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Riduzione canone locazione: la Cassazione e il Covid

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di una società commerciale che richiedeva la riduzione del canone di locazione a causa delle chiusure imposte dall’emergenza Covid-19. La Corte ha stabilito che non esiste un diritto automatico a ottenere una riduzione giudiziale del canone. Il decreto “Cura Italia” esclude la responsabilità per inadempimento ma non crea un diritto alla rinegoziazione forzata. Il rimedio principale per l’eccessiva onerosità sopravvenuta resta la risoluzione del contratto, con la facoltà per il locatore di offrire una modifica per evitarla. La richiesta di riduzione del canone locazione del conduttore è stata quindi respinta.

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Riduzione canone locazione per Covid: la Cassazione fa chiarezza

L’emergenza pandemica ha sollevato questioni legali complesse, specialmente nei contratti di locazione commerciale. Molti imprenditori si sono chiesti se avessero diritto a una riduzione del canone di locazione a causa delle chiusure forzate. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione decisiva, delineando i confini dei diritti e dei doveri di locatori e conduttori in circostanze eccezionali.

I Fatti del Caso

Una società che gestiva un’attività commerciale si è trovata in difficoltà a causa delle misure restrittive imposte durante la pandemia. A fronte di una significativa morosità accumulata, i proprietari dell’immobile hanno avviato una procedura di sfratto. La società conduttrice, a sua volta, ha presentato una controdomanda in tribunale, chiedendo una riduzione del 50% dei canoni dovuti per i mesi di chiusura totale o parziale dell’attività, invocando l’eccessiva onerosità sopravvenuta e i principi di buona fede contrattuale.

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione ai locatori, condannando la società al pagamento dei canoni arretrati e respingendo la richiesta di riduzione. La questione è quindi giunta fino alla Corte di Cassazione.

L’impatto del Covid sulla riduzione canone locazione secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione del tribunale. La sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale: nel nostro ordinamento non esiste un diritto potestativo del conduttore a ottenere una riduzione del canone imposta dal giudice a causa di eventi straordinari come una pandemia.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su un’attenta analisi degli strumenti giuridici disponibili.

1. L’interpretazione del Decreto “Cura Italia”

Il ricorso della società si fondava, in parte, sull’art. 91 del D.L. 18/2020 (“Cura Italia”). La Cassazione ha chiarito che questa norma ha un obiettivo preciso: qualificare il rispetto delle misure di contenimento come una causa di non imputabilità per l’inadempimento. In altre parole, il conduttore che non paga a causa delle restrizioni non può essere considerato colpevole e, quindi, non è tenuto al risarcimento del danno. Tuttavia, questo non cancella il debito né crea automaticamente un diritto a una riduzione del canone.

2. Eccessiva Onerosità e Buona Fede

Il secondo pilastro dell’argomentazione della società era l’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) e il dovere di buona fede (art. 1375 c.c.). La Corte ha spiegato che il rimedio previsto dal codice civile per l’eccessiva onerosità è la risoluzione del contratto (cioè il suo scioglimento). È la controparte (il locatore) che, per evitare la risoluzione, ha la facoltà di offrire una modifica del contratto per ricondurlo a equità. Non è, quindi, il conduttore a poter imporre giudizialmente una modifica.

Sebbene il principio di buona fede imponga alle parti un dovere di collaborazione e di rinegoziazione per salvaguardare il rapporto contrattuale, nel caso specifico la società conduttrice non aveva dimostrato di aver mai richiesto formalmente una rinegoziazione ai locatori prima di agire in giudizio. Inoltre, non aveva fornito prove concrete e puntuali dell’impatto economico delle chiusure sulla propria specifica attività, limitandosi a una richiesta generica.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione traccia una linea netta: l’emergenza Covid-19, pur rappresentando una circostanza eccezionale, non conferisce al conduttore un diritto automatico e azionabile in tribunale per ottenere una riduzione del canone. I principi chiave che emergono sono:

1. Nessun Diritto Automatico: Non esiste una norma che consenta al giudice di ridurre il canone su richiesta unilaterale del conduttore a causa della pandemia.
2. Il Rimedio è la Risoluzione: Di fronte a un’eccessiva onerosità, lo strumento principale a disposizione della parte svantaggiata è la richiesta di risoluzione del contratto.
3. La Rinegoziazione è Volontaria: La modifica del canone per ripristinare l’equilibrio è una facoltà offerta dal locatore per salvare il contratto, non un obbligo che il conduttore può imporre.
4. Onere della Prova: Il conduttore che lamenta un danno economico deve provarlo in modo specifico, dimostrando il nesso causale tra le misure restrittive e la contrazione del proprio fatturato.

Un’impresa può chiedere direttamente al giudice la riduzione del canone di locazione a causa delle chiusure per Covid-19?
No. Secondo la Cassazione, non esiste un diritto potestativo del conduttore a ottenere una riduzione del canone imposta dal giudice. Il rimedio legale previsto per l’eccessiva onerosità sopravvenuta è la risoluzione del contratto, non la sua modifica forzata.

Cosa prevede il decreto “Cura Italia” (art. 91 d.l. 18/2020) per gli affitti commerciali durante la pandemia?
Questa norma stabilisce che l’inadempimento o il ritardo nel pagamento dovuto al rispetto delle misure anti-Covid non è imputabile al debitore. Ciò lo libera dall’obbligo di risarcire il danno al locatore, ma non elimina il debito relativo ai canoni non pagati né crea un diritto a ottenerne una riduzione.

Quali sono i rimedi legali per un conduttore se la sua prestazione diventa eccessivamente onerosa a causa di eventi imprevisti come una pandemia?
Il rimedio principale previsto dal codice civile (art. 1467) è la richiesta di risoluzione del contratto. Sarà poi la controparte (il locatore), se vuole evitare lo scioglimento del rapporto, a poter offrire una modifica delle condizioni contrattuali (come una riduzione del canone) per riportarle a equità. Inoltre, il principio di buona fede incoraggia le parti a rinegoziare l’accordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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