Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5791 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5791 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1290/2018 R.G. proposto da: REGIONE CALABRIA, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 4325/2017 depositata il 16/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Regione RAGIONE_SOCIALE si opponeva al decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano del 2012 conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti originariamente in capo alla RAGIONE_SOCIALE, eccependo, preliminarmente, l’incompetenza territoriale del giudice monitorio, nonché la nullità dei contratti di appalto dalla cui esecuzione erano sorti i crediti azionati dall’odierna resistente, in particolare per carenza di forma scritta e comunque per assenza di idoneo impegno di spesa e copertura finanziaria. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, contestando l’infondatezza dell’eccezione di incompetenza territoriale e dell’eccezione di nullità dei contratti di appalto.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 10.699/2015 accoglieva parzialmente l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, condannando la Regione RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 1.814.291,29 oltre interessi legali.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso in appello la Regione RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la Corte di seconde cure accogliesse in toto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta.
Con sentenza n. 4325/2017 la Corte di Appello di Milano respingeva l’appello, confermava la sentenza impugnata e condannava l’appellante Regione RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese del giudizio.
Avverso tale sentenza la Regione RAGIONE_SOCIALE propone ricorso in Cassazione con sette motivi e memoria; resiste RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia: Violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. In sede di decisione, la Corte, al fine di respingere l’appello avrebbe introdotto, in assenza di impugnativa incidentale della resistente, la questione dello svolgimento della fase di aggiudicazione conformemente ai criteri stabiliti dal bando di gara e dal capitolato tecnico. Nell’introdurre la questione della regolarità dell’aggiudicazione e nell’individuare ufficiosamente gli atti dai quali rilevare la pretesa convalida, la Corte avrebbe deciso la vicenda in violazione di principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di tantum devolutum quantum appellatum.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia: Violazione degli artt 112 c.p.c. e 1444 c.c. Mentre il tribunale aveva solo ipotizzato la ‘convalidabilità’ dei contratti azionati dalla resistente,
senza indicare alcun atto di convalida, La Corte di appello ha ritenuto i contratti stessi convalidati, rilievo effettuato d’ufficio, visto che nessuna eccezione in tal senso era stata avanzata dalla resistente. Tuttavia, continua il ricorrente, la convalida non può essere rilevata d’ufficio.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia: Violazione degli artt. 2 direttiva 2004/18, 114 d.lgs. 163/06, 311 DPR 207/10, d.lgs. 157/95, 1418, 1421, 1441 c.c. Il ricorrente ribadisce che le variazioni apportate al contratto erano da considerare come modifiche essenziali tali da giustificare una nuova gara pubblica. Ad avvalorare ciò riporta delle caratteristiche del bando pubblicato sulla G.U.C.E.: la durata dell’appalto era di 36 mesi dalla data di aggiudicazione, la prestazione era unitaria e non divisa in lotti e che l’entità dell’appalto era di € 6.003.000 iva esclusa. Dall’esito della procedura, si evince tuttavia: una decorrenza diversa da quella indicata in sede di bando, una scissione in due fasi dell’esecuzione dei servizi (indicati invece come da effettuare unitariamente sede di bando), un termine finale indicato in bando di 36 mesi dilatato di quasi un anno e l’aggiunta mediante affidamento diretto di servizi già oggetto di prestazione da parte di altro fornitore, aggiudicatario di procedura di evidenza pubblica, a prezzo diverso e maggiorato rispetto a quello pagato al soggetto già aggiudicatario dello stesso servizio.
Per il ricorrente, le modifiche sono obiettivamente sostanziali e necessiterebbero di procedura ad evidenza pubblica per poter essere applicate. Da ciò si desumerebbe la necessaria sussunzione di questa patologia dei contratti sotto la nullità, anche per l’impossibilità di convalidare un contratto di appalto nullo, e non nella diversa categoria della annullabilità, ritenuta convalidata, come erroneamente avrebbe fatto la Corte di appello.
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia: Violazione degli artt 115 c.p.c., 2697, 2699, 2700, 2701, 2702, 2719 c.c.
La Corte avrebbe errato nel ritenere che le modifiche apportate alle prestazioni aggiudicate non erano sostanziali in quanto migliorative ed approvate dalla stessa stazione appaltante. Per il ricorrente le modifiche apportate erano sostanziali e tale carattere risulterebbe da specifici atti processuali. Quindi la Corte sarebbe caduta in contraddizione.
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia: violazione degli artt 1441, 1444 c.c. La Corte ha ritenuto convalidati, in quanto convalidabili, i contratti afflitti da vizio di annullabilità, in forza di atto di collaudo e di attestazione di regolare esecuzione. Ove anche si volesse parlare di annullabilità, l’annullabilità in questione, afferendo ad ipotesi di modifiche sostanziali susseguenti ad aggiudicazione a seguito di procedura ad evidenza pubblica, deve qualificarsi come annullabilità assoluta e quindi non passibile di convalida.
Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia: violazione degli artt. 115 c.p.c., 2697, 2699, 2700, 2701, 2702, 2719 c.c. La Corte, per respingere il motivo di appello collegato alla mancanza di idonea
copertura finanziaria, richiama due decreti, assumendo che gli stessi atti dimostrino che ‘è la stessa regione a ritenere la piena legittimità gli impegni assunti con la Dante causa di RAGIONE_SOCIALE‘. Ma nel secondo decreto, il quale riguarda la sola variante aggiuntiva, si riconosce il debito fuori bilancio in relazione alla somma correlata a tale parte di servizio, che non era previsto dal bando pubblicato.
Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La sentenza dà atto dell’esistenza di note, richiamate dalla regione nel suo atto di appello, ma la sentenza, pur menzionandole, omette di esaminare tali documenti, concentrando l’esame solo sul documento già esaminato dal tribunale e sull’ininfluente decreto del 2012.
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Cass.S.U. 37552/2021; Cass. 4300/2023). Per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366, primo comma, n. 3), c.p.c. il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla RAGIONE_SOCIALE un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che e riservata invece al ricorrente (Cass. 13312/2018; Cass. 24432/2020).
Nel caso concreto, il ricorso – corredato solo da una sintetica indicazione dello svolgimento del processo – non contiene una chiara esposizione dei fatti di causa (art. 360 n. 3 c.p.c.), ossia della vicenda processuale nei suoi risvolti fattuali, ai quali vanno applicate le norme che si assumono violate. Non è, infatti, chiaro a quale titolo fosse dovuta la ingente somma ingiunta, in cosa sia consistita la convalida ed a quali contratti si riferisca, per quali contratti sia stata considerata legittima la valutazione in termini di annullabilità e non di nullità, quale sia stato l’iter di formazione di tali contratti, quali le modifiche apportate ritenute migliorative, quali siano i documenti, e
quale contenuto abbiano, che si assume non siano stati esaminati, o non correttamente esaminati. Per cui il ricorso difetta anche di specificità e di autosufficienza Né le doglianze sono state esattamente e specificamente correlate ai diversi punti della decisione impugnata.
Per quanto sopra il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessive euro 7.500,00 più 200,00 per esborsi. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR 115/2002 ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione