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Ricorso inammissibile: requisiti di specificità

Una consumatrice ricorre in Cassazione contro un istituto di credito per commissioni di intermediazione ritenute illegittime. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile perché la ricorrente non ha trascritto né indicato con precisione la clausola contrattuale contestata. La decisione sottolinea l’importanza del principio di specificità degli atti processuali, rendendo il ricorso inammissibile per difetti formali che impediscono l’esame nel merito.

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Ricorso inammissibile per carenza di specificità: un caso pratico

Quando si presenta un ricorso in Cassazione, non basta avere ragione nel merito: è fondamentale rispettare rigorosi requisiti formali. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come la mancata osservanza di queste regole possa portare a un ricorso inammissibile, vanificando le pretese del ricorrente. Il caso riguarda una controversia tra una consumatrice e un istituto bancario su commissioni di intermediazione, ma la lezione è di portata generale e riguarda il principio di specificità degli atti processuali.

I Fatti di Causa: Dalle Commissioni Bancarie alla Cassazione

La vicenda ha origine da un contratto di finanziamento. Una consumatrice agiva in giudizio contro un istituto di credito per ottenere la restituzione di somme pagate a titolo di commissioni di intermediazione, sostenendo che le relative clausole fossero vessatorie e prive di giustificazione causale.

In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la banca a restituire circa 3.400 euro. Successivamente, la Corte d’Appello riformava parzialmente la decisione: accoglieva in parte il gravame della banca, escludendo dal rimborso le commissioni di intermediazione. La motivazione del giudice d’appello era che tali commissioni erano state corrisposte a una società di intermediazione terza, ritenuta l’unica ‘legittimata passiva’, ovvero l’unico soggetto a cui si poteva chiedere la restituzione.

Insoddisfatta, la consumatrice proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di diverse norme, tra cui quelle del Codice del Consumo sulla vessatorietà delle clausole e del Codice Civile sulla ripetizione dell’indebito.

Le Motivazioni della Cassazione: il Ricorso Inammissibile per Violazione dell’Art. 366 c.p.c.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è entrata nel merito delle questioni sollevate. Ha dichiarato il ricorso principale inammissibile per un vizio formale dirimente: la violazione dell’articolo 366 del codice di procedura civile.

Questa norma impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di fornire una ‘specifica indicazione’ degli atti processuali, dei documenti e dei contratti su cui si fonda il ricorso, nonché di illustrarne il contenuto rilevante.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rilevato che la ricorrente:
1. Non aveva trascritto il testo della clausola contrattuale che riteneva nulla o vessatoria.
2. Non aveva nemmeno specificato dove tale clausola fosse collocata all’interno dei contratti (quello di finanziamento e quello di intermediazione).
3. Non aveva ‘localizzato’ i documenti, ossia non aveva indicato in quale punto degli atti di merito (ad esempio, in quale fascicolo) i contratti fossero reperibili.

In sostanza, il ricorso era generico. Affermava l’esistenza di una clausola illegittima senza però metterla ‘sotto gli occhi’ della Corte, impedendole di effettuare qualsiasi scrutinio. La Cassazione ha ribadito che non è suo compito ‘cercare’ gli atti nei fascicoli di merito; è onere del ricorrente fornire tutti gli elementi necessari per una decisione, in un’ottica di ‘autosufficienza’ del ricorso.

La Corte ha inoltre respinto le argomentazioni della ricorrente basate sulla non contestazione dei fatti da parte della banca, chiarendo che il giudice non è vincolato meccanicamente a considerare come provato un fatto non contestato se questo è smentito dalle prove documentali presenti in atti.

Le Conclusioni

La decisione in esame è un monito fondamentale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione. Il rispetto dei requisiti formali, in particolare del principio di specificità sancito dall’art. 366 c.p.c., non è un mero cavillo burocratico, ma una condizione essenziale per consentire al giudice di legittimità di svolgere la propria funzione.

Le implicazioni pratiche sono chiare:
* Autosufficienza del Ricorso: il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari per essere compreso e deciso, senza che la Corte debba ricercare informazioni altrove.
* Onere della Trascrizione: quando si contesta il contenuto di un documento (come una clausola contrattuale), è indispensabile trascriverne le parti rilevanti direttamente nell’atto di ricorso.
* Localizzazione degli Atti: è necessario indicare con precisione dove i documenti citati possono essere trovati all’interno del fascicolo processuale.

In definitiva, anche la causa con le fondamenta più solide nel merito può naufragare di fronte a un ricorso inammissibile. La cura nella redazione dell’atto processuale è tanto importante quanto la fondatezza delle proprie ragioni.

Perché il ricorso principale è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non rispettava il principio di specificità richiesto dall’art. 366 del codice di procedura civile. La ricorrente non ha trascritto il testo della clausola contrattuale contestata né ha specificato la sua esatta collocazione nei documenti, impedendo alla Corte di Cassazione di valutarne la fondatezza.

Qual è l’importanza dell’articolo 366 del codice di procedura civile in un ricorso per cassazione?
L’articolo 366 c.p.c. è fondamentale perché stabilisce il requisito dell’autosufficienza del ricorso. Impone alla parte ricorrente di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari per decidere (come la trascrizione di clausole o l’indicazione precisa di documenti), senza che la Corte stessa debba effettuare ricerche nel fascicolo processuale. La sua violazione comporta l’inammissibilità del ricorso.

La banca è sempre responsabile per la restituzione delle commissioni di intermediazione pagate dal consumatore?
Secondo la decisione della Corte d’Appello citata nel provvedimento (e non riesaminata nel merito dalla Cassazione), se le commissioni sono state corrisposte a una società di intermediazione distinta dalla banca, l’azione di restituzione deve essere proposta contro tale società, che è considerata l’unica ‘legittimata passiva’, e non contro la banca finanziatrice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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