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Rigetto istanza fallimento: non è giudicato definitivo

Una società di costruzioni, dichiarata fallita, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che un precedente rigetto istanza fallimento avrebbe dovuto impedire una nuova azione. La Corte ha respinto il ricorso, chiarendo che tale rigetto non costituisce giudicato definitivo. Un creditore può quindi ripresentare l’istanza se basata su nuovi elementi, come un ulteriore credito che fa superare la soglia di legge.

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Rigetto istanza fallimento: non è giudicato definitivo e si può riproporre

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha affrontato un’importante questione in materia fallimentare, chiarendo la natura e gli effetti del rigetto istanza fallimento. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, un primo diniego non chiude definitivamente la porta a una successiva dichiarazione di fallimento, a condizione che emergano nuovi elementi. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sulla non definitività del decreto di rigetto e sul principio del ne bis in idem in questo specifico contesto.

I Fatti di Causa

Una società di costruzioni veniva dichiarata fallita dal Tribunale su istanza di un creditore. La società e il suo legale rappresentante proponevano reclamo alla Corte d’Appello, la quale però confermava la sentenza di primo grado.

I reclamanti decidevano quindi di rivolgersi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali:

1. Mancata prova dei requisiti dimensionali: Sostenevano di non possedere i requisiti soggettivi per essere assoggettati a fallimento, ritenendo insufficiente la valutazione del giudice d’appello sulla documentazione prodotta (bilanci e libro giornale).
2. Mancato superamento della soglia di debito: Contestavano che uno dei due crediti posti a base dell’istanza, per un importo di circa 7.000 euro, fosse da attribuire alla persona fisica del legale rappresentante e non alla società, facendo così venir meno la soglia minima di 30.000 euro di debiti scaduti.
3. Violazione del principio del ne bis in idem: Evidenziavano come una precedente istanza di fallimento, promossa dallo stesso creditore, fosse stata rigettata. La nuova istanza, a loro dire, si basava sugli stessi presupposti e avrebbe quindi violato il divieto di essere giudicati due volte per la stessa cosa.

Il rigetto istanza fallimento e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarando inammissibili i primi due motivi e infondato il terzo.

Per quanto riguarda i requisiti dimensionali e la soglia del debito, la Corte ha ribadito che il ricorso per cassazione non è una sede per riesaminare il merito delle prove. Il giudice di appello aveva motivatamente ritenuto insufficiente la documentazione contabile e aveva accertato, con una valutazione di fatto non sindacabile in Cassazione, che entrambi i crediti fossero imputabili alla società. Tentare di ottenere una nuova valutazione delle prove documentali in sede di legittimità è un’operazione non consentita.

Il punto cruciale della decisione risiede però nell’analisi del terzo motivo, quello relativo al principio del ne bis in idem e agli effetti di un precedente rigetto istanza fallimento.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha fornito una spiegazione chiara e netta sulla natura del decreto che rigetta un’istanza di fallimento. Le motivazioni si possono riassumere nei seguenti punti chiave:

1. Il decreto di rigetto non ha valore di giudicato: La giurisprudenza consolidata afferma che il provvedimento con cui si rigetta un’istanza di fallimento non è definitivo e non ha natura decisoria su diritti soggettivi. Di conseguenza, non acquista l’autorità di cosa giudicata ai sensi dell’art. 2909 c.c. Questo significa che non può impedire la promozione di un nuovo e diverso giudizio per la dichiarazione di fallimento.

2. Preclusione di mero fatto e nuovi elementi: Sebbene non si formi un giudicato, il primo rigetto crea una preclusione “di mero fatto”. Ciò significa che non si può riproporre un’istanza identica basata esattamente sugli stessi elementi già esaminati. Tuttavia, è sempre possibile presentare una nuova istanza se questa si fonda su elementi sopravvenuti o su fatti preesistenti ma non dedotti nel primo procedimento.

3. Il nuovo titolo di credito come “fatto nuovo”: Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente identificato l’elemento di novità. Tra il primo rigetto e la seconda istanza, il creditore aveva ottenuto un ulteriore titolo esecutivo (una sentenza del Giudice di Pace). La produzione di questo nuovo titolo, che ha permesso di superare la soglia di 30.000 euro di crediti scaduti, ha costituito il “fatto nuovo” che legittimava pienamente la riproposizione della domanda, senza violare il principio del ne bis in idem.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza un principio fondamentale del diritto fallimentare: il rigetto istanza fallimento non è una sentenza tombale. Esso rappresenta una fotografia della situazione economica e giuridica del debitore in un dato momento, ma non impedisce che una successiva fotografia, scattata alla luce di nuovi elementi, possa portare a un esito diverso. Per i creditori, ciò significa che un primo insuccesso non preclude la possibilità di agire nuovamente se, ad esempio, riescono a documentare ulteriori crediti o se emergono nuovi indizi dello stato di insolvenza. Per i debitori, invece, rappresenta un monito a non considerare un rigetto come una garanzia di immunità perpetua dal fallimento, soprattutto se la loro situazione debitoria peggiora nel tempo.

Un decreto di rigetto di un’istanza di fallimento impedisce al creditore di riproporre la stessa istanza in futuro?
No, il decreto di rigetto non ha valore di giudicato definitivo. Pertanto, il creditore può presentare una nuova istanza se si basa su elementi nuovi, come un ulteriore credito che permette di superare la soglia di legge, o su fatti preesistenti ma non dedotti nel primo giudizio.

A chi spetta l’onere di provare la non sussistenza dei requisiti per essere dichiarati falliti?
L’onere della prova spetta all’imprenditore debitore. Secondo la Corte, tale prova deve essere fornita attraverso documentazione idonea, come i bilanci degli ultimi tre esercizi regolarmente approvati e depositati presso il registro delle imprese. La mancanza di tale documentazione o la sua incompletezza può portare il giudice a ritenerla non sufficiente.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di appello?
No, il ricorso per cassazione non è una sede per riesaminare nel merito le prove e i fatti. La Corte di Cassazione valuta solo la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di grado inferiore su questioni di fatto, come l’attribuzione di un debito a una società anziché a una persona fisica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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