Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29341 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29341 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7216-2024 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 221/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/01/2024 R.G.N. 2677/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Licenziamento
R.G.N.7216NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 22/10/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE volto a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 9.6.2020, con cui le era stata addebitata l’assenza ingiustificata dall’11 al 15 maggio 2020, non avendo preso servizio presso la sede di Corleto in Perticara dove era stata trasferita.
Per quanto qui ancora rilevi, la Corte di Appello ha respinto il secondo motivo di gravame della COGNOME che aveva censurato la sentenza del Tribunale nella parte in cui ‘non avrebbe tenuto conto della buona fede della lavoratrice, della sua disponibilità a lavorare a Roma e dell’oggettiva impossibilità di recarsi a Potenza, essendo madre di due figli di due e tre anni’.
Ha rilevato la Corte: ‘è documentato e incontestato che la società appellata già dal 27 gennaio 2020 non aveva più alcuna sede in Roma, talché era impossibile la sua assegnazione nella precedente sede o presso altra dipendenza sita in Roma. Ne consegue che sussistono palesemente le esigenze organizzative poste a fondamento del disposto trasferimento, non avendo la società datrice alcuna sede in Roma a cui adibire la lavoratrice’. Ha aggiunto: ‘peraltro, anche ove la società avesse avuto una sede a Roma o dintorni (circostanza mai dedotta), la lavoratrice ha allegato generiche e non meglio precisate ‘oggettive ragioni familiari’ nonché la ‘impossibilità materiale di trasferirsi a Po tenza’, senza mai precisare le concrete ragioni ostative al suo trasferimento, ovvero quali fossero i motivi che le rendevano
impossibile il trasferimento a Corleto Perticara, sebbene comunicatole sin dal febbraio 2020′.
La Corte territoriale ha dunque concluso nel senso che, ‘anche ove il trasferimento fosse stato illegittimo, non sussistono elementi per ritenere che il rifiuto della lavoratrice a rendere la prestazione nella nuova sede assegnatale sia sorretto da buona f ede’.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con quattro motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società.
In prossimità dell’adunanza camerale del 9 aprile 2025, parte ricorrente ha comunicato memoria. Per impedimento del relatore la causa è stata poi rinviata al 22 ottobre 2025.
All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECSIONE
I motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta da parte ricorrente:
1.1. Con il primo motivo di ricorso viene denunciata ‘sub art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione di principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di libertà delle forme dell’atto giudiziale (artt. 112 e 121 c.p.c.) laddove il Tribunale di Roma, senza alcun esame né motivazione omessi dal Giudice del Gravame, assumeva essere la lavoratrice decaduta dai termini di legge dall’impugnazione del trasferimento, presupposto ai motivi di licenziamento, per non aver formulato la domanda nel ricorso, laddove invece da lla lettura complessiva dell’atto tale impugnativa era stata compiutamente svolta e il ricorso depositato entro i 180 giorni di legge’.
1.2. Con il secondo motivo viene censurata ‘sub art 360 n. 4 c.p.c. la sentenza impugnata per nullità, stante la violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove la violazione della norma citata, espressione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ha determinato un vizio extraformale della sentenza, che ammette la Suprema Corte di Cassazione alla revisione anche nel merito del giudizio’.
1.3. Con il terzo motivo vengono denunciati ‘sub art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 2103 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1460 comma 2 c.c. sia per errore di sussunzione del caso concreto alla fattispecie astratta della norma citata, sia per illogicità ed antigiuridicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine all’omesso esame e verifica di tutti gli elementi imprescindibili del caso concreto ai fini del bilanciamento tra gli interessi delle parti in gioco, rispetto da un lato a l grave inadempimento del datore di lavoro e dall’altro alla sua entità ed incidenza sul contratto di lavoro e sulle oggettive esigenze familiari della lavoratrice, impeditive del trasferimento, ricorrendo peraltro anche la violazione dell’art. 2909 c.c. i n ordine alla disapplicazione dell’efficacia del giudicato esterno della sentenza 256/2020 del Tribunale di Roma’.
1.4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ‘l’omesso esame della questione inerente l’accertamento con effetto di giudicato esterno della sentenza 256/2020 del Tribunale di Roma dell’assenza di ragioni tecniche organizzative giustificative del datore di lavoro ai fini del trasferimento della lavoratrice e della conseguente assenza di giusta causa di licenziamento, precludendo tale omissione al giudice di procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni
inadempiute rispetto alla funzione economico sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede ex articoli 1175 e 1375 c.c., e ai sensi dello stesso cpv. dell’articolo 1460 c.c. ‘.
2. Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo e secondo motivo, esaminabili congiuntamente per connessione in quanto concernenti la questione della impugnazione del trasferimento, sono inammissibili.
Infatti, oltre a venir censurata nella sostanza una statuizione resa dal solo Tribunale, le doglianze ivi contenute non sono idonee a confutare l’essenziale ratio decidendi della sentenza di secondo grado, secondo cui ‘ anche ove il trasferimento fosse stato illegittimo, non sussistono elementi per ritenere che il rifiuto della lavoratrice a rendere la prestazione nella nuova sede assegnatale sia sorretto da buona fede’.
2.2. Il terzo mezzo è da respingere.
La Corte territoriale ha applicato il disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del consolidato orientamento di legittimità secondo il quale il lavoratore può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, non risulti contrario a buona fede (cfr. per tutte Cass. n. 11408 del 2018; conf. Cass. n. 14138 del 2018; Cass. n. 21391 del 2019), tenendo conto ‘della entità dell’inadempimento datoriale in relazione al comples sivo assetto di interessi regolato dal contratto’ così come ‘della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore’ (in conf., tra le altre, Cass. n. 4404 del 2022 e Cass. n. 30080 del 2024).
Inevitabilmente la ‘valutazione delle circostanze del caso concreto’ spetta al giudice cui compete il merito (Cass. n. 12777
del 2019; Cass. n. 434 del 2019; ancora, da ultimo, Cass. n. 2153 del 2025).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha operato tale valutazione tenendo conto, da un lato, che risultava ‘documentato e incontestato’ che la società dal gennaio 2020 non avesse più alcuna sede in Roma , e, d’altro canto, che la ricorrente non aveva mai precisato ‘le concrete ragioni ostative al suo trasferimento, ovvero quali fossero i motivi che le rendevano impossibile il trasferimento a Corleto Perticara’.
Rispetto a tali assunti, il motivo propone una diversa ricostruzione dei fatti, implicanti apprezzamenti di merito, come risulta conclamato dal diffuso riferimento, nell’illustrazione della censura, alle risultanze di atti di causa nonché dall’impropria de nuncia del vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
Come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre).
2.3. Anche l’ultimo motivo del ricorso non può trovare accoglimento.
Si denuncia, infatti, il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, lamentando un ‘omesso esame di questione e prova’.
In particolare, non viene identificato l’omesso esame di un fatto storico, appartenente alla vicenda storica che ha dato origine alla controversia, quanto piuttosto l’omessa valutazione della ‘incidenza dell’attività di cessione del ramo d’azienda da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, dichiarata illecita e nulla dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 256/2020′, passata in cosa giudicata (di cui, peraltro, non vengono riportati i contenuti); circostanze attinenti a questioni processuali, per di più affatto decisive, tenuto conto che la declaratoria di inopponibilità della cessione del contratto della lavoratrice alla cessionaria di un ramo d’azienda, non determina automaticamente la nullità della cessione d’azienda nel suo complesso.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
La Corte rigetta il ricorso e condanna la soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.500,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2025.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME