Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16113 Anno 2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8525/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore ; rappresentat o e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
Civile Sent. Sez. 3 Num. 16113 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
nei confronti di
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dal l’ Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza n. 2754/2021 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 28 maggio 2021;
udìta la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’ 11 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udìto il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udìto l’Avv.
NOME COGNOME per la ricorrente;
udìto l ‘ Avv. NOME COGNOME per delega dell’Avv. NOME COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Con citazione dell’11 agosto 2020 NOME COGNOME e NOME COGNOME intimarono alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE sfratto per morosità dall’immobile ubicato in Torino, INDIRIZZO piano terra, concessole in locazione per uso commerciale con contratto del 1° marzo 2017, allegando una morosità per canoni e oneri accessori di Euro 22.907,55, poi ridotti ad Euro 11.507,00, in seguito dell’escussione della fideiussione bancaria costituita dalla conduttrice.
All’udienza di convalida del 29 ottobre 2020 l’intimata non comparve e gli intimanti dichiararono che l’immobile era stato spontaneamente rilasciato il precedente 4 settembre 2020. Il giudice, pertanto, ancorché la parte locatrice avesse insistito in tal senso, non ritenne possibile pronunciare la convalida né concesse il richiesto decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni, ma emise ordinanza di mutamento di rito, ex art.667 cod. proc. civ., disponendo, ex art. 426
cod. proc. civ., che le parti provvedessero all’integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti e assegnando termine per introdurre il procedimento di mediazione.
Con la memoria integrativa i locatori domandarono la condanna dei convenuti, oltre che al pagamento dei canoni e degli oneri accessori, anche al risarcimento del danno commisurato al costo per il ripristino della vetrina del negozio, sul presupposto che quella originaria fosse stata abusivamente sostituita dalla conduttrice non ostante il diniego di autorizzazione amministrativa; quantificarono il danno nell’importo di Euro 10.980,00.
La società conduttrice, costituendosi in giudizio, con memoria del 28 febbraio 2021, domandò che il giudice disponesse la riduzione, nella misura del 50%, dei canoni di locazione dovuti nel periodo di operatività delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza Covid-19 , allorché si era avuta la chiusura dell’attività commerciale, dapprima totale (nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020), di poi parziale (nei mesi di giugno, luglio e agosto 2020); invocò, al riguardo, per un verso, l’applicazione del principi di eterointegrazione e di buona fede nell’ esecuzione del contratto (artt. 1374 e 1375 cod. civ.), per l’altro, la disposizione contenuta nell’art. 91, comma 1, del d.l. n. 18 del 2020 (c.d. decreto ‘ C ura Italia’).
Con sentenza n. 2754/2021, depositata il 28 maggio 2021, il Tribunale di Torino, in accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME e da NOME COGNOME (e in reiezione della ‘ controdomanda ‘ proposta dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, condannò quest’ultima al pagamento, in favore degli attori , della somma di Euro 11.507,00, oltre interessi legali dalla scadenza delle singole mensilità al saldo, a titolo di canoni locatizi e oneri accessori, detratto quanto già eventualmente versato in esecuzione di precedente
ordinanza ex art. 423 cod. proc. civ.; condannò inoltre la convenuta a pagare agli attori la somma di Euro 10.980,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, a titolo di risarcimento del danno commisurato al costo della sostituzione del serramento.
Con ordinanza del 27 gennaio 2022 la Corte d’ appello di Torino ha dichiarato inammissibile, ex art.348bis cod. proc. civ., l’ impugnazione proposta dalla società convenuta avverso la sentenza del Tribunale.
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha quindi proposto, ex art. 348ter cod. proc. civ. (vigente ratione temporis ), ricorso per la cassazione del provvedimento di primo grado, sulla base di quattro motivi.
Hanno risposto con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in pubblica udienza.
Il Procuratore Generale, anticipando le medesime richieste formulate in udienza, ha depositato memoria con conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 ( recte : n.4) cod. proc. civ., la violazione degli artt. 665 e 667 cod. proc. civ..
La sentenza impugnata è censurata per avere ritenuto ammissibile, in seguito al mutamento di rito ex art. 667 cod. proc. civ., la domanda nuova risarcitoria, proposta solo con la memoria integrativa di cui all’art.426 cod. proc. civ e non già formulata con l’intimazione di sfratto, sebbene non vi fosse stata, nella fattispecie, l’opposizione della parte intimata ai sensi dell’art. 665 cod. proc. civ. , unica circostanza
che avrebbe giustificato l’allargamento dell’ oggetto del giudizio oltre i limiti della domanda originaria.
1.1. Il motivo è in parte inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ. e in parte infondato.
Come correttamente osservato dal Procuratore Generale, ciò che rileva non è l’ opposizione dell’intimato, bensì la trasformazione del rito, con la concessione alle parti della facoltà di presentare memorie integrative.
Infatti, la risalente opinione che ancorava le domande alla fase sommaria è stata soppiantata dal prevalso orientamento giurisprudenziale, consolidatosi già da diversi anni, secondo cui, nel procedimento per convalida di sfratto, allorché la controversia prosegua oltre la fase sommaria, quale che sia la fattispecie verificatasi (mancata comparizione o mancata opposizione dell’intimato: artt. 663 e 664 cod. proc. civ.; comparizione ed opposizione dell’intimato con eccezioni non fondate su prova scritta: art. 665 cod. proc. civ.; comparizione ed opposizione con contestazione sull’ ammontare dei canoni: art. 666 cod. proc. civ.; comparizione ed opposizione fuori dei casi particolari di cui alle norme appena citate), la memoria integrativa ex art. 426 cod. proc. civ. costituisce l ‘ atto in cui si cristallizzano le posizioni delle parti, nel quale esse possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa, per il locatore, la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata e, per il conduttore, la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale ( ex aliis , Cass. 29/09/2006, n. 21242; Cass. 23/03/2017, nn. 7423 e 7430; Cass. 09/02/2019, n. 4771; Cass. 23 /06/2021, n. 17955; Cass. 28/02/2023, n. 5955; Cass.26/05/2023, n.14779).
L’adombrato rilievo secondo cui , nella fattispecie, la presunta irritualità dell’ordinanza dispositiva del passaggio alla trattazione a cognizione piena avrebbe precluso l’applicabilità del prevalso orientamento giurisprudenziale appena sopra illustrato, ove pure si ometta di considerare l’indebita omissione della deduzione che fosse già stato prospettato al Tribunale, è comunque infondato, atteso, da un lato, che, nel caso in esame, l’emissione dell’ordinanza di convalida era inibita dall’avvenuto spontaneo rilascio dell’immobile (che escludeva la sussistenza del l’interesse ad ottenere un a pronuncia condannatoria in tal senso) e considerato, dall’altro lato , che l’art. 663, secondo comma, cod. proc. civ. esige, ai fini della convalida, l’attestazione della persistenza della morosità, attestazione che nella specie non si deduce effettuata, né risulta dagli atti ostensibili.
Era dunque necessaria l’evoluzione del giudizio verso la fase a cognizione piena.
Il primo motivo, pertanto, va complessivamente rigettato.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 ( recte : n.4) cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n.28 del 2010.
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha disatteso l’ eccezione di improcedibilità della domanda risarcitoria per mancato esperimento del previo procedimento di mediazione, sul rilievo che detta improcedibilità avrebbe dovuto essere eccepita o rilevata non oltre la prima udienza e che, nella fattispecie, alla prima udienza del 3 marzo 2021 la convenuta non aveva sollevato tale eccezione.
Osserva, in contrario, la ricorrente che essa avrebbe invece tempestivamente sollevato l’ eccezione di improcedibilità con le ‘note scritte di discussione ‘ depositate il 2 marzo 2021.
2.1. Il motivo è inammissibile, sol che si consideri che l’accoglimento delle deduzioni su cui esso è fondato postula un sindacato sulla ritualità del deposito delle ‘note scritte di discussione’ (in quanto debitamente autorizzate dal giudice), il quale, a sua volta, suppone l’osservanza dell’onere nella fattispecie non debitamente assolto -di indicare specificamente i relativi atti, ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc civ..
A prescindere da tale preliminare rilievo di inammissibilità, il motivo sarebbe comunque infondato.
Dagli atti e documenti depositati in via telematica risulta che nell’ ordinanza di mutamento di rito, emessa il 3 novembre 2020, il Giudice di primo grado, dato termine per introdurre il procedimento di mediazione, aveva poi assegnato quelli per l’integrazione degli atti introduttivi ed aveva fissato per la comparizione personale delle parti, il tentativo di conciliazione e la discussione l’udienza del 3 marzo 2021 , senza autorizzare le parti al deposito di note scritte d’udienza .
Risulta, inoltre, che nella ‘comparsa di costituzione e risposta ‘ ( recte : memoria difensiva: arg. ex art. 416 cod. proc. civ.), la convenuta non aveva eccepito il mancato esperimento del procedimento di mediazione sulla domanda risarcitoria proposta dagli attori con la memoria integrativa e che l’eccezione di improcedibilità di tale domanda non era stata formulata neppure nell’ ultimo momento utile, ovverosia all’ udienza del 3 marzo 2021, in cui era stata ribadita solo quella di inammissibilità per novità.
Non assume rilievo la circostanza che essa eccezione fosse stata sollevata nelle note scritte depositate il giorno prima dell ‘udienza, poiché -come detto -si trattava di note scritte non autorizzate con il provvedimento di fissazione dell’udienz a, irritualmente depositate e, pertanto, correttamente non esaminate dal giudice. In ogni caso,
quand’anche fosse stata validamente prop osta, l’ eccezione ivi formulata avrebbe dovuto essere ribadita al verbale dell’ udienza tenuta il giorno successivo.
Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 ( recte : n.4) cod. proc. civ., l’« errata falsa interpretazione dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui non ha considerato espunto dal thema probandum la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva attività commerciale soggetta a chiusura in base al d.l. 18/2020 ».
Con il quarto motivo viene denunciata, ex art. 360 n.3 cod. proc. civ., la « violazione e falsa applicazione delle norme in materia di onere della prova ex art. 2697», nonché la « violazione e falsa applicazione degli artt. 1474 e 1375 c.c. ».
4.1. Il terzo e il quarto motivo vanno illustrati ed esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, in quanto entrambi censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la ‘controdomanda’ opposta dalla società conduttrice al la domanda dei locatori di pagamento dei canoni; ‘ controdomanda ‘ con cui era stato chiesto al giudice di disporre la riduzione nella misura della metà dei canoni dovuti nel periodo del c.d. ‘ lockdown ‘ (da marzo ad agosto 2020), in ragione dell’incidenza della applicazione delle misure di contenimento e contrasto della emergenza da Covid19 sull’ attività commerciale esercitata nei locali oggetto della locazione.
Questa ‘controdomanda’ era stata fondata , da un lato, sul richiamo della disposizione di cui all’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n.18, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27 (c.d. decreto ‘Cura Italia’), la quale, inserendo il comma 6bis , dopo il comma 6, all’art.3 del d.l. 23 febbraio 2020, n.6, convertito con modificazioni, dalla l. 5 marzo 2020, n.13, ha previsto che « il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre
valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti » ; dall’a ltro lato, sulle regole generali di cui agli artt.1374 e 1375 cod. civ., rispettivamente in tema di integrazione del contratto in base alla legge, agli usi e all’equità , nonché di esecuzione dello stesso secondo buona fede.
Il fondamento della ‘ controdomanda ‘ risiedeva, dunque, nel postulato della sussistenza di un rimedio giudiziale potestativo alternativo alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (avente, al contrario di questa, funzione conservativa e non già risolutiva del negozio giuridico), posto a tutela del debitore nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, contro il rischio di un eccezionale aggravio della sua prestazione dovuto ad eventi straordinari e imprevedibili, per effetto dei quali si sia determinata una sopravvenuta sproporzione tra le corrispettive prestazioni, sicché una prestazione non sia più sufficientemente remunerata dall’a ltra.
4.2. Il Tribunale di Torino non si è posto il problema, de iure , della sussistenza in astratto di un tale rimedio nell’ordinamento privatistico (e della conseguente ammissibilità della domanda diretta ad esercitare il relativo diritto potestativo giudiziale), ma ha rigettato la ‘controdomanda’ formulata dalla RAGIONE_SOCIALE per la mancata prova dei presupposti, de facto , posti a suo fondamento.
Il Tribunale ha infatti ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE: a) non avesse « allegato con un minimo di puntualità (e men che meno provato) in qual modo i provvedimenti di contenimento dell’epidemia da Covid 19 abbiano concretamente inciso sull’attività economica svolta nell’immobile »; b) non avesse « prodotto documenti di alcun tipo idonei a provare la contrazione di ricavi in conseguenza delle chiusure degli
esercizi disposte nel corso del 2020 »; c) non avesse « neppure indicato quale attività svolgesse nei locali ».
Inoltre, il Tribunale ha escluso la violazione da parte dei locatori del dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto, sul rilievo che, quand’anche si volesse « ammettere che in questo dovere rientri quello di rinegoziare il canone a fronte di circostanze eccezionali, non risulta che COGNOME abbia mai chiesto ai sig.ri Mazza una riduzione del canone; né che abbia loro indicato gli elementi posti a fondamento della richiesta avanzata (in modo apodittico) nella propria memoria difensiva, di una riduzione pari al 50% del canone contrattuale » (pag.3 della sentenza impugnata).
4.3. Dinanzi a questa statuizione, il terzo e il quarto motivo di ricorso devono essere dichiarati inammissibili.
4.3.1. Invero, il terzo motivo, nel censurare la decisione impugnata per non avere reputato espunta dal thema probandum la circostanza dell’ esercizio da parte della convenuta di attività commerciale (dapprima di vendita di abbigliamento, di poi di gioielleria) soggetta a chiusura in base alle regole di contenimento dell’ emergenza Covid, lungi dal denunciare correttamente la violazione del principio di non contestazione, tende a suscitare dalla Corte di cassazione una ricostruzione dei fatti e una valutazione delle prove alternative a quelle motivatamente -e pertanto insindacabilmente -effettuate dal giudice del merito, il quale non ha messo in dubbio lo svolgimento da parte della RAGIONE_SOCIALE di una attività commerciale soggetta alle restrizioni applicate nel periodo del ‘ lockdown ‘ , ma ha ritenuto non provata l’ incidenza in concreto di tali restrizioni su ll’attività economica esercitata, né la misura concreta della contrazione dei ricavi da esse generata; misura ovviamente necessaria in funzione di valutare il sopravvenuto squilibrio tra le due prestazioni e conseguentemente
provvedere -in thesi -ad operare giudizialmente la riduzione di quella divenuta eccessivamente onerosa.
La contestazione di tale giudizio di fatto è dunque inammissibile, in quanto omette di considerare che esso è riservato al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi ( ex permultis , Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
Del tutto non pertinente, poi, è il richiamo (pag.48 del ricorso) alla relazione n. 56 dell ‘8 luglio 2020 dell’Ufficio del Massimario presso questa Corte (la quale avrebbe predicato un « alleggerimento dell’onere della prova a carico del debitore che inibisce al giudice di negare che la necessità di adeguarsi alle prescrizioni ‘ anti C ovid’ sia idoneo a costituire ‘causa non imputabile all’ inadempiente ‘ ».
Tale alleggerimento, infatti, riguarda la prova liberatoria gravante, ex art. 1218 cod. civ., sul debitore convenuto per il risarcimento del danno da inadempimento o inesatto adempimento, ma non la prova dello squilibrio sinallagmatico gravante sulla parte di un contratto a titolo oneroso che attiva un rimedio giudiziale potestativo all’ eccessiva onerosità sopravvenuta della propria prestazione.
4.3.2. Altrettanto inammissibile è il quarto motivo, con il quale la statuizione impugnata è censurata perché -asseritamente, in violazione dell’art. 2697 cod. civ. non avrebbe « ammesso la possibilità per il giudice di ridurre d’ ufficio il canone di locazione ex art. 1374 c.c. o ex art. 1375 c.c. ».
Questa censura, infatti, non coglie la ratio della decisione gravata, la quale, come si è detto, non si è posta il problema dell’ammissibilità , in astratto, del rimedio giudiziale azionato dalla società RAGIONE_SOCIALE
ma ha ritenuto, oltre che non provato il dedotto eccezionale squilibrio tra le reciproche prestazioni, anche non violato, da parte dei locatori, il dovere di buona fede nell’ esecuzione del contratto, non risultando che la conduttrice avesse loro rivolto una richiesta di rinegoziazione del canone e che essi l’avessero indebitamente rifiutata.
Ciò posto, giova comunque evidenziare che, se le assorbenti esposte ragioni di inammissibilità non ne avessero precluso l’ esame del merito, i motivi in esame sarebbero stati anche infondati, stante l’inammissibilità della ‘controdomanda’ opposta dalla RAGIONE_SOCIALE alla domanda con cui i locatori ne avevano chiesto la condanna al pagamento dei canoni.
Come si è detto, questa ‘ controdomanda ‘ era fondata, per un verso, sul richiamo della disposizione di cui all’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n.18 (c.d. decreto ‘Cura Italia’) ; per altro verso, sulle regole generali di cui agli artt.1374 e 1375 cod. civ..
Essa postulava, da un lato, sotto il profilo sostanziale, la sussistenza di un rimedio alternativo alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (avente, al contrario di questa, funzione conservativa e non già risolutiva del negozio giuridico), posto a tutela del debitore nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, contro il rischio di un eccezionale aggravio della sua prestazione dovuto ad eventi straordinari e imprevedibili, per effetto dei quali si sia determinata una sopravvenuta sproporzione tra le corrispettive prestazioni, sicché una prestazione non sia più sufficientemente remunerata dall’altra; dall’altro lato, sotto il profilo processuale, la sussistenza di un diritto potestativo giudiziale atto a provocare una sentenza costitutiva di riduzione della prestazione eccessivamente onerata, in modo da eliminare la suddetta sproporzione.
5.1. Ai fini della configurazione di un simile rimedio, sotto il profilo dogmatico, il richiamo alla norma speciale del decreto ‘Cura Italia’ è del tutto non pertinente atteso che -come pure si è accennato -questa norma assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell’inadem pimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all’ impedimento derivante dal rispetto delle misure antiCovid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore, ossia di causa non imputabile della inesecuzione del prestazione da parte sua, liberandolo dall’obbligo di risarcimento del danno; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l’esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell’ incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche.
Altrettanto non pertinente è il richiamo al principio di buona fede e ai criteri di integrazione del contratto, in quanto il primo sancisce il dovere delle parti di osservare i canoni di reciproca lealtà e salvaguardia dell’utilità della controparte , nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio, oltre che nel momento della formazione del contratto (artt. 1337 e 1338 cod. civ.) -e, più in generale, nell’assunzione ed esecuzione del rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.) -, anche nello svolgimento specifico del rapporto contrattuale (art. 1375 cod. civ.); mentre il secondo, come correttamente osservato dal Procuratore Generale, prevede l ‘etero -integrazione delle pattuizioni contrattuali in base alla legge, agli usi e all’equità (art. 1374 cod. civ.); nessuno dei due, però, attribuisce alle parti contrattuali un diritto potestativo di ottenere (e, correlativamente, una soggezione a subìre)
una rettifica del contenuto del contratto e una modifica della prestazione.
5.2. Più in generale, può osservarsi, che allorché la parte di un contratto sinallagmatico ad esecuzione continuata o periodica deduca il sopravvenuto imprevedibile aggravio della sua prestazione in relazione al valore dell’ altra, il rimedio potestativo posto a sua disposizione dall’ ordinamento è quello della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, mentre l’ istituto della riduzione del contratto ad equità può essere azionato dalla controparte contro cui sia domandata la risoluzione al fine di evitarla (art.1467, terzo comma, cod. civ.; Cass. 26/01/2018, n. 2047).
In tal caso, l’ attribuzione di un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio unilaterale recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art.1432 cod. civ.) e di contratto rescindibile (art. 1450 cod. civ.), si giustifica, per un verso, in ragione del principio di conservazione del contratto, per l’a ltro in ragione della circostanza che la rettifica operata dalla parte non onerata (la cui adeguatezza, in caso di contestazione, è sottoposta al controllo del giudice: cfr. già Cass. 18/07/1989, n. 3347) riporta il divario tra le due prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto, ripristinando l’ equilibrio originario e facendo venir meno i presupposti della risoluzione invocata dalla parte onerata.
In favore di quest’ultima , un potere conservativo di riduzione ad equità (non del contratto ma) della prestazione è previsto solo nell’ipotesi di contrat to a titolo gratuito (art.1468 cod. civ.).
Al di fuori di tali specifiche ipotesi, non è configurabile un diritto potestativo giudiziale di riduzione ad equità della prestazione per il sopravvenuto eccezionale aggravio di essa e per il sopravvenuto eccezionale squilibrio del sinallagma contrattuale dovuto ad eventi
straordinari ed imprevedibili, stante il principio della tipicità delle azioni costitutive (art. 2908 cod. civ.).
Può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:
‘ In tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, l’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n.18 (c.d. decreto ‘Cura Italia’), assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell’inadempimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all’impedimento derivante dal rispetto delle misure anti -Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore e quindi di causa non imputabile della inesecuzione della prestazione da parte sua, liberandolo dall’obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all’azione di risoluzione per inadempimento ; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l’esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell’incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche, atteso che, stante il principio di tipicità dei rimedi giudiziali potestativi diretti a suscitare sentenze di carattere costitutivo (art. 2908 cod. civ.), un potere conservativo di riduzione ad equità della prestazione va riconosciuto alla parte eccessivamente onerata soltanto nell’ipotesi di contratto a titolo gratuito (art. 1468 cod. civ.), mentre, al di fuori di tale ipotesi, essa parte resta legittimata all’azione di risoluzione per eccesiva onerosità sopravvenuta, spettando in tal caso alla controparte che intenda evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio giuridico unilaterale e recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art.1432 cod. civ.) e di contratto rescindibile
(art. 1450 cod. civ.) e fondato sul principio di conservazione del contratto, avente ad oggetto la riduzione ad equità non della singola prestazione, ma più in generale, del contenuto del contratto (art. 1467, terzo comma, cod. civ.) al fine di ripristinarne l’originario equilibrio ‘ .
La società ricorrente ha, pertanto, esercitato un rimedio giudiziale non previsto dall’ ordinamento, sicché la ‘controdomanda’ da essa opposta alla domanda di pagamento dei canoni formulata da NOME e NOME COGNOME era inammissibile.
5.3. Nella memoria illustrativa depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE replicando alle -invece condivisibili -argomentazioni svolte dal Procuratore Generale, ha osservato che la richiesta di riduzione del canone trovava fondamento, oltre che nelle norme generali (artt. 1374 e 1375 cod. civ.) e speciali (art. 91 d.l. n. 18/2020) originariamente invocate, anche negli artt.1464 e 1460 cod. civ..
Tali osservazioni suppongono una modifica della causa petendi , in fatto, della domanda, il cui fondamento -anziché sulla sopravvenuta eccesiva sproporzione tra i valori delle corrispettive prestazioni, in ragione dell ‘i ncidenza su una di esse dell’event o eccezionale ed imprevedibile rappresentato dalle misure anti-Covid -viene rinvenuto, rispettivamente, nell’impossibilità parziale della controprestazione o, addirittura, nell’ inesatto adempimento della controparte.
La modifica della domanda operata con la memoria illustrativa è ovviamente inammissibile, specie se si consideri, sul piano squisitamente processuale, che la RAGIONE_SOCIALE chiedendo al giudice di disporre una riduzione della misura del canone, aveva invocato una sentenza costitutiva corrispondente ad un proprio preteso diritto potestativo giudiziale e non la liberazione dall’obbligazione conseguente alla sopravvenuta impossibilità non imputabile, sia pur
parziale, della controprestazione, la quale invece opera di diritto ed è accertata con sentenza meramente dichiarativa (cfr., ad es., Cass. 23/11/2021, n. 36329).
Giova, tuttavia, evidenziare che la diversa domanda fondata sugli artt. 1460 1464 e cod. civ., al di là della sua evidente inammissibilità, ove ritualmente formulata sarebbe stata comunque infondata alla stessa stregua delle allegazioni della parte interessata, atteso che l’ applicazione delle misure anti-Covid, comportando la chiusura al pubblico (dapprima totale, di poi parziale) del locale commerciale, non aveva determinato né l’inadempimento dei locatori né la parziale impossibilità sopravvenuta non imputabile della prestazione da loro dovuta.
Alla stregua delle allegazioni della conduttrice, infatti, le dette misure non avevano inciso sul perdurante uso dei locali commerciali da parte sua ma avevano determinato -in thesi e salva la prova di tali circostanze, motivatamente ritenuta non raggiunta dal giudice del merito -la limitazione dell’attività commerciale in essi svolta, dovuta all’impossibilità ( dapprima assoluta, poi relativa) di aprirli all’affluenza della clientela, così determinando una sproporzione tra il valore della prestazione dovuta dalla conduttrice e quella dovuta dai locatori, tale da esigere una riduzione della prima in quanto non più sufficientemente rinumerata dalla seconda.
Questi presupposti di fatto, da dimostrare in concreto in sede giudiziale, avrebbero però legittimato -lo si ripete -il ricorso al rimedio potestativo giudiziale della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, mentre quello alla riduzione della prestazione ad equità era già in astrat to inìbito dalla circostanza che si verteva nell’ambito di un contratto di durata a titolo oneroso, essendo tale istituto contemplato (con norma non suscettibile di interpretazione estensiva,
avuto riguardo alla tipicità dei diritti potestativi giudiziali) unicamente con riguardo ai contratti a titolo gratuito.
In definitiva, il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, alle spese generali e agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione