Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5258 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5258 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4463/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -intimato- avverso il DECRETO del TRIBUNALE di NAPOLI NORD n. 5900/2019 depositata il 05/01/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso ex art. 98 l. fall. la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) ha proposto opposizione avverso il diniego di ammissione al passivo del Fallimento ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ (di seguito Fallimento) del credito di €
2.187.116,79 derivante da rapporti commerciali intrattenuti con la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) in qualità di consociata, a titolo di contributi, sconti e ristorni ( ‘ contributi di sede’ appartenenti al cd. ‘ terzo l ivello’ e ‘ contributi promozionali ‘ maturati dal 2015), motivato dal giudice delegato con l’inidoneità della documentazione prodotta a dimostrare in maniera attendibile l’ an e il quantum debeatur , «in considerazione della carenza di data certa e della inopponibilità alla curatela degli atti allegati».
2. -Il Tribunale di Napoli Nord, dopo aver analiticamente ricostruito la disciplina dei rapporti tra il Consorzio e le RAGIONE_SOCIALE consociate, alla luce dello Statuto e del Regolamento di CE.DI., nonché dell’ Accordo commerciale in parziale deroga al Regolamento stipulato il 9.2.2015 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (circoscritto ai contributi cd. di terzo livello e ai contributi dovuti per l’attività promozionale svolta nell’interesse del consorzio, in quanto riscossi da RAGIONE_SOCIALE per conto della consociata e su mandati di questa), ha rigettato l’opposizione, osservando: i) che l ‘ Accordo commerciale ha attribuito a RAGIONE_SOCIALE un trattamento privilegiato solo per le prestazioni di primo e secondo livello, mentre per tutte le altre erogazioni del RAGIONE_SOCIALE la consorziata restava sottoposta alle regole consortili, in qualità di socia.; ii) che il consorzio condivideva i vantaggi mutualistici tra le consorziate mediante erogazioni di varia denominazione, in funzione dei diversi servizi resi (art. 1.2 Regolamento), sulla base di una disciplina statutaria omogenea comune a tutte le attribuzioni, con conseguente arbitrarietà di qualsiasi classificazione volta a stabilire discriminazioni nel trattamento giuridico di ciascuna erogazione, in assenza di specifici riferimenti; iii) che dalla natura mutualistica dello scopo RAGIONE_SOCIALE discende la natura di ristorni di ciascuna di queste attribuzioni e, dunque, anche dei premi vantati dall’opponente ; iv) che RAGIONE_SOCIALE non ha maturato il diritto a percepire ristorni per le annualità 2015 e 2016, periodo in cui non vi erano i presupposti per la ripartizione dell’utile di gestione nelle forme di ristorni, poiché dalla documentazione offerta emerge come il consorzio si trovasse già in situazione di grave e irreversibile insolvenza (al 21/12/2015 perdite di esercizio per oltre 24 milioni di euro; patrimonio netto negativo di oltre 7 milioni di euro; conto economico negativo; situazione poi aggravatasi sensibilmente
nell’esercizio successivo ); v) che, in ogni caso, le prove prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE opponente sono inidonee a dimostrare il preteso diritto, in quanto fondato esclusivamente su fatture e altra documentazione contabile interna alla stessa RAGIONE_SOCIALE, non opponibile alla curatela; vi) che, quando il rapporto sia contestato fra le parti, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, per la sua formazione unilaterale non può assurgere a prova del contratto, potendo al più rappresentare un indizio della sua stipulazione e dell’esecuzione della prestazione ivi indicata, non anche della rispondenza della prestazione resa a quella pattuita; vii) che è irrilevante la circostanza che alcune fatture di RAGIONE_SOCIALE avrebbero assunto data certa, in quanto richiamate nella corrispondenza intercorsa con RAGIONE_SOCIALE a mezzo pec, poiché la certezza della data non rimuove il dato oggettivo che la fattura sia stata formata unilateralmente dall’imprenditore che intende avvalersene in giudizio; viii) che a nulla vale la produzione dei registri Iva, poiché le scritture contabili interne non sono opponibili al curatore fallimentare che è terzo, con conseguente inapplicabilità del l’efficacia probatoria tra imprenditori ex artt. 2709 e 2710 c.c.; ix) che detta inopponibilità integra una eccezione in senso lato, rilevabile anche d’ufficio ; x) che è irrilevante la questione della data certa dell’Accordo Commerciale , poiché, in difetto di prova delle singole prestazioni e dei criteri adottati per la quantificazione del preteso credito, la prova non sarebbe comunque raggiunta.
-Avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in tre mezzi, illustrato da memoria; il Fallimento intimato non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2615-ter, comma 2, e 1713, comma 2, c.c., sul rilievo che ammettere la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad utilizzare, per la copertura dei propri costi, importi incassati per conto della socia mandante RAGIONE_SOCIALE si tradurrebbe in una violazione delle regole statutarie (e dunque dell’art. 2615 -ter c.c. che ad esse rinvia) e dell’art. 1713, c omma 2 c.c. (che riconosce il diritto del mandante a ricevere quanto riscosso per suo conto dal mandatario).
-Il secondo mezzo lamenta omessa motivazione su punto decisivo (art. 360, n. 5 c.p.c.) e violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto il cd. ribaltamento dei costi, necessario per assicurarne la copertura, sarebbe dovuto avvenire non già attingendo agli importi riscossi per conto delle imprese socie, ma rispettando l ‘ art. 36 dello Statuto (con addebito del 30% dei ‘costi fissi’ in parti uguali tra tutti i soci titolari di punti vendita e ripartizione del residuo 70% e di tutti i ‘costi di gestione’ tra i soci in proporzione al volume degli acquisti effettuati tramite la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE). Inoltre, non tutte le erogazioni d i quest’ultima alle socie avrebbero natura di ristorni, dovendosi considerare il titolo contrattuale del mandato conferito da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE , alla luce dell’art. 10.3 del Regolamento ( « il CE.DI. provvederà ad incassare, per conto dei soci, su conforme mandato conferito dai soci stessi, i contributi, gli sconti o altri ristorni riconosciuti dai fornitori a RAGIONE_SOCIALE e da questa al CE.DI, o direttamente al CE.DI., intendendosi gli stessi riferiti ai Soci titolari di Punti Vendita di cui il CE.DI. è intermediario. Del pari il CE.DI. accrediterà ai singoli Soci, come ristorno di fine anno, tali contributi in ragione del fatturato da essi realizzato negli acquisti dai singoli fornitori referenze per referenze, direttamente o per il tramite del CE.DI. »). Il Tribunale, negando l’esistenza del mandato, avrebbe ‘degradato’ il diritto delle imprese, da credito incondizionato del mandante (titolo negoziale, ex art. 1713, comma 2, c.c.) ad aspettativa di ristorno (titolo sociale, condizionato all’eccedenza dei ricavi rispetto ai costi, coperti per ‘ribaltamento’). Il fatto storico non esaminato sarebbe dunque l’esistenza del l’art. 36 dello Statuto e dell’ Accordo Commerciale stipulato tra le parti.
-Il terzo mezzo, che deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 99 l.fall., 115, 116, 177, 210, 212, 244 c.p.c., 1988, 2697, 2704, 2727 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.) e/o nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione agli artt. 112, 115, 116 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c. e all’art. 111 , comma 6 Cost. (art. 360, n. 4 c.p.c.) e/o omesso esame circa un fatto decisivo (art. 360, n. 5 c.p.c.), censura l’omessa valutazione di tutti i documenti prodotti e la violazione di principi e norme vigenti in materia di valutazione e ammissione delle prove, con conseguente omesso esame di fatti
decisivi e violazione dell’art. 112 c.p.c. , poiché, in particolare, la domanda non era fondata su documenti di formazione esclusivamente unilaterale, il Fallimento non aveva contestato il rapporto o il credito, e alcune fatture e comunicazioni, come l’Accordo commerciale , avevano data certa anteriore, mentre la prova testimoniale è stata giudicata irrilevante senza ulteriori precisazioni.
-Tutti i motivi presentano plurimi profili di inammissibilità.
-In primo luogo, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza almeno i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (Cass. Sez. U, 32415/2021; conf. ex plurimis Cass. 7345/2023, 17470/2018).
5.1. -Non è nemmeno ammissibile prospettare una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali -che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma -e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; ove dunque la violazione di legge sia mediata dalla denuncia di omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, si versa nell’ipotesi di denuncia della erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, che attiene al merito e non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 10313/2006; Cass. 195/2016, 26110/2015, 8315/2013, 16698/2010).
5.2. -Nel caso in esame, il ricorrente espone in modo confuso e promiscuo vizi eterogenei, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. ( errores in iudicando , errores in procedendo e vizi motivazionali) senza trattarli separatamente, in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile
tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure ( ex plurimis , Cass. 23995/2022, 6581/2022, 16756/2019, 26790/2018, 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 16657/2017, 19133/2016; nel 2023, v. Cass. 7340, 6951, 6935, 5291, 4652, 3650, 2804, 1305, 1093).
-In secondo luogo, le censure motivazionali non rispettano pedissequamente i canoni imposti dal novellato art. 360, n. 5) c.p.c. che onerano il ricorrente di indicare -nel rispetto degli artt. 366, comma 1, n. 6) e 369, comma 2, n. 4), c.p.c. il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, e, soprattutto, la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020);
6.1. -Ove poi si tratti, come nel caso in esame, non di ‘fatti’ ma di documenti, la denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. può essere ammessa solo se il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento, con la conseguenza che «la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa» (Cass. 19150/2016, 16812/2018; cfr. Cass. 15733/2022).
6.2. -Peraltro, nel caso di specie il tribunale risulta avere in realtà esaminato tutti i documenti prodotti, però interpretandoli in modo difforme dal ricorrente e traendone perciò conseguenze da questi non condivise.
– È allora il caso di ricordare che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo in
relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e s. c.c., o della radicale inadeguatezza della motivazione.
7.1. – Ne consegue che il ricorrente per cassazione è onerato non solo di indicare espressamente i canoni ermeneutici dei quali si allega la violazione, ma anche di precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con la conseguenza che la parte ricorrente è tenuta, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, a riportare in quest’ultimo il testo denunciato, al fine di consentirne il controllo da parte della Corte di cassazione, che non può sopperire con indagini integrative alle lacune dell’atto di impugnazione (Cass. Sez. U, 10374/2007).
7.2. – In nessun caso, invece, il sindacato sull’interpretazione dei contratti e degli atti unilaterali in sede di legittimità può risolversi nella mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella diversa che, tra le varie opzioni possibili, sia stata adottata dai giudici di merito ( ex multis , Cass. 27136/2017, 11254/2018, 873/2019, 995/2021, 9461/2021).
7.3. -Detto altrimenti, l’accertamento della reale volontà delle parti costituisce una valutazione di fatto, rientrante nella discrezionalità del giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità, ove non risultino violati i criteri dettati dagli artt. 1362 e s. c.c. -violazione nel caso di specie nemmeno prospettata -e non emergano vizi logico-giuridici (Cass. 7945/2020, 21576/2019), poiché il sindacato di legittimità non può avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti, ma solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il medesimo giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. 8810/2020, 1547/2019).
7.4. -Tali vizi non emergono dalla decisione impugnata, avendo il tribunale dato una specifica interpretazione, tra l’altro, dell’art. 10.3 del Regolamento , dell’art. 36 dello Statuto e dell’Accordo commerciale stipulato tra le parti , che risulta semplicemente diversa da quella prospettata dal ricorrente.
-Anche l’accertamento della data di una scrittura privata non autenticata e della sussistenza e idoneità di fatti diversi da quelli specificamente indicati nell’art. 2704 c.c., ma equipollenti a questi ultimi -in quanto idonei a stabilire in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento -costituisce compito proprio del giudice del merito, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, ove sia correttamente motivata (cfr. Cass. 35192/2022, 1520/2021, 4104/2017).
8.1. -Ne consegue che tutte le censure ridondano nel merito, poiché mirano ad una diversa valutazione degli elementi probatori scrutinati dai giudici del l’opposizione , trasformando surrettiziamente il giudizio di legittimità in un ulteriore grado di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019); al contrario, la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale, dovendo esercitare un controllo su legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, anche perché, se si ammettesse in sede di legittimità un sindacato sulle quaestiones facti , si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
8.2. -Come noto, la valutazione del materiale probatorio è attività riservata in via esclusiva al giudice di merito, il quale la esercita secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c., anche selezionando, tra tutte le risultanze istruttorie, quelle ritenute più attendibili e idonee a sorreggere la motivazione, senza doversi esprimere analiticamente su ciascuna di esse, né confutare singolarmente le diverse argomentazioni prospettate dalle parti ( ex plurimis , Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017).
8.3. -Di conseguenza, il ricorrente per cassazione non può pretendere di contrapporre a quella del giudicante la propria diversa valutazione o interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti, o comunque una diversa lettura delle risultanze processuali ( ex plurimis , Cass. 3630/2017, 9097/2017, 30516/2018, 205/2022). Non è infatti
compito di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, così sovrapponendo la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, e ciò anche se il ricorrente prospettasse un più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. 12052/2007, 3267/2008).
-Val la pena di aggiungere, quanto alla denunziata violazione dell’art. 115 c.p.c. , che essa ricorre solo ove il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la norma, ponga a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (fermi il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023, 9351/2022, 20553/2021, 22397/2019, 21098/2016, 27197/2011).
9.1. -Analogamente, la pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c. ricorre in realtà solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo “prudente apprezzamento”, attribuendole un diverso valore o il valore assegnato a una differente risultanza probatoria (ad es., valore di prova legale), oppure l’abbia valutata secondo il suo prudente apprezzamento nonostante fosse soggetta a una specifica regola di valutazione; quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura, un tempo limitatamente ammissibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., lo è ora solo in presenza dei gravissimi vizi di motivazione al di sotto del ‘minimo costituzionale’ individuati da Cass. Sez. U, 8053/2014 (Cass. Sez. U, 20867/2020, 34474/2019; Cass. 2001/2023), che non ricorrono nella sentenza impugnata.
-Per concludere, s otto l’apparente deduzione di violazioni di legge, errores in procedendo e censure motivazionali, il ricorso mira surrettiziamente ad una nuova e diversa valutazione del merito della causa, che però non può trovare ingresso in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 34476/2019).
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/02/2024.