Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 799 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 799 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto: comunione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24762/2017 R.G. proposto da COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Genova, INDIRIZZO
-RICORRENTE –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME.
-INTIMATI- avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 597/2018, pubblicata in data 9.4.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ottenuta la divisione giudiziale dell’eredità materna con sentenza passata in giudicato, ha agito in giudizio verso NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME figli della coerede NOME COGNOME chiedendo il pagamento della propria quota di spettanza dei canoni di locazione dell’immobile comune, percepiti dai convenuti dal 1997 al 2011.
NOME COGNOME ha ammesso di aver percepito i canoni dal 2008 al 2010, affermando che la sorella NOME aveva incassato le somme in via esclusiva per il periodo pregresso e che, successivamente, gli importi erano stati ripartiti tra tutti i comproprietari.
NOME COGNOME in proprio e quale amministratrice di sostegno di NOME COGNOME ha contestato la domanda, chiedendone l’integrale rigetto .
Esaurita l’istruttoria , il Tribunale ha condannato NOME COGNOME al pagamento del 50% dei canoni percepiti dal 2008 al 2010 e NOME COGNOME al pagamento di € 22.800, pari al 50% dei canoni versati dal conduttore dal 1997 al 2012, dichiarando la prescrizione per i crediti maturati prima del 1997 e regolando le spese.
La sentenza è stata integralmente confermata in appello.
Ritenuta la regolarità del rapporto processuale e la validità della procura alle liti apposta sull’originale dell’atto introduttivo andato smarrito e poi ricostruito, il giudice distrettuale ha escluso che la domanda di pagamento dei canoni dovesse esser proposta nel precedente giudizio di divisione; nel merito, ha ritenuto incontestato che NOME COGNOME avesse percepito integralmente i canoni dal 1997 al 2008, disponendo il rimborso. Ha compensato le spese di lite, salvo che nei rapporti tra l’attore e NOME COGNOME a cui carico ha posto le spese di entrambi i gradi di causa.
La cassazione della sentenza è chiesta da NOME COGNOME con ricorso in quattro motivi.
Nessuna delle controparti ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 82, comma terzo, 83, 115 e 165 c.p.c., deducendo l’inammissibilità della
domanda per difetto di procura, evidenziando che il fascicolo di parte attrice era stato smar rito e ricostruito e che l’attore, che aveva notificato una prima citazione senza iscrivere la causa a ruolo, aveva riassunto il giudizio avvalendosi della procura apposta in calce alla citazione originaria che, però, non poteva ritenersi materialmente congiunta all’atto introduttivo ; si deduce, inoltre, che il COGNOME aveva tardivamente inserito detta citazione nel fascicolo ricostruito.
Il motivo è infondato.
Assume la ricorrente che la procura originaria presente in calce all’atto andato smarrito, prodotto in copia, non potrebbe considerarsi apposta su foglio congiunto, stante l’assenza di data e di riferimenti al giudizio di merito, evidenziando che l’atto si concludeva con una pagina bianca cui seguivano le relate di notifica e che la procura rilasciata su un foglio avente un numero non consecutivo e un differente carattere grafico.
Tale assunto non può essere condiviso.
Già la Corte di merito aveva rilevato che l’originaria procura , con cui il difensore era stato autorizzato anche a procedere alla riassunzione, era apposta in calce alla citazione notificata e tale collocazione non era superata dalle discrasie evidenziate in ricorso, alla luce del fatto che la procura alle liti -ove rilasciata in calce o margine della citazione o su foglio congiunto materialmente all’atto introduttivo, tanto in assenza, quanto in presenza di timbri di congiunzione (Cass. s.u. 36057/2022) – è valida ed è riferibile al processo cui accede, non rilevando la diversità dei caratteri a stampa dei due atti, né altri requisiti di forma, nessuno dei quali è prescritto a pena di nullità (Cass. 23777/2011; Cass. 2642/1998), né l’eventuale mancanza di data (Cass. 18915/2012; Cass. 34259/2019; Cass. 24671/2022).
Quanto al tardivo deposito degli atti processuali, di tali contestazioni – che riguardando il giudizio di primo grado dovevano essere oggetto dei motivi di appello ai sensi dell’art. 161 c.p.c., restando altrimenti preclusi in cassazione- non dà atto la sentenza impugnata, né il ricorso chiarisce se e quando siano stati specificamente posti all’esame del giudice del gravame, apparendo la censura priva dei necessari riferimenti alle vicende processuali e perciò inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c..
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., sostenendo che, essendo il contratto di locazione soggetto alla forma scritta per la validità, non era invocabile il principio di non contestazione, né poteva ritenersi provato che i convenuti avessero effettivamente locato l’immobile comune.
Il motivo è infondato.
Il contratto di locazione veniva in rilievo quale fatto produttivo dei vantaggi che la cosa comune era capace di produrre e che ciascun condividente aveva titolo a conseguire; la domanda trovava titolo nella situazione di comproprietà e nell’uso indiretto del bene da parte di taluni soltanto dei comproprietari, non operando i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, che vengono in considerazione esclusivamente quando il contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo (Cass. 566/2001; Cass. 3336/2015; Cass. 5880/2021).
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 112 c.p.c., per aver la Corte di merito ordinato il pagamento di una somma superiore a quella richiesta, sull’assunto che NOME
COGNOME non avesse negato di aver percepito per intero i canoni di locazione dal 1997 al 2008, circostanza che nessuna delle parti avrebbe mai dichiarato, essendo le tesi difensive contrastanti.
Risulterebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo la sentenza disposto il rimborso, a carico esclusivo della ricorrente, dei canoni percepiti fino al 2008, oltre a quelli incassati da NOME COGNOME e alle somme, relative al periodo corrente dal giugno 2011 al febbraio 2012, non oggetto di domanda.
Il motivo non merita accoglimento.
La sentenza di appello è integralmente confermativa della quantificazione dei rimborsi operata dal Tribunale e, pertanto, la violazione del principio della domanda doveva essere sollevata già contro la prima pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e dedotta con i motivi di gravame (Cass. 29923/2023; Cass. 23209/2023; Cass. 22877/2023; Cass. 17754/2023; Cass. 382/2023; Cass. 31798/2022; Cass. 18486/2020; Cass. 10172/2015; Cass. s.u. 15277/2001).
La violazione del principio della domanda non riguarda, poi, il non corretto utilizzo dei criteri di accertamento dei fatti costitutivi della domanda, che attiene alla fondatezza della pretesa, ma alla necessaria corrispondenza tra il chiesto e il domandato, nel senso che il giudice non può riconoscere un bene della vita diverso da quello preteso o porre a fondamento della pronuncia fatti costitutivi non dedotti dall’attore (Cass. 455/2011; Cass. 18868/2015; Cass. 9002/2018; Cass. 12014/2019).
E’ perciò irrilevante stabilire se effettivamente la condanna abbia riguardato sole le somme che le parti avevano ammesso di aver percepito, essendo indubbio che NOME COGNOME aveva domandato il rimborso della quota di sua spettanza dell’intero canone di
locazione dell’immobile comune versato dai conduttori a far data dal l’apertura della successione, per cui la Corte di merito, avendo riconosciuto un importo inferiore, non ha ecceduto dai limiti della domanda.
Per altro verso, non può avere ingresso in questa sede la diversa interpretazione delle contestazioni formulate in giudizio dalle parti, finalizzate ad una diversa individuazione dei diversi periodi in cui la ricorrente avrebbe -a suo dire – percepito, per intero o pro quota, i canoni di locazione dell’immobile comune, in contrasto con le conclusioni motivatamente assunte da entrambi i giudici di merito, cui competeva accertare quali fatti fossero pacifici (Cass. 9429/2023; Cass. 3572/2021; Cass. 27490/2020; Cass. 3680/2019; Cass. 23940/2017; Cass. 10182/2007), dovendo peraltro evidenziarsi che NOME COGNOME aveva dichiarato di aver percepito solo parte dei canoni ( in modo quasi integrale ) maturati nel periodo 20082010 e non per l’intero (cfr. ricorso pag. 15), giustificandosi la condanna al rimborso di tali somme anche dell’attuale ricorrente.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per aver la pronuncia posto le spese processuali a carico della sola ricorrente con la sola compensazione di un terzo, trascurando la fondatezza delle eccezioni sollevate dalla ricorrente, che avevano condotto all’accoglimento solo parziale della domanda, e del rigetto di quelle sollevate dagli altri convenuti in cui favore era stata, però, disposta la compensazione integrale.
Il motivo è inammissibile.
Essendo la COGNOME risultata soccombente, non può dolersi della mancata compensazione integrale delle spese di lite: la facoltà di disporre la compensazione in tutto o in parte rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, cui compete anche stabilire il
grado e la percentuale della disposta compensazione, con valutazione insindacabile in cassazione.
Il ricorso è- quindi – respinto.
Non luogo a provvedere sulle spese, non avendo gli intimati svolto difese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda