Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26465 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26465 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25445-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 312/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2020 R.G.N. 2039/2017 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Oggetto
Riduzione della penale
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/09/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’appello di Roma ha accolto in parte l’appello principale di NOME COGNOME e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in suo favore dell’importo di euro 3.515.999,90, poi rettificato, con ordinanza di correzione di errore materiale, in euro 4.189.399,00.
La Corte territoriale ha premesso: che con lettera del 23 aprile 2012 RAGIONE_SOCIALE aveva assunto il COGNOME come dirigente per rivestire il ruolo di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE, di cui RAGIONE_SOCIALE era unica azionista; che con scrittura privata del 15 maggio 2012, denominata ‘clausola di stabilità e patto di non concorrenza’, la società si era impegnata a non recedere dal rapporto di lavoro per un periodo di tre anni e a riconoscere al dirigente, in ipotesi di recesso anticipato della società (ad esclusione del recesso per giusta causa) e a titolo di transazione risarcitoria, un importo pari a trentasei mensilità della retribuzione annua lorda, fissa e variabile, maturata all’atto di risoluzione del rapporto di lavoro; che nella medesima lettera era stato previsto il diritto del dirigente agli emolumenti sopra indicati anche in caso di suo recesso per giusta causa, con l’indicazione in via esemplificativa di alcune ipotesi di giusta causa, tra cui il mancato mantenimento della posizione di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE; che nella lettera erano stati fissati i criteri di calcolo della componente variabile della retribuzione, a titolo di MBO (Sistema di incentivazione manageriale) e di LTI (Sistema Long Term Incentive) con la previsione, in caso di mancata definizione degli obiettivi per causa imputabile alla società, di un bonus MBO una tantum correlato ai valori target (60% della
retribuzione annua lorda) e di un bonus LTI una tantum correlato al valore di euro 250.000,00; che con lettera del 16 aprile 2015 la società aveva comunicato al ricorrente il mancato rinnovo della carica di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE nonché il recesso dalla scrittura del 15 maggio 2012; che a fronte di tale comunicazione il dirigente, con lettera del 20 aprile 2015, aveva esercitato il diritto di recesso per giusta causa e chiesto il pagamento di quanto previsto dal contratto di lavoro e dalla scrittura del maggio 2012.
La sentenza d’appello ha giudicato illegittimo il recesso della società poiché fondato su motivi estremamente generici ed ha ritenuto che la mancata conferma del dirigente come amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE costituisse giusta causa di recesso, ai sensi della clausola 1.5 dell’accordo del 15 maggio 2012, con diritto di quest’ultimo di percepire l’importo a titolo di transazione risarcitoria da liquidare secondo i criteri indicati nel citato accordo.
I giudici di secondo grado hanno dichiarato inammissibile la richiesta della società di riduzione della penale in quanto domanda nuova proposta per la prima volta in appello; hanno, comunque, ritenuto di non procedere alla riduzione della penale ‘sia pe rché l’obbligazione relativa alla stabilità della posizione di amministratore delegato di BM del ricorrente non poteva essere oggetto di una esecuzione parziale, sia per l’indubbia differenza esistente tra la posizione economica del ricorrente e quella di RAGIONE_SOCIALE, che è notorio essere dotata di un notevole patrimonio’ (sentenza, p. 13, primo cpv.)
Avverso la sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE con sei motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. e dell’art. 1384 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato l’inammissibilità della domanda di riduzione della penale in quanto domanda nuova proposta per la prima volta in appello: tale capo di decisione si pone in contrasto con il consolidato orientamento della Suprema Corte, in tema di clausola penale, secondo cui la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, così come può il giudice di appello provvedervi anche d’ufficio, per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela secondo l’interesse generale dell’ordinamento. Invero, sin dal primo grado di giudizio RAGIONE_SOCIALE aveva chiaramente dedotto e dimostrato le circostanze rilevanti al fine di formulare il giudizio di manifesta eccessività della penale, sia con riferimento alla sua manifesta inadeguatezza sin dal momento della stipula, avuto riguardo alle rispettive condizioni delle parti, sia, e anzi soprattutto, con riferimento alla sola parte rimasta inadempiuta dell’obbligazione principale, pari ad un solo mese rispetto a ben tre anni di durata del patto di stabilità.
Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. sotto un differente profilo (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), nella parte in cui la Corte d’Appello ha rigettato la domanda di riduzione della penale avanzata in appello in considerazione della asserita impossibilità di esecuzione parziale della ‘obbligazione relativa alla stabilità della posizione di amministratore delegato di BM del ricorrente’,
laddove invece tutte le clausole di stabilità, proprio perché oggetto di esecuzione diacronica, sono soggette ad esecuzione parziale per recesso anticipato rispetto alla durata pattuita, circostanza, appunto, che la revisione della penale mira a ‘sterilizzare’ per il contraente che la subisce. Invero, la Corte d’Appello non ha tenuto conto del fatto che se la stabilità di un rapporto non potesse essere oggetto di esecuzione parziale, non avrebbero motivo di esistere le clausole di stabilità, volte a dare stabilità a ciò che ontologicamente non potrebbe averne.
9. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. e dell’art. 2043 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) nella parte in cui la Corte territoriale ha rigettato la domanda di riduzione della penale in considerazione della ‘indubbia differenza esistente tra la posizione economica del ricorrente e quella di RAGIONE_SOCIALE che è notorio essere dotata di un notevole patrimonio’, posto che il notevole patrimonio di RAGIONE_SOCIALE rispetto a quello del dott. COGNOME non c omporta di certo che l’odierna ricorrente debba soggiacere al pagamento di qualsiasi penale, anche se incongrua per eccesso rispetto all’interesse del creditore, oltre che irragionevole e non proporzionata all'(eventuale) inadempimento. In tal caso la Cort e d’appello non si è avveduta del fatto che l’argomento prova troppo, in quanto a voler aderire alla tesi propugnata nella sentenza gravata si dovrebbe escludere a priori la inadeguatezza della penale ogni qual volta il debitore abbia un patrimonio più capiente del creditore. Ciò comporterebbe per il creditore lavoratore una indebita locupletazione in violazione dell’art. 2043 c.c.
Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per mancanza di motivazione nonché violazione e falsa applicazione delle norme che regolano l’istituto MBO 2013 (art. 360, n. 3 e
5 c.p.c.) nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di motivare in ordine al motivo di appello proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE relativamente alla statuizione di primo grado con cui è stato riconosciuto il diritto del dott. COGNOME al pagamento del pr emio MBO 2013, nonostante l’insussistenza dei presupposti previsti dalla disciplina regolamentare.
Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la Corte di Appello ha erroneamente e falsamente applicato le disposizioni regolamentari aziendali in tema di istituti incentivanti (MBO e LTI), riconoscendo al dott. COGNOME il diritto al pagamento degli emolumenti variabili della retribuzione pur in difetto dei presupposti per l’applicazione degli stessi e in violazione delle pattuizioni individuali intercorse sul punto.
Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e della scrittura privata del 15 maggio 2012 (art. 360, n. 3 c.p.c.) nella parte in cui la Corte di Appello non ha tenuto conto del giudicato formatosi in tema di quantificazione del premio MBO 2013 e nella parte in cui ha erroneamente quantificato la media delle retribuzioni variabili riconosciute al dott. COGNOME, in tal modo determinando l’indennità risarcitoria in un importo superiore a quanto asseritamente dovuto.
I primi tre motivi di ricorso pongono, sotto diversi punti di vista, la questione della mancata riduzione della penale e possono essere trattati congiuntamente.
Va premesso che ‘in tema di clausola penale, la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, potendo anzi il giudice provvedervi anche d’ufficio, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare un giudizio di manifesta
eccessività della penale stessa’ (v. Cass. n. 19320 del 2018; nello stesso senso Cass. n. 21297 del 2011; Cass. n. 23273 del 2010).
Si è anche precisato (v. Cass. 26901 del 2023 in motivazione; Cass. n. 33159 del 2019; Cass. n. 24458 del 2007) che il potere di riduzione della penale, esercitabile d’ufficio, non è impedito dall’accordo delle parti circa l’irriducibilità della penale stessa, né dalla circostanza che le parti abbiano definito equa la penale: sono circostanze che non vincolano il giudice.
Da tali principi discende la fondatezza del primo motivo di ricorso. Tuttavia, la sentenza impugnata, dopo aver dichiarato inammissibile la domanda di riduzione della penale, ha comunque esaminato nel merito la stessa e ritenuto non sussistenti i relativi presupposti. Occorre quindi procedere all’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso, che sono parimenti fondati.
Al riguardo, deve rilevarsi che la decisione di appello, nel momento in cui ha escluso di procedere alla riduzione della penale per le ragioni sopra indicate (obbligazione non suscettibile di esecuzione parziale e patrimonio di RAGIONE_SOCIALE superiore a quello del dirigente), non ha messo in discussione l’avvenuto assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla società, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale (sul punto v. Cass. n. 8071 del 2008).
Riguardo ai criteri di valutazione della eccessività o meno della penale e al potere del giudice di legittimità di interferire sulla valutazione compiuta dal giudice di merito, questa Corte ha statuito che l’apprezzamento sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonché sulla
misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 cod. civ., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (Cass. n. 6158 del 2007).
19. Si è aggiunto, con statuizione che assume specifico rilievo nel caso in esame, che, ai fini dell’esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l’interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola – come sembra indicare l’art. 1384 c.c. riferendosi all’interesse che il creditore “aveva” all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 c.c., impiegando il verbo “avere” all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto. (Cass. n. 11908 del 2020).
20. La sentenza d’appello non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto appena richiamati perché ha del tutto omesso di verificare se l’originaria pattuizione della penale per l’inadempimento al patto di stabilità (anche per l’ipotesi di
recesso per giusta causa del dirigente), formulata a prescindere da qualsiasi riferimento alla collocazione temporale dell’inadempimento stesso nel corso della durata del rapporto, realizzasse un equilibrato contemperamento dei rispettivi interessi delle parti oppure creasse un disequilibrio grave, tenuto conto dell’interesse del dirigente alla stabilità per il periodo di tre anni e dell’effettiva incidenza dell’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE (realizzatosi un mese prima della scadenza del triennio) in termini di danno rispetto agli interessi e alle aspettative del primo, alla luce dei principi di correttezza e buona fede.
21. In altri termini, i giudici di appello, nell’escludere la riduzione della penale non hanno preso in esame e non hanno valutato l’interesse che la parte aveva all’adempimento della prestazione cui aveva diritto e le ripercussioni dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e la sua effettiva incidenza sulla concreta situazione contrattuale (v. Cass. n. 26901 del 2023; Cass. n. 7180 del 2012; Cass. n. 10626 del 2007; Cass. n. 7835/2006), avendo fatto unicamente riferimento alla impossibilità di u na esecuzione parziale dell’obbligazione (su cui invece v. Cass. n. 21646 del 2016 in motivazione) e alla posizione economica del dirigente rispetto a quella di RAGIONE_SOCIALE, elementi entrambi non dirimenti ai fini dell’art. 1384 c.c.
Dovendosi peraltro considerare, secondo quanto precisato da questa S.C. (v. Cass. n. 14706 del 2024), che, ai fini della riduzione della penale, ‘non può prescindersi da una comparazione con il danno che sarebbe stato ipoteticamente risarcibile in mancanza della clausola, la quale è una predeterminazione forfettaria di tale pregiudizio’.
Devono quindi essere accolti i primi tre motivi di ricorso per le ragioni fin qui esposte e ribadirsi che, nell’esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice deve valutare l’interesse del
creditore anche con riguardo al momento in cui si è verificato l’inadempimento, poiché i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, trovano applicazione anche nella fase attuativa del rapporto, con la conseguenza che la valutazione di manifesta eccessività della penale non può prescindere dal dato della collocazione temporale dell’inadempimento rispetto al compiuto soddisfacimento dell’interesse del c reditore.
24. Il quarto motivo di ricorso è infondato. La Corte d’appello ha dato atto della riproposizione da parte della società, col proprio ricorso in appello (qualificato come incidentale a seguito della riunione), di ‘tutte le argomentazioni svolte in primo gr ado’ (sentenza, p. 7, secondo cpv.); tra questa era inclusa quella concernente il pagamento della somma di euro 351.000,00 a titolo di MBO 2013 (v. sentenza, p. 5). Nel rigettare integralmente l’appello della società, la sentenza impugnata ha fatto proprie e confermato le motivazioni adottate dal tribunale sulla voce MBO NUMERO_DOCUMENTO, il che porta ad escludere la configurabilità del vizio di omessa pronuncia, che presuppone la totale mancata decisione, anche implicita, su un capo di domanda oppure su uno specifico motivo di appello.
25. Questa Corte ha chiarito che ad integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente
esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia (cfr. Cass. n. 24155 del 2017; n. 17956 del 2015; n. 20311 del 2011).
26. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui censura la decisione d’appello per erronea interpretazione delle clausole contenute nei piani di incentivazione (che si assume subordinavano la maturazione del diritto ai trattamenti integrativi alla persistenza del rapporto di lavoro) poiché non deduce e non documenta se e in che termini tale questione era stata sollevata nei precedenti gradi di merito, atteso che nella sentenza d’appello non si rinviene alcun accenno sul punto.
27. Come è noto, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018).
28. Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui censura il riconoscimento della voce MBO 2012 perché denuncia il vizio di violazione di legge, ed esattamente degli artt. 1362 e ss. c.c., basandosi su un presupposto fattuale diverso da quello accerta to dalla Corte d’appello. Quest’ultima ha affermato che per gli anni 2012 e 2013 RAGIONE_SOCIALE aveva indicato al dirigente gli obiettivi da raggiungere (sentenza, p. 11, secondo cpv.), mentre la censura in oggetto si basa sul presupposto della mancata indicazione degli obiettivi e della spettanza al dirigente
dell’una tantum. Riguardo alle voci MBO 2014 e LTI 2014, per cui è pacifica la mancata indicazione degli obiettivi da parte di RAGIONE_SOCIALE, non è stato dedotto né documentato che nei precedenti gradi di merito la società avesse sollevato la questione della illegittima corresponsione del bonus per essere configurabile, al più, il diritto al risarcimento per perdita di chance. Dal che discende l’inammissibilità della censura per le ragioni già esposte.
29. Con riferimento alle voci LTI 2012 e 2013 deve escludersi la violazione dei canoni ermeneutici atteso che la società non ha evidenziato specifici errori interpretativi addebitabili ai giudici di appello ma si è limitata a contrapporre una propria lettura a quella adottata nella sentenza impugnata.
30. Secondo l’orientamento consolidato, l’interpretazione degli atti negoziali è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito. Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536), posto che, sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178).
31. Il sesto motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione dei criteri di calcolo di cui alla scrittura del 15 maggio 2012 poiché investe l’interpretazione di un atto negoziale, riservata al giudice di merito e neppure censurata attraverso il riferimento ai canoni ermeneutici. Il motivo è inammissibile anche quanto alla dedotta violazione dell’art. 2909 c.c., poiché la censura si basa sul provvedimento di rigetto dell’istanza di correzione di errore materiale adottato dal tribunale che non è depositato né localizzato, in violazione delle prescrizioni imposte dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. (v. Cass., S.U. n. 8950 del 2022; Cass. n. 12481 del 2022), ed inoltre non è in alcun modo allegata e documentata, quale condizione necessaria per il formarsi del giudicato sulla statuizione di primo grado, la mancata proposizione di appello sul punto.
32. Per le ragioni esposte, accolti i primi tre motivi di ricorso e respinti i residui motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa