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Riduzione della penale: quando il giudice può farlo

Un dirigente si dimette per giusta causa a un mese dalla scadenza di un patto di stabilità triennale, attivando una penale milionaria. L’azienda chiede la riduzione della penale. La Corte di Cassazione stabilisce che la richiesta di riduzione è ammissibile anche in appello e può essere disposta d’ufficio dal giudice. La valutazione non deve basarsi sulla disparità economica tra le parti, ma sull’interesse del creditore al momento dell’inadempimento, secondo i principi di correttezza e buona fede.

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Riduzione della penale: la Cassazione fissa i paletti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nei rapporti contrattuali, specialmente nel diritto del lavoro dirigenziale: la riduzione della penale per inadempimento. Il caso, relativo a un patto di stabilità interrotto a un solo mese dalla scadenza, ha permesso ai giudici di riaffermare principi fondamentali sulla valutazione dell’eccessività della penale e sui poteri del giudice, anche in appello. L’intervento della Corte chiarisce come i principi di correttezza e buona fede debbano guidare l’equilibrio contrattuale, anche quando è stata pattuita una cifra forfettaria a titolo di risarcimento.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dall’assunzione di un dirigente con l’incarico di amministratore delegato di una banca controllata da una grande società di servizi. Tra le parti veniva stipulato un accordo che includeva una “clausola di stabilità” della durata di tre anni. Questo patto prevedeva il pagamento di una penale molto elevata (pari a 36 mensilità della retribuzione lorda) nel caso in cui la società avesse interrotto il rapporto prima della scadenza, o se il dirigente si fosse dimesso per giusta causa. Tra le ipotesi di giusta causa era esplicitamente previsto il mancato mantenimento della carica di amministratore delegato.

A solo un mese dalla scadenza del triennio, la società comunicava al dirigente il mancato rinnovo della carica e il recesso dall’accordo di stabilità. Di conseguenza, il dirigente esercitava il proprio diritto di recesso per giusta causa, chiedendo il pagamento della penale milionaria pattuita.

La Corte d’Appello, pur riconoscendo il diritto del dirigente a percepire l’indennità, dichiarava inammissibile la richiesta della società di ridurre l’importo della penale, ritenendola una domanda nuova. Aggiungeva, inoltre, che la riduzione non sarebbe stata comunque possibile a causa della notevole differenza economica tra le parti e della natura “indivisibile” dell’obbligo di stabilità.

La questione della riduzione della penale in appello

Il punto centrale del ricorso in Cassazione riguarda proprio la riduzione della penale. La società ha contestato la decisione della Corte d’Appello sotto tre profili principali:

1. L’ammissibilità della domanda in appello: La Cassazione ha accolto questo motivo, ribadendo un orientamento consolidato: la domanda di riduzione della penale può essere proposta per la prima volta in appello. Anzi, il giudice ha il potere di intervenire anche d’ufficio, cioè di propria iniziativa, per ricondurre l’autonomia contrattuale entro i limiti della meritevolezza tutelati dall’ordinamento.
2. L’impossibilità di esecuzione parziale: La Corte ha smontato l’argomentazione secondo cui l’obbligo di stabilità non sarebbe suscettibile di adempimento parziale. Al contrario, le clausole di stabilità sono per loro natura soggette a un’esecuzione che si protrae nel tempo (diacronica), e proprio per questo l’inadempimento può essere parziale. Il fatto che il rapporto si sia interrotto a un solo mese dalla scadenza è una circostanza decisiva per valutare l’eccessività della penale.
3. La disparità economica tra le parti: I giudici di legittimità hanno chiarito che la notevole capacità patrimoniale del debitore (la società) non è un motivo valido per escludere la riduzione. Un simile criterio porterebbe all’assurda conseguenza di convalidare qualsiasi penale, anche se sproporzionata, solo perché il debitore è economicamente solido, causando un ingiusto arricchimento per il creditore.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto i primi tre motivi del ricorso, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa ad un’altra sezione della stessa per una nuova valutazione. Ha invece rigettato gli altri motivi relativi al calcolo di bonus e incentivi, ritenendoli inammissibili per questioni procedurali.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su principi cardine del nostro ordinamento. In primo luogo, ha sottolineato che il potere del giudice di ridurre la penale, previsto dall’art. 1384 c.c., è uno strumento di controllo dell’autonomia privata, volto a garantire che gli accordi contrattuali non creino squilibri gravi, in violazione dei principi di solidarietà, correttezza e buona fede (artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c.).

In secondo luogo, ha chiarito che la valutazione sull’eccessività della penale non deve limitarsi all’interesse che il creditore aveva al momento della firma del contratto. È fondamentale considerare anche il momento in cui si è verificato l’inadempimento e la sua effettiva incidenza sull’equilibrio del rapporto. Nel caso di specie, l’interesse del dirigente alla stabilità era stato soddisfatto per quasi la totalità del periodo pattuito (35 mesi su 36). Ignorare questa circostanza, secondo la Corte, significa disapplicare i principi di diritto che regolano la materia.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per le parti che stipulano contratti contenenti clausole penali. Anche se l’importo è liberamente pattuito, esso non è intangibile e può essere soggetto al controllo del giudice. La decisione rafforza il principio secondo cui il risarcimento forfettario non deve tradursi in un ingiustificato arricchimento, ma deve essere proporzionato all’effettivo interesse leso dall’inadempimento, valutato alla luce dell’intera esecuzione del rapporto contrattuale. Il giudice del rinvio dovrà quindi ricalcolare l’importo dovuto al dirigente, tenendo conto del fatto che l’inadempimento della società è stato minimo rispetto alla durata complessiva del patto di stabilità.

È possibile chiedere la riduzione di una clausola penale per la prima volta in appello?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la richiesta di riduzione della penale può essere avanzata per la prima volta in appello. Inoltre, il giudice può procedere alla riduzione anche d’ufficio, cioè di propria iniziativa, senza una specifica richiesta delle parti.

Quali criteri deve usare il giudice per decidere se ridurre una penale?
Il giudice deve valutare se la penale è ‘manifestamente eccessiva’ considerando l’interesse che il creditore aveva all’adempimento. Questa valutazione non va fatta solo con riferimento al momento della stipula del contratto, ma anche tenendo conto delle circostanze verificatesi durante lo svolgimento del rapporto e al momento dell’inadempimento, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede.

La grande differenza di patrimonio tra debitore e creditore impedisce la riduzione della penale?
No, la Cassazione ha stabilito che la disparità economica tra le parti non è un elemento rilevante per escludere la riduzione. Considerare la capacità economica del debitore come un ostacolo alla riduzione porterebbe a convalidare penali sproporzionate, violando il principio che vieta l’indebita locupletazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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