Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23003 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23003 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8382/2024 R.G. proposto da : CONCORDATO PREVENTIVO RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 6671/ 2023 depositata il 17/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma -Sezione Specializzata in materia di Impresa -con sentenza n. 15854/2018, depositata il 30 luglio 2018, nel giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 9764/2016 del 27 aprile 2016, con il quale il Giudice designato dello stesso Tribunale aveva ingiunto ad RAGIONE_SOCIALE il pagamento, in favore del Concordato Preventivo di RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 1.266.170,35, richiesta a titolo di crediti maturati nell’ambito di un contratto d’appalto, ha accolto l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE ed ha revocato il decreto ingiuntivo.
Il Giudice di primo grado ha evidenziato che le norme vigenti in materia di appalti pubblici riconoscono alla stazione appaltante alcune prerogative particolari durante l’esecuzione del rapporto, legittimandola a sospendere il pagamento del corrispettivo nell’ipotesi in cui l’appaltatore non abbia documentato l’assolvimento dei propri obblighi verso i sub-appaltatori (art. 118, co. 3, del d.lgs. 12 aprile 2006), ad acquisire il documento unico di regolarità contributiva ai fini del pagamento delle prestazioni dell’appaltatore (art. 118, co. 6, del d.lgs. 12 aprile 2006), ivi compresi gli acconti dovuti a seguito dell’emissione degli stati di avanzamento lavori (art. 6, co. 3, lett. d, del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), nonché a trattenere dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’eventuale inadempienza contributiva (art. 4 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), al fine di garantire la posizione dei sub-appaltatori e l’ordine pubblico in materia di adempimento degli obblighi contributivi relativi al personale adibito alla realizzazione dell’appalto pubblico, anche attraverso l’intervento sostitutivo per il pagamento di quanto dovuto agli enti previdenziali. Tali prerogative, integrando delle vere e proprie ‘condizioni di esigibilità dei pagamenti’, si applicano anche nell’ipotesi in cui l’appaltatore venga ammesso al concordato preventivo senza continuità aziendale, non sussistendo alcuna norma da cui poter desumere la deroga dell’obbligo della sospensione
dei pagamenti dovuti all’appaltatore, fissato dall’art. 118, co. 3, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che dovrebbe permanere fino a quando non vengano soddisfatti i crediti del sub-appaltatore da parte della procedura concordataria. Pertanto, l’Anas s.p.a. aveva legittimamente sospeso il pagamento del saldo delle fatture azionate dalla predetta procedura.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 6671/2023 del 17.10. 2023, ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
Il Giudice di secondo grado ha condiviso l’impostazione del primo giudice, secondo cui l’assoggettamento di una società alla procedura di concordato preventivo non determina, come in caso di fallimento, lo scioglimento del contratto di appalto. Si può, infatti, desumere dagli artt. 169-bis e 186-bis, 3° co., L.F. che i contratti in corso di esecuzione non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura di concordato preventivo, ma proseguono, secondo il programma fissato dalle parti. In particolare, detta regola, espressamente enunciata solo nell’art. 186-bis, 3° co., con riguardo alla specifica ipotesi del concordato ‘con continuità aziendale’, deve ritenersi implicita altresì nel disposto dell’art. 169 bis, che si applica ad ogni fattispecie concordataria, quali che siano il contenuto e l’oggetto della proposta di concordato.
Pertanto, essendo il rapporto di appalto rimasto sempre in vigore tra le parti e non potendo il Concordato Intini avvalersi dell’effetto risolutivo di tale rapporto al fine di ottenere il pagamento del corrispettivo, a prescindere dall’aver soddisfatto o meno il sub-appaltatore, la Corte d’Appello ha ritenuto che la società committente avesse legittimamente opposto la non esigibilità del credito.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Concordato RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE affidandolo ad un unico articolato motivo.
LRAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Il Consigliere Coordinatore ha formulato, in data 25.11.2024, proposta di definizione anticipata della causa.
La procedura concorsuale, in data 5.1.2025, ha formulato, ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2° c.p.c., istanza di decisione.
Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con proposta di definizione anticipata del 25.11.2024 il Consigliere Coordinatore ha così osservato:
‘ Il ricorrente impugna con un solo motivo la sentenza della Corte di appello di Roma del 17.10.2023 che ha rigettato, a spese compensate, l’appello da esso proposto avverso la decisione di primo grado del Tribunale della stessa città che, accogliendo l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE aveva revocato -con aggravio di spese – il decreto ingiuntivo da esso ottenuto in sede monitoria.
Resiste con controricorso l’Anas.
Con l’unico motivo, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per una ravvisata evidente violazione e falsa applicazione di norme di cata applicazione di norme di diritto, petizione di principio, errori diritto, il ricorrente denuncia illogicità e ingiustizia manifesta, mannell’applicazione delle regole della logica da parte di entrambi i giudici di merito, e contraddizioni nella stessa sentenza impugnata Il ricorrente sostiene l’assoluta fallacia delle argomentazioni della Corte territoriale, basate su iniziali petizioni di principio, che ignorano completamente tutta la documentazione versata in atti da entrambe le parti, considerata nella sua globalità, e che applicano in modo assolutamente sbagliato norme esistenti, lamenta poi contraddizioni interne nella motivazione della sentenza impugnata e mancato rispetto delle regole della logica nella disamina e nell’applicazione delle norme in esame. Aggiunge ancora il ricorrente di richiamare in proposito tutte le deduzioni esposte negli otto punti del
capo V del ricorso da considerare tutti a supporto del motivo unico di cassazione.
Il motivo appare inammissibile perché dedotto in modo assolutamente generico sub specie di violazione di legge senza evidenziare in modo specifico e puntuale le regole di diritto asseritamente violate.
È ben noto, infatti, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito. (Sez. U, n. 34476 del 27.12.2019).
Nella specie poi la asserita doglianza di violazione di legge si risolve, in modo del tutto esplicito, in una censura alla motivazione della sentenza impugnata e all’accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove effettuato dai giudici del merito che si esprime in termini di denuncia di illogicità e ingiustizia manifesta, petizione di principio, errori nell’applicazione delle regole della logica, contraddizioni, assoluta fallacia delle argomentazioni, mancata considerazione della documentazione versata in atti.
Giova puntualizzare che nella specie non era consentita la denuncia del vizio motivazionale, a ciò ostando la preclusione in tema di «doppia conforme» ora sancita dall’art. 360, comma 4, c.p.c. (già art. 348-ter, comma 5), secondo cui quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4).
Inoltre, nell’ipotesi di «doppia conforme», prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di pri-
mo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 3, n. 5947 del 28.2.2023).
Non giova al ricorrente neppure il richiamo agli otto punti citati nel § V del ricorso, che altro non sono che l’esposizione dei motivi di appello nei confronti della decisione di primo grado, che per definizione non possono costituire ragione di censura rispetto all’articolato e ampio dictum di secondo grado e che comunque non articolano una specifica e circostanziata censura di violazione di legge ‘.
Questo Collegio non può che confermare e far proprie le argomentazioni e le conclusioni della proposta di definizione anticipata, la quale ha analiticamente indicato le ragioni di inammissibilità del ricorso.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, n. 23745/2020; conf. Cass. n. 18998/2021) quello secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., di indicare, a pena d’inammissibilità della censura, le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha assolto minimamente l’onere di specificità dei motivi, non indicando le norme di legge asseritamente violate, non esaminandone il contenuto precettivo, non confrontandosi con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che non ha avuto neppure cura di richiamare, e
non precisando, infine, i punti della stessa sentenza asseritamente in contrasto con i precetti normativi.
La ricorrente si è limitata a richiamare genericamente le deduzioni svolte nei motivi di appello, non considerando che il motivo di ricorso che si limita a riprodurre i motivi di appello è per ciò solo è destinato all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che, con siffatta mera riproduzione, il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., devono essere applicati come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente della somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo (che si stima pari a quella quantificata a titolo di spese di lite) nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass., Sez. U, 27/9/2023 n. 27433 e Cass., Sez. U, 13/10/2023 n. 28540, l’art. 380-bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata. Peraltro, se è pur vero che di una siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché
l’applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Cass., Sez. U, n. 36069 del 27.12.2023), nondimeno nell’ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale: è evidente la complessiva piena «tenuta» del sintetico provvedimento di proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Condanna il ricorrente ex art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. al pagamento di € 8.200,00,00 a favore della controricorrente di € 2.500,00 a favore della cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma il 14.5.2025