 4° comma, TUEL, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte territoriale ha negato il rimborso per la mancata previsione da parte del Comune di Trani della copertura finanziaria in bilancio, la quale sarebbe
errata, secondo quanto prospetta il ricorrente, perché la condizione di invarianza di cui all’art. 86 TUEL, secondo cui cioè il rimborso delle spese per la difesa legale non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, non degrada a interesse legittimo il diritto del pubblico funzionario, essendo una previsione di carattere contabile dettata per l’esigenza di rispettare l’equilibrio di bilancio, ma non idonea ad assegnare all’ente comunale facoltà discrezionali.
Con il terzo motivo il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 1720 e 1223 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
La tesi del ricorrente è che la Corte territoriale abbia erroneamente preteso la prova di aver già corrisposto il compenso al difensore, perché, dovendo trovare applicazione analogica l’art. 1720 cod.civ., indipendentemente dall’adempimento della pretesa del terzo creditore, aveva subito una perdita ai sensi dell’art. 1223 cod.civ.
I motivi secondo e terzo sono inammissibili per difetto di interesse. Essendo la decisione impugnata basata su una pluralità di rationes decidendi , trova applicazione il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum , per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo
obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 19/05/2021, n. 13595).
Questa, infatti, è intesa all’annullamento della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni.
Al rigetto e all’inammissibilità dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Comune di Trani, seguono la soccombenza.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis , 2° comma, cod.proc.civ. a seguito di proposta di infondatezza del Consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, applica l’art. 96, 3° e 4° comma, cod.proc.civ., come previsto dall’art. 380 -bis , ult. comma, cod.proc.civ.
Sulla scorta di quanto esposto, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di euro 3.000,00 (valutata equitativamente in relazione al valore della controversia) in favore del controricorrente ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ., e al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende ex art. 96, 4° comma, cod.proc.civ., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Trani, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per
onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 3.000,00 ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ.; condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende ex art. 96, 4° comma, cod.proc.civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, in favore dell’ufficio del merito competente, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile