LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Rifiuto trasferimento lavoratore: quando è legittimo?

Un’ordinanza della Cassazione analizza il caso di licenziamento di una dipendente a seguito del suo rifiuto trasferimento lavoratore. La Corte ha stabilito che, anche in presenza di un trasferimento potenzialmente illegittimo, il rifiuto del lavoratore di prendere servizio nella nuova sede deve essere sorretto da buona fede, altrimenti il licenziamento è legittimo. Nel caso specifico, la chiusura totale della sede originaria e la genericità delle motivazioni familiari addotte dalla lavoratrice hanno reso il suo rifiuto contrario a buona fede.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rifiuto Trasferimento Lavoratore: La Buona Fede è Decisiva

Il rifiuto trasferimento lavoratore è una questione delicata che si pone all’incrocio tra le esigenze organizzative dell’azienda e i diritti del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri da adottare per valutare la legittimità del licenziamento conseguente al rifiuto del lavoratore di prendere servizio nella nuova sede. La decisione sottolinea come, anche a fronte di un trasferimento potenzialmente illegittimo, il comportamento del lavoratore debba sempre essere improntato al principio di buona fede.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda una lavoratrice, madre di due figli in tenera età, licenziata per assenza ingiustificata dopo aver rifiutato il trasferimento disposto dal suo datore di lavoro. L’azienda aveva infatti chiuso la propria sede di Roma, dove la dipendente aveva sempre prestato servizio, e le aveva assegnato una nuova postazione in un’altra regione. La lavoratrice si era opposta al trasferimento, adducendo ‘oggettive ragioni familiari’ e l’impossibilità materiale di spostarsi, e non si era presentata al lavoro nella nuova sede. Di conseguenza, l’azienda le aveva intimato il licenziamento disciplinare. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’azienda, ritenendo il licenziamento legittimo. La lavoratrice ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte sul Rifiuto Trasferimento Lavoratore

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando la validità del licenziamento. Il punto centrale della decisione non è tanto la legittimità o meno del trasferimento in sé, quanto la valutazione del comportamento della dipendente. La Corte ha stabilito che il rifiuto del lavoratore di adempiere alla propria prestazione, a fronte di un presunto inadempimento del datore di lavoro (come un trasferimento illegittimo), deve essere valutato secondo i canoni della buona fede e della correttezza, come previsto dall’art. 1460 del codice civile.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione dell’ordinanza si fonda su un’attenta ponderazione degli interessi in gioco.

Il Principio di Proporzionalità e Buona Fede

I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di eseguire la prestazione lavorativa solo se il suo rifiuto è proporzionato e non contrario a buona fede. In altre parole, la reazione del dipendente all’inadempimento aziendale deve essere ragionevole e giustificata dalle circostanze specifiche.

La Valutazione del Caso Concreto

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il rifiuto della lavoratrice non fosse sorretto da buona fede per due ragioni principali:

1. Esigenze Organizzative Effettive: Era un fatto documentato e non contestato che l’azienda non avesse più alcuna sede operativa a Roma. La chiusura della sede rendeva oggettivamente impossibile l’assegnazione della lavoratrice in quella città, fondando il trasferimento su palesi esigenze organizzative.
2. Genericità delle Motivazioni Familiari: La lavoratrice si era limitata ad allegare generiche ‘ragioni familiari’ e una ‘impossibilità materiale’ a trasferirsi, senza però mai specificare quali fossero le concrete ragioni che le impedivano di accettare la nuova sede. Secondo la Corte, per giustificare un rifiuto così netto, non è sufficiente invocare difficoltà familiari in modo astratto, ma è necessario dimostrare motivi specifici e concreti che rendano il trasferimento effettivamente insostenibile.

La Corte ha concluso che, data la chiara esigenza organizzativa dell’azienda e la mancata specificazione di ostacoli insormontabili da parte della lavoratrice, il suo rifiuto di presentarsi al lavoro era contrario a buona fede e, pertanto, il licenziamento per assenza ingiustificata era legittimo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione importante per lavoratori e datori di lavoro. Per un lavoratore, non è sufficiente ritenere un trasferimento illegittimo per giustificare un rifiuto categorico a presentarsi in servizio. È fondamentale che tale rifiuto sia una risposta proporzionata e basata su motivazioni solide e dettagliate, specialmente se di natura personale o familiare. Le difficoltà devono essere concrete e dimostrabili, non meramente asserite. Per le aziende, la decisione conferma che, in presenza di comprovate e non pretestuose esigenze tecnico-organizzative, come la chiusura di una sede, il potere di disporre il trasferimento dei dipendenti è rafforzato, a condizione che venga esercitato nel rispetto dei limiti di legge.

Un lavoratore può sempre rifiutare un trasferimento che ritiene illegittimo?
No, non sempre. Secondo la Corte, il rifiuto è legittimo solo se è proporzionato all’inadempimento del datore di lavoro e se è sorretto da buona fede, dopo aver attentamente valutato tutte le circostanze specifiche del caso.

Cosa significa che il rifiuto del lavoratore deve essere esercitato ‘in buona fede’?
Significa che il rifiuto non deve essere pretestuoso o strumentale. La decisione del lavoratore di non adempiere alla propria prestazione deve essere una reazione corretta e ragionevole alla presunta violazione contrattuale del datore, tenendo conto degli interessi di entrambe le parti.

Le ragioni familiari generiche sono sufficienti a giustificare il rifiuto di un trasferimento?
No. Questa ordinanza chiarisce che il lavoratore deve precisare le ‘concrete ragioni ostative’ al trasferimento. Non è sufficiente addurre generiche ‘oggettive ragioni familiari’, ma è necessario indicare quali motivi specifici rendano il trasferimento materialmente impossibile o eccessivamente gravoso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati