Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3125 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 00726/2023
promosso da
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in Catanzaro, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;
– controricorrente –
nonché contro
Ing. NOME COGNOME ;
– intimato – avverso la sentenza n. 74/2022 della Corte d’appello di Catanzaro, pubblicata il 21/01/2022 e il successivo decreto di liquidazione del compenso al CTU emesso nello stesso procedimento in data 04/02/2022 dal Presidente della Corte d’appello di Catanzaro;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Catanzaro l’RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE per sentirle condannare alla restituzione della porzione di fondo di sua proprietà, illegittimamente occupato o, in subordine, al risarcimento del danno, unitamente alla corresponsione dell’indennità di occupazione legittima.
Nel contraddittorio dei convenuti, il Tribunale adito, con sentenza dell’11/11/2011, ritenuta sussistente l’ipotesi della cd. occupazione usurpativa, condannò i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno, in ragione della sorte di € 401.700,00, pari al valore venale del fondo appreso, e di ulteriori € 708.763,85 per l’eliminazione degli accessi al fondo, per l’inedificabilità della fascia di rispetto stradale e per la mancata regimentazione delle acque piovane.
Con sentenza del 19/07/2013, resa nella contumacia della RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello di Catanzaro accolse in parte il gravame dell’RAGIONE_SOCIALE. Dopo aver disatteso l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per mancanza di specifici motivi, sollevata dal danneggiato, e rilevato che si era in presenza di un caso di occupazione c.d. appropriativa, la Corte affermò che il risarcimento dovesse esser determinato, per sorte, in complessivi € 115.082,18, di cui: € 38.136,00 quale controvalore della parte occupata, in considerazione della sua destinazione agricola e del valore di mercato degli oliveti collinari; € 69.787,44 per la perdita e la scomodità degli accessi alla porzione residua ed € 6.978,74, per la relativa mancata regimentazione delle acque, esclusa ogni connotazione edificatoria della zona di rispetto, in ciò tenendo conto delle considerazioni svolte dal primo consulente nominato dal Tribunale e disattendendo quelle esposte dal secondo CTU, ritenute apodittiche e giuridicamente erronee, su cui si era fondata la decisione di primo grado.
Per la cassazione di tali statuizioni, ha proposto ricorso NOME COGNOME, con cinque motivi, indirizzato all’RAGIONE_SOCIALE, al liquidatore della
RAGIONE_SOCIALE estinta, ai soci di quest’ultima NOME COGNOME e NOME COGNOME, oltre che a NOME COGNOME, nei cui confronti la RAGIONE_SOCIALE. ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva, non risultando essere socia della RAGIONE_SOCIALE né parte in causa nel precedenti gradi di merito.
Con ordinanza n. 29991/2018 (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 29991 del 20/11/2018), questa Corte ha accolto, nei limiti di cui in motivazione, il terzo e il quarto motivo di ricorso per cassazione, cassando con rinvio la decisione impugnata.
RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che il giudice del gravame avesse correttamente escluso l’edificabilità di fatto dell’area irreversibilmente trasformata, nel determinare il risarcimento dovuto al COGNOME, omettendo però di vagliare le possibilità di utilizzazioni a carattere intermedio tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.) del fondo o di parte di esso, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto di tali dati valutativi, ove assentiti dalla normativa vigente, sia pure col conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative, in quanto inerenti ai requisiti specifici del bene e idonei ad incidere sul relativo valore di mercato, al quale doveva esser rapportato il risarcimento dovuto.
Con atto di citazione in riassunzione, notificato in data 25/02/2019 all’RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME ha riassunto il giudizio e l’RAGIONE_SOCIALE si è costituita in giudizio.
Espletata una nuova CTU, con sentenza n. 74/2022, pubblicata il 21/01/2022, la Corte d’appello di Catanzaro ha condannato l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di COGNOME NOME, a titolo di risarcimento del danno per la perdita dell’area, della complessiva somma di € 350.131,80, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo. La Corte d’appello ha anche statuito sulle spese di giudizio, comprese quelle di CTU, stabilendo, in motivazione, che, liquidate con separato decreto, nei rapporti interni dovessero essere poste a carico di entrambe le parti in quote uguali.
Con successivo decreto, in data 04/02/2022, la Corte d’appello ha provveduto alla liquidazione del compenso al CTU.
Avverso la sentenza e il successivo decreto, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi di impugnazione.
Solo l’RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 -bis, comma 4, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, dell’art. 2, comma 89, delle leggi 24 dic. 2007 n. 244, 8 agosto 1992 n. 359 e 28 dicembre 1995 n. 549, nonché del T.U. sulle espropriazioni 08/06/2001 n. 327 e della normativa in materia di risarcimento del danno per occupazione illegittima in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. -nullità per difetto di motivazione ex art. 1121 n. 4 c.p.c., ed art. 111 Costituzione, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. ed all’art. 111 della Cost. violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. -omesso esame di fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. – violazione della normativa in materia di prova e di valutazione della consulenza d’ufficio e degli artt. 62 e segg. c.p.c. – violazione dei principi enunciati nella sentenza n. 181/2011 e fissati dalla sentenza di codesta Suprema Corte n. 29991/2018 e conseguente nullità denunciatile ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.»
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la «Violazione dell’art. 112 comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. – violazione e falsa applicazione del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, delle leggi 24 dic. 2007 n. 244, 8 agosto 1992 n. 359 e 28 dicembre 1995 n. 549, nonché del T.U. sulle espropriazioni 08/06/2001 n. 327 violazione e falsa applicazione della normativa in materia di risarcimento danni da occupazione, omessa e contraddittoria motivazione, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. – violazione della normativa in materia di prova e di consulenza d’ufficio, e degli artt. 61,
62 e 193, 195 c.p.c. – omessa motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo, nullità per vizi in procedendo.»
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la «Violazione, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., della normativa sui danni per occupazione illegittima, della L. n. 2359 del 1865 e ss. mm., dei principi di Corte Cost. n. 180/2011 – violazione della ordinanza di rinvio n. 2991/2018 nullità, in relazione all’art. 369 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 della Cost., per difetto assoluto di motivazione e per natura meramente apparente di quella enunciata violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. contraddittorietà con statuizioni applicate violazione dell’art. 112 c.p.c. omesso esame ex art. 369 n. 5 c.p.c.»
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la « Violazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., della normativa sulla liquidazione dei compensi ai consulenti – nullità per carenza di potere e contraddittorietà in relazione all’art. 111 della Costituzione – illegittimità derivata.»
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Com’è noto, in tema di ricorso per cassazione, costituisce ragione d’inammissibilità l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza, quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le censure, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26790/2018; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7009/2017; v. anche Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 36881/2021).
L’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, riconducibili alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c. può essere superata solo se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato,
esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, Sentenza n. 9100/2015; v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 39169/2021).
2.2. Come emerge dalla lettura della rubrica del primo motivo di ricorso, sopra riportata, il COGNOME ha formulato, con esso, cumulativamente plurime censure, ricondotte ai numeri 3, 4 e 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. (violazione di numerose norme di diritto sostanziale, assenza e apparenza di motivazione, violazione delle disposizioni che regolano la prova e la valutazione della consulenza tecnica d’ufficio, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, violazione dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 181/2011, violazione del principio enunciato con l’ordinanza di cassazione con rinvio n. 29991/2018 e conseguente nullità del procedimento).
A tale rappresentazione non segue, tuttavia, la chiara e ordinata illustrazione di ogni specifica ragione di doglianza in riferimento a ciascuno dei parametri invocati a supporto dell’impugnazione, rendendo in questo modo generico ciascun motivo di doglianza ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
Il motivo si risolve in diffuse critiche alla sentenza impugnata, perché ha fatto proprie le risultanze della CTU espletata, di cui la parte ha prospettato l’erroneità, l’illegittimità e l’incompletezza.
Volendo, comunque, ripercorrere l’illustrazione del motivo, lo stesso non supera il vaglio di ammissibilità.
3.1. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata:
ha fatto proprie le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, omettendo di esaminare (e di motivare) in ordine alla singolare ammissione del CTU, che espressamente ha riconosciuto di non aver esaminato e provveduto in ordine alle possibilità di utilizzazione alternativa di suoli, assumendo che ciò non andava fatto, sussistendo l’onere della parte di dimostrare e provare il possibile uso alternativo (il
silenzio su tale profilo è ritenuto particolarmente rilevante, considerando, da un lato, la ritenuta erroneità palese della tesi e, dall’altro, il fatto che la proposizione del CTU è motivata con l’assunto secondo cui la tesi stessa sarebbe stata contenuta nell’ordinanza della Corte che ha formulato i quesiti, mentre così non era, e comunque l’opinione espressa era contraria all’orientamento della giurisprudenza di legittimità);
2) ha fatto propria la valutazione contenuta nella consulenza tecnica d’ufficio, che ha enucleato due lotti (rispettivamente di 10.000 mq passibili di utilizzazione alternativa a distribuzione di carburanti e di 29.000 mq considerati solo come agricoli), ma ha trattato la possibilità o meno del possibile uso per agriturismo solo con riferimento al primo di essi (di 10.000 mq), in cui il problema non esisteva, perché il CTU aveva riconosciuto l’uso alternativo (per la realizzazione di un’area di rifornimento carburante), mentre con motivazione tutta apparente non ha operato tale valutazione con riferimento al secondo lotto (in relazione al quale si è soffermata solo su problemi di estimo).
3) seguendo immotivatamente il CTU, il giudice di merito ha in sostanza omesso di procedere all’accertamento sui possibili usi intermedi (che costituivano peraltro la ragion d’essere del rinvio operato dalla S.C.) e tale omissione non ha riguardato solo le aree irreversibilmente trasformate, ma anche quelle rimaste in proprietà al COGNOME, che avevano subito un pregiudizio dalla trasformazione operata e che dovevano essere valutate nuovamente al fine di quantificare il danno subito a causa della privazione di accessi e della mancata segmentazione delle acque.
Il tutto, secondo il ricorrente, ha comportato l’assoluta carenza di motivazione e mancato esame di aspetti decisivi che costituiscono anche fattori di nullità ed integrano errori in procedendo deducibili ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
Nell’ottica del ricorrente la valutazione andava, invece, fatta, applicando criteri di stima diversi da quelli utilizzati dal CTU, che
consentissero di determinare il valore dei beni in conformità alla fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011 che, escludendo la legittimità del ricorso al valore agricolo medio, si è uniformata alle indicazioni provenienti sia dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sia dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea di Lussemburgo, confermando, ed estendendo, un principio che aveva già avuto modo di enunciare la Corte costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007 in ordine alla congruità, serietà e adeguatezza dell’indennità di espropriazione.
3.2. A prescindere dalla inammissibile prospettazione di errores in procedendo, solo allegati e non illustrati, deve subito rilevarsi che le censure formulate non sono affatto riconducibili al prospettato vizio di motivazione, né rappresentano l’omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
3.3. Con riferimento a quest’ultimo profilo, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b, d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012) non consente più l’impugnazione «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto, inteso come fatto storico, accadimento naturalistico, che sia decisivo e che sia stato oggetto di discussione tra le parti.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto, ma un vero e proprio evento, un preciso accadimento, una determinata circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 2, n. 26274/2018).
Non integrano, viceversa, fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., Sez. 2, n. 14802/2017; Cass., Sez. 5, n. 21152/2014),
le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, né i motivi di appello e neppure le singole questioni decise dal giudice di merito o i punti della sentenza (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016).
Nell’ambito dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato, non è, pertanto, inquadrabile la critica alla consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice, risolvendosi tale critica in una esposizione di argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8584 del 16/03/2022; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6322 del 02/03/2023).
Ovviamente, quando la sentenza abbia recepito la consulenza tecnica, è consentito censurare la statuizione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ove venga individuato un preciso fatto storico, sottoposto al contraddittorio delle parti, di natura decisiva, che il giudice del merito, e prima ancora il CTU, abbia omesso di considerare (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 18886/2023)
3.4. Nel caso di specie, le censure attengono alle valutazioni e al procedimento di indagine seguito dal CTU e fatto proprio dalla Corte di merito e nessun fatto specifico, inteso nel senso indicato, è stato prospettato come non esaminato, risolvendosi la censura, sotto questo profilo, inammissibile.
3.5. Per quanto riguarda il dedotto vizio di motivazione, questa Corte ha rilevato che la riformulazione appena richiamata dell’art 360 c.p.c. deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. Cass., Sez. U, n. 8053/2014; conf. da ultimo Cass., Sez. 1, n. 7090/2022).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).
In particolare, questa Corte ha precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.
Secondo la medesima Corte, inoltre, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento del ragionamento del giudice (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411/2021).
Il giudice deve, infatti, dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o respingere la domanda formulata, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14762/2019).
3.6. Nella specie dalla lettura della sentenza impugnata si evince chiaramente che la Corte di appello ha recepito le conclusioni della consulenza tecnica dell’ufficio, richiamando e condividendo le valutazioni e il metodo seguito, illustrandone le caratteristiche e le ragioni di condivisione.
L’errore di metodo del CTU rappresentato nella critica al punto 1) risulta mal prospettato, posto che, nel riportare l’affermazione del CTU si evince che quest’ultimo non ha omesso di valutare un possibile utilizzo intermedio tra quello agricolo e quello edificatorio dei terreni, ma ha affermato di non considerare eventuali attitudini edificatorie, come proprio imponeva l’ordinanza della S.C. che ha cassato la prima decisione della Corte d’appello, laddove ha stabilito «Esclusa, dunque, correttamente la natura edificatoria di fatto, la Corte, nel determinare il risarcimento dovuto per la perdita dell’area ha, tuttavia, omesso di vagliare le possibilità di utilizzazioni a carattere intermedio tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.) del fondo occupato, o di parte di esso …».
Tale verifica il CTU risulta averla fatta, come si evince dalla lettura della sentenza, che ha condiviso risultato e metodo di indagine, e ha portato ad individuare due diversi lotto di terreno irreversibilmente trasformato, uno suscettibile di essere utilizzato come area di servizio per distribuzione di carburati (10.000,00 mq) ed uno suscettibile di essere destinato solo ad uso agricolo (20.900,00 mq).
Con riferimento alla censura di cui al successivo puto 2), poi, il ricorrente lamenta la mancata considerazione di un possibile uso
intermedio riferita al lotto più esteso, ritenendo apparente la motivazione che ne ha escluso la fattibilità, ma la censura è del tutto generica, tenuto conto che ciò che rileva non è la astratta possibilità di un qualsiasi uso diverso da quello agricolo, ma la concreta possibilità e fattibilità anche giuridica di un’utilizzazione diversa da quella agricola, nella specie astrattamente solo ipotizzata dalla parte.
Con riferimento, poi, alla censura sub. 3), sopra riportata, si deve subito rilevare che non è ravvisabile alcun vizio derivante dall’omessa nuova valutazione delle aree rimaste in proprietà al COGNOME, tenuto conto che la cassazione della precedente decisione della Corte d’appello con l’ordinanza n. 29991/2018 di questa Corte (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 29991 del 20/11/2018) è intervenuta solo in riferimento alle aree oggetto dell’irreversibile trasformazione, perdute dal ricorrente, sicché, come meglio illustrato nell’esame del terzo motivo di ricorso, correttamente il giudizio di rinvio ha riguardato solo tali aree, essendo le altre coperte dal giudicato formatosi con riferimento alle statuizioni adottate dalla Corte di appello nel 2013.
3.7. Le ulteriori censure si sostanziano nella riproposizione delle critiche al criterio di stima scelto dal CTU, su cui la Corte di appello si è espressamente pronunciata, spiegando le ragioni per cui ha ritenuto attendibile e condivisibile il metodo scelto dal CTU, disattendendo le critiche riproposte dalla parte, risolvendosi il resto in deduzioni generalizzate e in ordine ai criteri che devono indirizzare la stima del bene.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Come emerge dalla lettura della rubrica del motivo, il COGNOME ha formulato anche questa volta cumulativamente plurime censure, ricondotte ai numeri 3, 4 e 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. (violazione di norme di diritto sostanziale e processuale, omessa e contraddittoria motivazione, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, violazione della normativa in materia di prova e di consulenza d’ufficio, e degli artt. 61, 62 e 193, 195 c.p.c.).
A tale rappresentazione non segue tuttavia la chiara e ordinata illustrazione di ogni specifica ragione di doglianza in riferimento a ciascuno dei parametri invocati a supporto dell’impugnazione, comportando una valutazione di genericità di ciascun motivo di doglianza ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., per i motivi già evidenziati nell’esaminare il primo motivo di ricorso.
4.2. Si deve tenere presente che, a prescindere dalle critiche riferite al metodi d’indagine e alle risultanze della CTU, che genericamente riproducono le censure già esaminate con riferimento al primo motivo, parte ricorrente ha dedotto che, a seguito del deposito della prima relazione del CTU (02/03/2021), il Consigliere istruttore, in accoglimento di specifica osservazione della difesa del COGNOME (che aveva eccepito il fatto che il CTU aveva depositato solo la bozza di consulenza, senza allegare e trattare le osservazioni del CT di parte), ha disposto che il CTU depositasse le eventuali controdeduzioni del CT del COGNOME almeno 10 giorni prima della successiva udienza. Il CTU ha così ammesso il tempestivo deposito delle osservazione del tecnico di parte, ha qualificato espressamente il proprio precedente elaborato come ‘bozza’ ed ha replicato alle critiche del CT del ricorrente con un elaborato denominato ‘valutazione del CTU sulle osservazioni delle parti’.
La difesa del COGNOME ha, così, dedotto di avere contestato tale irritualità ed anche la ritenuta inadeguatezza delle risposte del CTU alle osservazioni del proprio CT, chiedendo (anche in sede di precisazione delle conclusioni) la rinnovazione della consulenza, ma il Consigliere istruttore ha ritenuto che le questioni avrebbero potuto essere affrontate e risolte in sede di decisione.
Secondo il ricorrente, nella specie è intervenuta una violazione della normativa che regola l’espletamento della consulenza tecnica, che ha portato alla formazione di una consulenza del tutto irregolare e carente non solo nella motivazione, ma anche nei contenuti sostanziali, anche per il fatto che (nonostante le richieste e le diffide di parte) il CTU ha
omesso di effettuare il calcolo degli importi per interessi e svalutazione, costringendo il Giudice a procedere a diversa ed oscura fonte di informazione ed offrire d’ufficio quel calcolo che il consulente era, invece, chiamato a dare.
4.3. Con riguardo al vizio procedurale dedotto in violazione dell’art. 195 c.p.c. la censura deve senza dubbio ritenersi inammissibile, tenuto conto che lo stesso ricorrente ha dedotto che il Giudice ha provveduto alla rinnovazione degli atti, tanto che il COGNOME ha rappresentato l’esistenza di una mera irregolarità della procedura, e non di una nullità, in relazione alla quale non allegato alcuna conseguenza in termini di lesione del diritto di difesa (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16196/2023, con riferimento all’omesso invio della bozza ai consulenti tecnici di parte).
4.4. Anche la censura riferita alla prospettata assenza di effettiva motivazione in ordine al diniego di rinnovazione della CTU appare inammissibile, tenuto conto che lo stesso ricorrente ha dedotto che il Consigliere istruttore ha espressamente respinto la richiesta ritenendo di poter trattare le questioni unitamente al merito, ove la CTU è stata ritenuta completa, esaustiva ed espletata con modalità condivise dalla Corte d’appello, senza dunque che fosse necessaria la richiesta di rinnovazione.
4.5. Del tutto generica è, infine, la censura relativa al mancato computo della rivalutazione e degli interessi da parte del CTU, non avendo la parte neppure prospettato l’affidamento di tale incarico al CTU nel quesito, come pure generica è la critica alla motivazione della decisione del giudice d’appello, nella parte in cui ha conteggiato rivalutazione ed interessi.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, non avendo parte ricorrente colto la portata della decisione impugnata.
5.1. Il COGNOME ha censurato la statuizione della Corte d’appello nella parte in cui testualmente ha affermato che: «Nessuna altra somma può essere liquidata a titolo risarcitorio, avendo la Suprema
Corte precisato, con l’Ordinanza di rinvio che: ’18. Resta ferma, invece, la liquidazione del pregiudizio per la parte residua in relazione alla quale non sono state mosse censure ulteriori rispetto a quelle esaminate’».
Secondo il ricorrente, in tal modo, il giudice del rinvio ha ritenuto dovuto (e quantificato nella misura indicata dal consulente di ufficio) solo ed esclusivamente l’ammontare gli importi corrispettivi del suolo occupato, escludendo il danno alla parte residua della proprietà che, invece, era stato accertato dalla sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 2013, ove l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE erano state condannate in solido, al pagamento, in favore di NOME COGNOME della complessiva somma di € 115.082,18, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, con la precisazione, in motivazione, che € 38.136,00 corrispondevano al controvalore della parte occupata, € 69.787,44 per la perdita e la scomodità degli accessi alla porzione residua ed € 6.978,74, per la relativa mancata regimentazione delle acque.
5.2. Dalla semplice lettura della sentenza impugnata, tuttavia, si evince con chiarezza che la Corte di appello non ha affatto escluso che fossero dovute le ulteriori somme liquidate nella sentenza del 2013 a riparazione del pregiudizio subito dal COGNOME in riferimento alle aree rimaste in sua proprietà, ma ha semplicemente affermato che il relativo accertamento non era stato ad essa devoluto, per avere l’ordinanza della S.C. cassato la decisione del 2013 solo per la parte relativa alle aree perdute (per effetto della irreversibile trasformazione).
In motivazione, la Corte di merito, prima ancora di affrontare la decisione, e dopo avere richiamato la statuizione di questa Corte con cui è stata operata la cassazione della precedente sentenza di appello, ha voluto precisare che, nella specie, si è trattato di rinvio prosecutorio, che attribuisce alla giudice di merito la veste di giudice della fase rescissoria del giudizio di cassazione, spiegando che «… il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo
grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente), ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti … In definitiva la decisione pronunciata in sede di rinvio deve dar luogo ad una pronuncia diretta sul merito delle pretese sostanziali ancora in discussione tra le parti. … omissis.»
Compiute tali precisazioni, la Corte di appello ha affermato che ad essa, quale giudice del rinvio, è stata demandata la determinazione del risarcimento per la perdita dell’area, «previo vaglio delle possibilità di utilizzazioni a carattere intermedio tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.) del fondo occupato, sempre che siano assentiti dalla normativa vigente, sia pure col conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative, secondo quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 181/2011, così da uniformarsi al principio di diritto affermato dal Supremo Collegio.»
In tale quadro, si inserisce la statuizione in questa sede impugnata, ove la Corte di appello ha affermato di poter liquidare nessuna altra somma a titolo risarcitorio «avendo la Suprema Corte precisato, con l’Ordinanza di rinvio che: ’18. Resta ferma, invece, la liquidazione del pregiudizio per la parte residua in relazione alla quale non sono state mosse censure ulteriori rispetto a quelle esaminate’».
È, infatti, evidente che, in base a quanto appena evidenziato, nessun altro importo poteva liquidare la Corte di appello nella sentenza del 2022, perché la cassazione della sentenza del 2013 e il successivo giudizio di rinvio hanno riguardato solo la statuizione relativa al risarcimento del danno spettante al COGNOME per le aree che ha perso, mentre per le aree residue restava la statuizione del 2013, sul punto non cassata, e dunque passata in giudicato, che aveva previsto la
somma € 69.787,44 per la perdita e la scomodità degli accessi alla porzione residua ed € 6.978,74, per la relativa mancata regimentazione delle acque, oltre alla rivalutazione e agli interessi, come conteggiati nella relativa statuizione.
Anche il quarto motivo è inammissibile per due ordini di motivi.
6.1. Il ricorrente ha dedotto che il provvedimento di liquidazione del compenso spettante al CTU è stato adottato quando la Corte d’appello era ormai carente del relativo potere, avendo già definito il procedimento con la sentenza in questa sede impugnata.
Occorre precisare che la Corte di appello non ha omesso la statuizione sulle spese di CTU, ma, come pure è ricordato nel ricorso per cassazione, con la sentenza, le ha poste, nei rapporti interni tra le parti, definitivamente a carico di entrambe, in quote uguali (p. 6 del ricorso per cassazione e p. 15 della sentenza impugnata).
In motivazione, è anche precisato quanto segue: «Le spese di CTU, liquidate con separato decreto, nei rapporti interni vanno poste a carico di entrambe le parti in quote uguali» . (p. 14 della sentenza impugnata).
6.2. Com’è noto, la liquidazione del compenso del CTU è regolata da norme sue proprie, anche per quanto riguarda l’impugnazione del decreto di pagamento, che trova la disciplina nell’art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002. Questa Corte ha, tuttavia, precisato che, quando è prospettata l’adozione del provvedimento di liquidazione in carenza di potere, il vizio può essere fatto valere con il ricorso straordinario per cassazione, perché il decreto di liquidazione è un atto idoneo ad incidere in modo definitivo su posizioni di diritto soggettivo (Cas., Sez. 6-2, Ordinanza n. 37480 del 30/11/2021).
Ovviamente, una volta ammesso il ricorso al giudice di legittimità, l’impugnazione deve rispondere ai requisiti di ammissibilità previsti, in particolare, dall’art. 366 c.p.c.
6.3. Nel caso di specie, il ricorrente non ha descritto nulla del subprocedimento avviato con la richiesta di liquidazione del compenso, né ha rappresentato il contenuto del decreto impugnato, tant’è che non
ha indicato né l’importo liquidato né i criteri adottati per la determinazione dello stesso.
Il motivo si presenta, dunque, inammissibile, essendo omessa una sia pur sommaria esposizione dei fatti di causa, riferiti alla richiesta di liquidazione, definita con in provvedimento impugnato, in violazione delle prescrizioni contenute nell’art. 366, comma 1, n. 3) c.p.c.
La formulazione del motivo si presenta, inoltre, del tutto generica e astratta, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., essendosi la parte limitata ad affermare che il provvedimento di liquidazione è stato adottato dopo la sentenza, senza rapportare la censura alla peculiarità della fattispecie, argomentando il prospettato vizio in rapporto ad essa, tenuto conto che, come sopra evidenziato, con una statuizione non impugnata, la menzionata sentenza ha regolato il riparto interno delle spese relative al compenso spettante al CTU, proprio sul presupposto che il relativo importo sarebbe stato liquidato con separato decreto. La parte non ha neppure rappresentato il proprio interesse ad impugnare il decreto di liquidazione, dopo che la sentenza, con una statuizione sul punto definitiva, ha regolato il riparto interno tra le parti delle spese di CTU, sul presupposto che queste ultime sarebbero state liquidate con separato decreto.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 5.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile