Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4494 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4494 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25581/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (EMAIL che li rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso.
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ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE -intimati – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 977/2021 depositata il 02/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
COGNOME NOME e COGNOME NOME Antonio, rispettivamente proprietaria e possessore di un lotto di terreno sito in Chiaravalle Centrale convenivano in giudizio Enel RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento dei danni asseritamente patiti per: a) mancato completamento della procedura di esproprio relativa alla linea 150KW; b) realizzazione abusiva di due linee 20 Kw; c) taglio abusivo degli alberi perpetrato il 9 agosto 2008.
Si costituivano, resistendo, Enel RAGIONE_SOCIALE e Terna RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Con sentenza n. 1176/2019 il Tribunale di Catanzaro dichiarava la domanda inammissibile, sul rilievo dell’essere già intervenuto un giudicato sulla medesima questione.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello; si costituivano, resistendo al gravame, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Con sentenza n. 977/2021 del 2 luglio 2021 la Corte d’Appello di Catanzaro accoglieva il motivo di appello con cui veniva contestata la declaratoria di inammissibilità della domanda resa dal primo giudice e, previa riforma dell’impugnata sentenza, esaminava nel merito le domande proposte dagli attori in primo grado e le rigettava in quanto infondate.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Le società resistenti restano intimate.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza
camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ.’.
Lamentano che la corte territoriale, nel rigettare la domanda di risarcimento danni, non ha correttamente applicato il principio di non contestazione e, in particolare, non ha tenuto conto che nessuno dei due enti, prima convenuti poi appellati, aveva disconosciuto la circostanza del taglio delle piante, sia pure contestandone la liceità.
Sostengono quindi che ‘il fatto costitutivo del danno preteso dagli attori (taglio delle piante), oltre ad essere provato dalla documentazione da essi offerta e proveniente da ambo le parti (v. allegati al fascicolo di primo grado) non è specificatamente contestato dai convenuti’ per cui ‘anche il nesso di causalità tra le condotte ed il danno è da ritenersi provato’ (v. p. 7 del ricorso).
Lamentano inoltre che la corte di merito, relativamente alla linea di 150 KW, non avrebbe tenuto conto del fatto che tra le parti era stato redatto un verbale di constatazione danni, appunto in relazione alle piante tagliate.
Con il secondo motivo, dedotto in via subordinata, i ricorrenti lamentano, nuovamente, ‘Violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ.’.
Lamentano che la corte di merito avrebbe errato a far riferimento ad una asserita non contestazione della regolare autorizzazione alla realizzazione di due linee di 20 KW ed avrebbe omesso di considerare che l’affermazione circa la regolarità delle
linee era invece stata sempre contestata dagli allora attori, oggi ricorrenti, sia ante causam sia in corso di causa.
Con il terzo motivo, sempre dedotto in via subordinata, i ricorrenti deducono ‘Violazione degli artt. 1362 cod. civ. e seguenti in relazione all’art. 360 numero 3’.
Lamentano che, per un verso, la corte di merito non ha considerato che gli enti convenuti avevano meramente affermato in causa essere esistente un’autorizzazione amministrativa relativa alle linee di 20 KW, ma mai avevano prodotto, a sua prova, il relativo documento; per altro verso, ha interpretato il documento 16, che costituisce atto di constatazione danni ed era stato in allora prodotto da essi attori danneggiati, in maniera contraria al suo significato letterale e mediante l’esame di una sua parte soltanto.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Evoca assertivamente e impropriamente il principio di non contestazione, pretendendo di desumere che dalla pacifica circostanza dell’avvenuto taglio delle piante risulti, per ciò solo, provata anche la sua illiceità, e non si confronta con la motivazione dell’impugnata sentenza.
La corte di merito, infatti: a) ha escluso che Terna abbia mai svolto attività manutentiva o di taglio delle piante; b) ha dato atto, quanto alla posizione di Enel Distribuzione, dell’esistenza di una autorizzazione, costituita dalla determinazione n. 1358 del 2008 dell’amministrazione provinciale di Catanzaro; c) ha ritenuto ulteriormente provata la liceità del taglio delle piante anche sulla base della prova documentale in atti (a p. 5 della sentenza si usa l’espressione ‘tale circostanza trova conferma nel documento 16 di parte attrice”); d) ha infine concluso nel senso che il taglio delle piante è avvenuto sulla base di un provvedimento amministrativo autorizzativo, il che porta ad escludere la sussistenza di un illecito.
I ricorrenti asseriscono ora che l’autorizzazione amministrativa non sarebbe mai stata prodotta, ma di ciò la sentenza non fa menzione alcuna, mentre i ricorrenti trascurano di specificare se, dove e quando la questione della mancata produzione sia stata eccepita e sia quindi stata trattata nel precedente contesto processuale, incorrendo quindi nella patente violazione dell’art. 366, n. 6., cod. proc. civ.
Questa Suprema Corte ha infatti già avuto modo di affermare che in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, n. 3 e n. 6, c.p.c. – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione, funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (v. tra le tante Cass., 2021/2711; Cass., 04/10/2018, n. 24340; Cass., Sez. Un., 31/10/2007, n. 23019).
L’applicazione di questo principio, e la conseguente valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso, su tale principio fondata, non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 e ribaditi da Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno “standard” di redazione degli atti che, declinando la
qualificata prestazione professionale svolta dalla difesa e presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale permettendo, in quel perimetro, l’apprezzamento delle ragioni della parte; si tratta, come evidente, di una ricaduta del principio di specificità del gravame, calato nel giudizio a critica vincolata qual è quello della presente sede di legittimità.
4.1. L’ulteriore censura che compone il motivo si riferisce alla asserita erronea interpretazione del verbale di constatazione danni. Si fa riferimento al doc. 16, che costituirebbe un verbale di constatazione danni concordati tra le parti per il taglio, ritenuto abusivo di ulteriori 95 piante, rispetto a quelle orginariamente previste da tagliare: senonché a tale documento la sentenza impugnata fa riferimento ad abundantiam , dato che la principale ragione del decidere è quella per cui il taglio delle piante sia avvenuto sulla base di un provvedimento amministrativo e dunque sia lecito in quanto autorizzato.
Il secondo motivo è inammissibile, per le medesime ragioni svolte in sede di scrutinio del primo motivo.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
Lamenta che la corte di merito avrebbe erroneamente interpretato il documento n. 16, avente ad oggetto il verbale di constatazione danni relativi al taglio delle piante, assertivamente invocando la violazione dei canoni ermeneutici contrattuali.
Tuttavia, non solo, come già detto, nella motivazione della corte d’appello il riferimento a tale documento è svolto ad abundantiam , ma i ricorrenti neppure dicono se, dove e quando la questione della sua errata interpretazione fosse già stata eccepita e trattata nel precedente contesto processuale, nuovamente incorrendo nella violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. Peraltro, si ricorda che: ‘Ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta
la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.’ (così la recente Cass., 29/05/2024, n. 15058).
In ogni caso, poi, sotto la formale invocazione della violazione di legge, i ricorrenti pretendono di contrapporre all’interpretazione data dalla corte di merito una propria diversa autonoma ricostruzione del fatto e della prova, invece preclusa in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non è luogo a provvedere in ordine alle spese, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza