Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3941 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
Oggetto
Contratto di agenzia Provvigioni Indennità in caso di cessazione del rapporto Indennità di incasso
R.G.N. 5349/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/11/2023
sul ricorso 5349-2020 proposto da:
CC
NOME COGNOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 51/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 24/01/2019 R.G.N. 1178/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/11/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello principale di NOME COGNOME e di quello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE, proposti contro la sentenza n. 4773/2012 del Tribunale di Ragusa, e in riforma di quest’ultima sentenza, condannava la società al pagamento, in favore del NOME, dell’importo di € 68.714,38, a titolo di credito per provvigioni, nonché dell’importo di € 39.729,68 per indennità di fine rapporto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di maturazione di ciascun credito al soddisfo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva infondato il primo motivo dell’appello principale, relativo alla misura della provvigione col cliente RAGIONE_SOCIALE, accertata dal Tribunale nella misura del 3% e non del preteso 10%; motivo a mezzo del quale l’ex agente lamentava la violazione dell’art. 1742, comma 2, c.c. in relazione all’art. 2725 c.c., stante l’inammissibilità della prova testimoniale ammessa dal primo giudice su ‘clausole aggiunte’ da provarsi rigorosamente per iscritto. Reputava, invece, fondato il secondo motivo del medesimo appello, relativo all’indennità per nuova clientela. Disattendeva, poi, il terzo
motivo d’appello del COGNOME, con il quale egli criticava la sentenza di primo grado per non aver rilevato, in base a tutte le circostanze concrete, che l’attività finalizzata al recupero dei crediti (della quale erano testimonianza gli allegati 8 e 8 bis), costituisse una vera e propria attività accessoria e collaterale a quella di agente, svolta con continuità e dunque meritoria del compenso ulteriore (c.d. indennità di incasso). Parimenti infondato veniva giudicato il quarto motivo della stessa impugnazione, a mezzo del quale il COGNOME criticava la sentenza di primo grado per travisamento ed errata interpretazione delle prove documentali (nella specie la circolare RAGIONE_SOCIALE del 2.8.2001 ed altri collegati) dalle quali avrebbe dovuto trarsi il convincimento che lo ‘scopo’ della circolare informativa ai clienti della cessazione del rapporto, per il suo tenore letterale in realtà aveva quello di ‘divulgare un’immagine in concreto offensiva oltre che inveritiera dell’agente uscente’.
3. Inoltre, la Corte catanese riteneva parzialmente fondato l’appello incidentale della società, con il quale essa censurava la decisione sotto il profilo dell’errata interpretazione delle prove testimoniali in ordine alla ‘pattuizione’ di riduzione della misura della provvigione ‘a partire dal 1997’, con ciò violando gli artt. 115 e 116, 1^ comma, c.p.c. Dava conto, peraltro, la Corte che l’appellante incidentale ribadiva l’eccezione di nullità del ricorso per indeterminatezza e, quindi, la violazione degli artt. 1742 e 1748, 1^ comma, c.c., non essendo stata raggiunta la prova del diritto alla provvigione per gli affari conclusi dal NOME, il quale avrebbe anzi ammesso di pretendere il compenso ‘per vendita della preponente alle quali il NOME era rimasto estraneo’. Il parziale accoglimento dell’appello incidentale
comportava, quindi, una rideterminazione in riduzione del credito dell’agente per provvigioni.
Avverso tale decisione, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale a mezzo di due motivi.
Il ricorrente principale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1742 secondo comma, c.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. (violazione e falsa applicazione delle norme di diritto) e in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. (per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti)’. Secondo detto ricorrente, la Corte territoriale, in relazione al suo primo motivo di appello, erroneamente aveva sostenuto che lo stesso è infondato, in quanto la prova testimoniale circa la riduzione della percentuale provvisionale con il cliente RAGIONE_SOCIALE dal 10% al 3% era ammissibile e legittima. Deduce, ancora, che ‘non vi è dubbio che il fatto storico controverso e decisivo per il giudizio, omesso da secondo giudice, è la comunicazione di NOME a NOME, a mezzo lettera del 10.07.1989 (DOC N. 6 fascicolo di parte ricorrente del fasc. 1° grado ricostruito) che a partire dal luglio 1989, le aliquote sarebbero state del 10% per i prodotti manifattura per gli affari conclusi su tutto il territorio nazionale, compresi gli affari conclusi da RAGIONE_SOCIALE e
la società RAGIONE_SOCIALE, con sede e operante in Italia’. Per il ricorrente principale, ancora, sussiste violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. declinati in relazione al principio di acquisizione processuale della prova, in quanto la Corte di Appello non ha valorizzato, nella attività di selezione e ponderazione del materiale probatorio, le risultanze tratte dalla produzione documentale funzionale alla dimostrazione dei fatti hic et inde allegati, cioè la citata lettera del 10.07.1989.
2. Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1744 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. (violazione e falsa applicazione di norme di diritto); e in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. (per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti)’. Si deduce che anche in questo caso i documenti trascurati dalla Corte di merito ‘(doc. 8 e 8bis incluso nel doc. 22 fasc. di parte ricorrente 1° grado ricostruito) contengono un fatto storico e circostanze tali da invalidare con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, la efficacia delle altre risultanze istruttorie e in particolare il doc. 8, relativo alla ristrutturazione del debito che rientra nei casi minoritari di recupero di crediti scaduti’. Pertanto, sempre secondo il ricorrente principale, ‘detto documento indicato dalla Corte territoriale non prova che tutta l’attività di recupero del ricorrente riguardasse crediti scaduti, ma solo un caso e/o pochi casi. Al contrario, il fatto storico contenuto nel fax del 19.11.1999 (NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO fascicolo di parte 1° grado ricostruito) documento trascurato dal giudice di 2° grado, dà certamente luogo a una decisione diversa’. Anche in questo motivo, il ricorrente principale deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. declinati
in relazione al principio di acquisizione processuale della prova.
Con il terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. c.c. 1742, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. (violazione e falsa applicazione delle norme di diritto); e in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. (per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti)’. Richiamando Cass. n. 16377/2004 e n. 4167/1996, il ricorrente principale sostiene in primo luogo che ha errato la Corte territoriale ‘a trarre la c onclusione di un nuovo assetto territoriale dalla continuazione della collaborazione pluriennale del ricorrente con NOME, in mancanza di contestazione da parte del ricorrente, in quanto non vi è prova in atti di un accordo fra le parti circa la modifica della percentuale delle provvigioni ridotta sui prodotti manifatturati a partire dal 1997, ma l’Azienda ha unilateralmente operato la decurtazione da tale data’. Inoltre, per lo stesso, la comunicazione a mezzo fax del 17.10.2000, riferendosi al cliente RAGIONE_SOCIALE, è documento che contiene un fatto decisivo per il giudizio, quale la contestazione circa la decurtazione delle provvigioni dal 10% al 5% e al 3%. Ed anche in questo caso sussiste violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., declinati in relazione al principio di acquisizione processuale della prova.
Con il primo motivo del suo ricorso incidentale la RAGIONE_SOCIALE denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 414 n. 3 e 420 I comma c.p.c. (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.)’. Premette che nel ricorso introduttivo del primo grado il COGNOME aveva espressamente richiesto la liquidazione
dell’indennità di risoluzione del rapporto in applicazione dei criteri di calcolo previsto dall’AEC di settore, e che solo in corso di causa, lo stesso aveva chiesto gli venisse riconosciuta l’indennità di risoluzione del rapporto calcolata ex art. 1751 c.c., il che sostanziava una tardiva e quindi preclusa mutazione del petitum . Deduce, allora, da un primo punto di vista, che la Corte territoriale , ‘statuendo nel merito (come del resto avvenuto in prime cure), ha conservato l’assoluto silenzio sulla pur eccepita inammissibilità della domanda ‘ , in violazione delle norme dell’art. 112 e dell’art. 420, comma 1, c.p.c. In secondo luogo, assume che della stessa domanda era stata, altresì, eccepita la nullità, ma che ancora una volta la stessa Corte, ‘statuendo nel merito (come del resto avvenuto in prime cure), ha conservato l’assoluto silenzio sulla pur eccepita nullità della domanda’, in violazione degli artt. 112 e 414 n. 3) c.p.c.
5. Con un secondo motivo del medesimo ricorso incidentale si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’. Secondo la ricorrente incidentale, la Corte territoriale, nell’accogliere sul piano del merito l’avversa domanda ex art. 1751 c.c., pur avendo a disposizione tutti i dati sopra riassunti (e rimasti incontestati) ed i relativi documenti dai quali i medesimi sono stati ricavati, ha di fatto violato l’art. 1751 c.c., attribuendo l’ emolumento dalla norma previsto: -in assoluta assenza dei relativi presupposti richiesti; – ed anzi nella ricorrenza di piena prova circa l’assenza di tali presupposti, così per l’effetto violando la norma stessa e tradendo la conclamata ratio premiale che appare indiscutibile anche alla luce dei consolidati insegnamenti di questa Corte, nonché violando
gli artt. 115 e 116 c.p.c. ed i correlati principi che governano l’apprezzamento e la valutazione delle prove acquisite al processo.
Tutti i motivi del ricorso principale presentano profili d’inammissibilità.
Secondo questa Corte, infatti, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (così, ad es., Cass., sez. I, 1.3.2022, n. 6674). Inoltre, è ius receptum che sono riservati al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (in tal senso, ex plurimis , Cass., sez. II, 22.2.2022, n. 5732).
7.1. Tali censure, perciò, sono inammissibili per la parte in cui vi si deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., perché in realtà il ricorrente principale si duole del fatto che la Corte d’appello non avrebbe valorizzato, nell’attività di selezione e ponderazione del materiale probatorio, determinate risultanze documentali, a
seconda dei tre motivi, e non perché la stessa Corte non abbia considerato l’una o l’altra di esse, perché introdotta in causa ad istanza o ad iniziativa di una determinata parte (il che avrebbe potuto determinare la violazione del principio di acquisizione processuale della prova, pure evocato da questo ricorrente).
Infatti, lo stesso ricorrente principale in tutti i suoi motivi fa riferimento nel contempo anche al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. sui medesimi aspetti probatori.
8.1. Ma anche in questa diversa chiave le sue censure sono inammissibili.
8.2. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Costituisce un ‘fatto’ agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive; gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o ‘il vario insieme dei materiali di causa’ (così Cass., sez. lav., 22.5.2020, n. 9483). Inoltre, come specificato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, è onere del ricorrente, ai sensi
degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (cfr. Cass., Sez. un., 30.7.2021, n. 21973). Infine, neppure costituiscono ‘fatti’ gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (in tal senso Cass., sez. I, 21.7.2020, n. 15568).
8.3. Ebbene, nel primo motivo il fatto storico, asseritamente controverso e decisivo per il giudizio, di cui sarebbe stato omesso l’esame da parte della Corte territoriale, è stato individuato direttamente nella comunicazione della preponente in data 10.7.1989, vale a dire, in una fonte di prova documentale (cfr. pagg. 14-15 del ricorso).
Peraltro, contraddittoriamente nello svolgimento dello stesso motivo (cfr. pag. 11 del ricorso), si riconosce che la medesima lettera del 10.7.1989 era stata in realtà considerata dalla Corte di merito, (come in effetti è: cfr. in particolare § 6.1. a pag. 9 della sua sentenza); il che sta a significare che il ricorrente si duole, in realtà, della valutazione in senso stretto di quel documento, ossia, di una valutazione riservata al giudice del merito.
8.4. Analogamente, nel secondo motivo il ricorrente assume che il doc. 8, relativo alla ristrutturazione del debito, ‘indicato dalla Corte territoriale non prova che tutta l’attività di recupero del ricorrente riguardasse i crediti scaduti, ma solo un caso e/o pochi casi’ (così a pag. 18 del ricorso).
Anche in questo caso, perciò, si critica un apprezzamento di una fonte di prova documentale compiuto dalla Corte d’appello, e ad essa riservato.
Inoltre, il primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili anche per la parte in cui vi si deduce ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. la violazione e falsa applicazione, rispettivamente, dell’art. 1742, secondo comma, c.c. (nel primo motiv o) e dell’art. 1744 c.c. (nel secondo), non essendo assolutamente specificato sotto quali profili tali norme di diritto (sostanziale) sarebbero state violate o falsamente applicate dalla Corte di merito.
Nell’esaminare ulteriormente il terzo motivo di ricorso, giova premettere che il ricorrente ivi censura una parte di motivazione dell’impugnata sentenza relativa al parziale accoglimento dell’appello incidentale della sua controparte.
Più in particolare, la Corte distrettuale, tra l’altro, aveva osservato che: (così tra la pag. 9 e la pag. 10 dell’impugnata sentenza).
Notato che di tale passaggio argomentativo il ricorrente prende in considerazione solo una quota della parte di motivazione di Cass. n. 13379/2009, richiamata dalla Corte catanese (cfr. pag. 20 del ricorso), la terza censura nella sua versione principale è comunque infondata.
In punto di diritto, infatti, il ricorrente si limita a richiamare l’orientamento secondo il quale, per il contratto di agenzia, pur se stipulato prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 1742 c.c. introdotta col d.lgs. 10 settembre 1991 n. 303, di attuazione della direttiva Cee n. 86/653, è richiesta la forma scritta, in quanto prevista dalla relativa contrattazione collettiva (così Cass., sez. lav., 20.8.2004, n. 16377; e, in senso sostanzialmente conforme, Cass., 6.5.1996, n. 4167; decisioni, queste, peraltro, già menzionate ad altri fini dalla Corte territoriale alla fine del § 3.1. a pag. 5 della sua decisione).
Il ricorrente, tuttavia, neanche deduce se e quale norma di un AEC applicabile ratione temporis al rapporto d’agenzia di cui è causa contemplasse la forma scritta per il relativo contratto; non assume di averlo dedotto in precedenza nel doppio grado di giudizio nel merito e, comunque, tale specifica questione non risulta trattata dalla Corte di merito.
11. Come premesso, nell’ambito del terzo motivo, in via sostanzialmente subordinata, il ricorrente, in termini di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti’ ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., assume che egli avrebbe in realtà contestato durante il rapporto di agenzia, a mezzo della comunicazione a mezzo fax del 17.10.2000, la riduzione di tutte le provvigioni al 5% a partire dal 1997 unilateralmente operata dall’RAGIONE_SOCIALE, laddove la Corte territoriale aveva concluso a riguardo che ‘non sono riscontrabili contestazioni da parte del NOME alla modifica ‘di fatto’ della misura della provvigione’.
11.1. In aggiunta a quanto già in precedenza osservato, occorre allora notare che il ricorrente non indica come e quando abbia formato oggetto di discussione tra le parti la suddetta comunicazione del 17.10.2010 e la contestazione che ivi egli assume di av er operato alla modifica dell’importo provvigionale. E analoghe considerazioni valgono per il fax del 19.11.1999 (sub doc. n. 12 del fascicolo di 1° grado ricostruito), che il ricorrente assume ‘documento trascurato’ nel secondo motivo.
In conclusione, il primo ed il secondo motivo del ricorso principale sono inammissibili, mentre il terzo motivo dello stesso ricorso, fermi i rilievi d’inammissibilità sopra illustrati, risulta in complesso infondato.
Passando ad esaminare il ricorso incidentale della società preponente, il primo motivo è inammissibile per la parte che si riferisce all’eccezione d’inammissibilità del mutamento del petitum relativo all’indennità di risoluzione del rapporto.
In particolare, la ricorrente incidentale erroneamente si riferisce alle ipotesi di cui ai n. 3) e 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., laddove la dedotta violazione dell’art.
112 c.p.c. andava piuttosto fatta valere ex art. 360, comma primo, n. 4), prospettando, quindi, la nullità della sentenza appunto per aver omesso di pronunciarsi sulla suddetta eccezione.
In ogni caso, in parte qua la censura difetta del requisito di specificità del ricorso per cassazione, perché la ricorrente incidentale non ha precisato in quali atti e in che termini avrebbe sollevato l’eccezione d’inammissibilità che assume di aver formulato ‘in prime cure e ribadito in grado d’appello’. Non è stato, infatti, trascritto, ma neanche richiamato, alcun atto del processo in proposito.
13.1. E analoghi rilievi valgono per la parte dello stesso motivo, che riguarda l’omessa pronuncia circa l’eccezione di nullità della medesima domanda relativa all’indennità di risoluzione del rapporto.
Anzi, a riguardo la ricorrente incidentale si limita ad asserire che ‘Della domanda in discorso era stata altresì eccepita la nullità’, senza neanche dedurre che l’eccezione in questione sarebbe stata formulata in primo grado e confermata in sede d’appello.
Infondato è il secondo motivo del ricorso incidentale.
E’ sufficiente considerare che tale censura, non solo si fonda esplicitamente su ‘una vera e propria disamina del fatto’ (cfr. pagg. 14 -15 del controricorso), proposta dalla ricorrente incidentale, ma non tiene conto della motivazione resa dalla Corte di merito, la quale , tra l’altro, ha ritenuto ‘incontestato che l’RAGIONE_SOCIALE era entrata nel mercato italiano in coincidenza con il conferimento dell’incarico al NOME (pag. 16 appello), per cui tutti i clienti sono da considerarsi, ai
sensi dell’art. 1751, c.c., 1^ comma, come ‘nuovi’ e tanto basta ai fini del riconoscimento dell’ indennità, considerando che, per stessa ammissione della società, i vantaggi derivanti da tali clienti si sono mantenuti nel tempo anche dopo il subentro del nuovo agente’ (v. in extenso § 4, 4.1, 4.2, 4.3. e 4.4. dell’impugnata sentenza).
15.1. Per la parte in cui in tale motivo si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. vale richiamare i principi di diritto esposti al § 7.1. di questa motivazione, che non risultano violati dalla Corte di merito.
Stante la reciproca soccombenza le spese di questo giudizio di cassazione possono essere integralmente compensate tra le parti. Entrambe, però, a motivo della reiezione delle rispettive impugnazioni, sono tenute al pagamento del c.d. raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 28.11.2023.
La Presidente
NOME COGNOME