Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8671 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8671 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 4324-2021 r.g. proposto da:
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME ed NOMECOGNOME tutte rappresentate e difese, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domiciliano in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME (Studio COGNOME).
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, alla INDIRIZZO A, in persona del procuratore speciale dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ Avvocato Prof. NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, alla INDIRIZZO in persona del l’amministratore delegato dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo (RAGIONE_SOCIALE) in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 760/2020, della CORTE DI APPELLO di SALERNO, pubblicata il giorno 26/06/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
28/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME la prima in qualità di coniuge di NOME COGNOME, medio tempore deceduto, e le altre quali figlie di quest’ultimo, citarono RAGIONE_SOCIALE.p.a. ed Unicredit s.p.a. innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore esponendo che: i ) NOME COGNOME aveva stipulato un contratto di mutuo ipotecario, il 18 febbraio 1993, per l’acquisto della casa di abitazione sita in Sant’Egidio del Monte Albino (Sa), alla INDIRIZZO, con la RAGIONE_SOCIALE, all’epoca della citazione denominata RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata da Capitalia Partecipazioni s.p.a., la quale, da ultimo, era stata incorporata per fusione da Unicredit s.p.a.; ii ) che l’Esposito era stato assicurato da polizza infortuni n. 4513217 con la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE), stipulata dalla anzidetta RAGIONE_SOCIALE a garanzia del suddetto mutuo, con cui si era previsto che, in caso di decesso del mutuatario, la compagnia assicuratrice avrebbe provveduto al pagamento dell’importo residuo del mutuo, da corrispondersi alla Azimut Casa s.p.a., e che la differenza sarebbe stata corrisposta agli eredi; iii ) NOME COGNOME era deceduto in data 11 settembre 1994 e che, nonostante il menzionato contratto di assicurazione,
la RAGIONE_SOCIALE aveva proceduto al pignoramento della casa sopra indicata fino ad arrivarne alla vendita ed alla distribuzione delle somme ricavate. Tanto premesso, chiesero accertarsi le responsabilità: a ) di RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE (quale successore di RAGIONE_SOCIALE) per non aver azionato la polizza assicurativa suddetta, procedendo alla espropriazione immobiliare senza la previa escussione della compagnia di assicurazione che garantiva tanto il pagamento del residuo importo del mutuo ancora non pagato, che la restituzione agli eredi di quanto già pagato dal de cuius o, in caso di eventuale escussione della stessa, per aver intrapreso la predetta procedura espropriativa malgrado l’avvenuto pagamento dell’importo suddetto dalla compagnia assicuratrice; b ) di Aviva Italia s.p.a. per non aver pagato agli eredi di NOME COGNOME quanto da lui già versato a titolo di mutuo, pari ad € 7.500,00. Chiesero, inoltre, la condanna solidale delle medesime società, o ognuna per quanto di ragione, al risarcimento dei danni, quantificati in 250.000,00 o, comunque, in una somma non inferiore ad € 191.000,00, quale valore di acquisto in sede esecutiva dell’immobile.
1.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituì Unicredit s.p.aRAGIONE_SOCIALE, eccependo, tra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva sul presupposto che, sebbene Capitalia Partecipazioni s.p.a. fosse stata oggetto di fusione nella Unicredit s.p.a., la Azimut RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, diversamente da quanto allegato dalle attrici, mai era stata incorporata in Capitalia Partecipazioni s.p.a. Contestò, comunque, anche nel merito, l’avversa pretesa nei suoi confronti chiedendone il rigetto.
1.2. Si costituì pure RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), parimenti concludendo per il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti, preliminarmente allegando l’inoperatività della polizza assicurativa invocata dalla controparte perché scaduta il 31 dicembre 1993 (e non rinnovata), mentre il decesso di NOME COGNOME (assicurato, ma non beneficiario della polizza medesima) era avvenuto solo in data successiva.
1.3. Espletata l’istruttoria, l’adito tribunale respinse tutte le domande delle attrici. In particolare, evidenziò, da un lato, che queste ultime, gravate del relativo onere, non avevano fornito alcuna dimostrazione che la
convenuta Unicredit s.p.aRAGIONE_SOCIALE fosse succeduta nei rapporti stipulati dalla Akros s.p.aRAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE; dall’altro, che era mancata anche la prova della sussistenza, al momento della morte di NOME COGNOME, di un valido rapporto assicurativo, atteso che la polizza invocata dalle istanti era scaduta il 31 dicembre 1993, né le stesse avevano dimostrato la continuazione del dedotto rapporto assicurativo anche successivamente a tale data.
Il gravame promosso contro questa decisione da NOME COGNOME, in proprio e quale procuratrice speciale di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, fu parzialmente accolto dalla Corte di appello di Salerno, con sentenza del 26 giugno 2020, n. 760, pronunciata nel contraddittorio con Aviva Italia s.p.a. ed Unicredit s.p.a., con cui quest’ultima fu condannata a corrispondere ad NOME COGNOME, in proprio e nella detta qualità, la somma di € 47.605,00, oltre interessi legali dal 21 settembre 2012 al soddisfo.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, ritenuta pienamente provata la legittimazione passiva di Unicredit s.p.a. « come soggetto subentrato negli effetti del contratto di mutuo originariamente stipulato da Azimut casa s.p.a. », osservò che: i ) « All’articolo 6 del contratto di mutuo viene stabilito che NOME NOME che presta il suo consenso, è assicurato contro i danni da infortunio a partire dalle ore 24.00 del giorno della stipula del contratto (18/02/1993), per tutta la durata del contratto e per un importo uguale a quello dell’erogazione. In tale disposizione si fa preciso riferimento alla polizza n. 4513217, stipulata direttamente dalla mutuante, a sue spese e con beneficio a suo favore, con RAGIONE_SOCIALE, che poi avrebbe cambiato denominazione in RAGIONE_SOCIALE Viene altresì stabilito che il rapporto assicurativo sarebbe rimasto in vigore fino alla data di scadenza dell’ultima rata di ammortamento per i fatti che si fossero verificati entro tale periodo. Da tale regolamento contrattuale, considerato che vi è un’altra parte mutuataria, che è NOMECOGNOME non si evince che , in caso di infortunio, nella fattispecie coinciso con la morte dell’assicurato NOME NOMECOGNOME avvenuta il 11/09/1994, il contratto si sarebbe risolto automaticamente, nel senso che la parte mutuataria rimasta si sarebbe
sciolta automaticamente dall’obbligo di pagare le rate del mutuo. L’infortunio non incide sul diritto della mutuante di pretendere le rate di ammortamento del mutuo, e di procedere esecutivamente nel caso in cui, come nella fattispecie, tali rate non fossero pagate. Tuttavia, la mutuante assume direttamente con le parti mutuatarie, l’obbligo di garantire l’assicurato per un importo uguale a quello dell’erogazione; il che significa che dalle rate di ammortamento si sarebbe dovuto decurtare tale importo, che nella fattispecie è pari ad € 101.287,53 »; ii ) « Dal contratto non è dato evincere quando e come si sarebbe dovuto ridefinire il piano di ammortamento, in conseguenza della morte, ma poiché il decesso è avvenuto circa un anno e mezzo dopo l’inizio del mutuo, non può essere considerata legittima la decisi one di sospendere le rate del mutuo. Come affermato dalle parti attoree, era stato pagato solo l’importo di € 7.500,00, dunque non si era ancora giunti alla liberazione dal proprio obbligo, che, si ripete, era di ammontare pari alla differenza tra le rate di ammortamento e l’importo erogato »; iii ) « La parte mutuataria avrebbe potuto pretendere immediatamente la riduzione della rata di ammortamento, defalcando tale rata della quota corrispondente al capitale, ma tale riduzione non è stata pretesa, inoltre, non sarebbe stata molto significativa, in quanto, come noto, nelle rate di ammortamento iniziali la quota corrispondente agli interessi è maggiore rispetto alla quota del capitale, laddove tale rapporto si ribalta alla fine del piano di ammortamento. Ciò rende vieppiù ingiustificato il rifiuto di continuare a pagare le rate e legittima la decisione della mutuante di intervenire in una procedura esecutiva in essere. Bisogna tuttavia evidenziare che, in base ad un obbligo di buona fede contrattuale, la società mutuante avrebbe dovuto proporre la ridefinizione del piano di ammortamento derivante dal verificarsi dell’infortunio previsto in polizza. Dunque, da un lato, si registra l’inadempimento dell’obbligo di pagare le rate del mutuo e, dall’altro, l’inadempimento dell’obbligo di buona fede contrattuale »; iv ) « Dagli atti del giudizio emerge che il credito della mutuante è stato soddisfatto solo parzialmente. Dal piano di riparto del dott. COGNOME non contestato dalle parti attoree, depositato nella procedura esecutiva r.g.e. n. 969/1994,
pendente dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, emerge che il credito era pari ad € 307.153,42, laddove la somma che viene attribuita ad RAGIONE_SOCIALE, in base al ricavato della vendita del bene esecutato, è pari ad € 144.126,40. Il credito della mutuante soddisfatto è pari così al 47% della sua pretesa, che non è stata contestata dalla parte mutuataria. Appare equo riconoscere in tale misura anche la garanzia derivante dall’art. 6, ossia per il verificarsi dell’infortunio, previsto nella polizza assicu rativa, in quanto la prestazione della garanzia costituisce un obbligo della mutuante e del soggetto ad essa subentrato negli effetti del contratto, che nella fattispecie è UniCredit s.p.a. Essa deve quindi corrispondere alla parte mutuataria e alle eredi dell’altra parte mutuataria deceduta, la somma di € 47.605,00 »; v ) « Per i termini in cui è stato posto l’articolo 6, secondo cui anche l’effetto della polizza è a favore della società mutuante, le parti attoree non avevano azione diretta nei confronti dell ‘assicurazione, verso cui dunque le pretese sono infondate ».
3. Per la cassazione di questa sentenza, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto un unico ricorso recante due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Hanno resistito, con separati controricorsi, Aviva Italia s.p.a. ed Unicredit s.p.a. , soltanto quest’ultima depositando anche analoga memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è rubricato « Violazione e falsa applicazione degli artt. del codice civile: art. 1175 c.c. (comportamento secondo correttezza); art. 1176, comma 2, c.c. (diligenza nell’adempimento di attività professionale); art. 1370 c.c. (interpretazione contro l’autore della clauso la); art. 1366 c.c. (interpretazione secondo buona fede); art. 1369 c.c. (espressioni con più sensi); art. 1371 c.c. (interpretazione contro l’autore della clausola); art. 1371 c.c. (regole finali); art. 1337 c.c. (trattative e responsabilità precontrattuale); art. 1375 c.c. (esecuzione di buona fede). Art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ. ». Muovendo dall’assunto che il contratto di mutuo ed il contratto assicurativo da esso previsto all’art. 6 si
sarebbero dovuti interpretare ‘ unitariamente ‘, si sostiene che mutuante ed assicuratore dovevano essere considerati inadempimenti, solidalmente, nei confronti dei mutuatari, perché, alla morte di NOME COGNOME, la prima avrebbe dovuto escutere l’assicuratore per ottenere il saldo del proprio credito ed il secondo, oltre alla liquidazione di tale saldo, avrebbe dovuto restituire al mutuatario superstite la somma già erogata per il pagamento avvenuto delle rate di mutuo scadute. In sostanza, giusta quanto desumibile dalla interpretazione unitaria dei contratti suddetti, doveva essere restituita agli eredi di NOME COGNOME, in parti eguali, la parte di credito non rimborsata in base alla polizza, ma nulla al riguardo era stato previsto, invece, dal mutu o. A fronte dell’ambiguità della disciplina contrattuale, dunque, la corte territoriale avrebbe dovuto interpretare il contratto in base alla buona fede. Inoltre, sempre per effetto di detta ambiguità, nemmeno poteva ritenersi configurabile alcun inadempimento della parte mutuataria, mentre la mutuante non avrebbe potuto procedere ad esecuzione forzata, ma predisporre il nuovo piano di ammortamento.
1.1. Questa doglianza si rivela complessivamente inammissibile per plurime ragioni.
1.2. Innanzitutto, perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali, errores in procedendo ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 3284 e 2115 del 2025; Cass. nn. 33778, 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e
processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr . Cass. nn. 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018). È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, motivazionali e di violazione di legge, in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
1.3. In secondo luogo, perché trascura completamente le specifiche modalità di deduzione del vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (ove pure si volesse fare riferimento ad esso) -nel testo modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza pubblicata il 26 giugno 2020 -come stabilite da Cass., SU, n. 8053 del 2014, a tenore della quale, tra l’altro, la parte così ricor rente deve indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. -il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla
sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti ( cfr ., in motivazione, Cass. n. 2115 del 2025). Né, peraltro, tiene conto del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui che la menzionata disposizione riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 26379, 19417, 14677, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022).
1.4. Per il resto, la censura mostra di non considerare che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 33778, 26383, 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere
l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024).
In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr . Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021).
Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che il motivo si risolve nel sostenere una diversa lettura delle clausole contrattuali invocate contrapponendola a quella preferita (e certamente non implausibile) dalla corte di appello. Le ricorrenti, peraltro, non hanno prospettato una obiettiva ed inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito dalla corte territoriale ai testi ed ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione
complessiva dei documenti citati, ma si sono limitate ad indicare gli aspetti della ritenuta non condivisibilità della ‘ lettura interpretativa ‘ criticata, insistendo nell’invocare come corretta la propria interpretazione dei testi suddetti. È indubbio, quindi, che, così operando, le stesse intendono affidare a codesta Corte il compito (inammissibile) di revisione del ragionamento decisorio, inteso come opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione.
1.5. Resta solo da aggiungere, quanto all’avvenuta contestazione dell’inadempimento come ascritto dalla corte distrettuale anche alla parte mutuataria, che l’odierna doglianza, benché formulata con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in realtà si rivela sostanzialmente volta ad ottenere un riesame di accertamenti fattuali compiuti, sul punto, dalla medesima corte, così dimenticando, tuttavia, che: i ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. n. 1166 del 2025); ii ) come puntualizzato da Cass. n. 7612 del 2022 ( cfr . in motivazione), « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in
fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Il secondo motivo di ricorso è rubricato: « Violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché dell’art. 115, commi 1 e 2, c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1919 e 1920 c.c. Motivazione assente ed in ogni caso meramente apparente. Art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. » . Le ricorrenti sostengono che l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, contrariamente a quanto opinato dalla corte territoriale, è prevista dall’art. 1920 cod. civ., applicabile una volta che il soggetto assicurato, come accaduto nella specie, ha prestato il suo consenso all’assicurazione sulla vita ex art. 1919 cod. civ.
2.1. Anche questa doglianza si rivela inammissibile per plurime, concorrenti ragioni.
2.2. Essa, invero:
i ) come già quella precedente, prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali, errores in procedendo ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure. È sufficiente richiamare, dunque, per sancirne la inammissibilità, quanto si è già ampiamente spiegato, in proposito, nel precedente intero § 1.2. di questa motivazione;
ii ) nuovamente trascura del tutto le specifiche modalità di deduzione del vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (ove pure si volesse fare riferimento ad esso) -nel richiamato testo qui applicabile ratione temporis -come stabilite da Cass., SU, n. 8053 del 2014, sicché deve intendersi qui
ribadito quanto si è già riferito, con riferimento al primo motivo, nel precedente intero § 2.3. di questa motivazione;
iii ) laddove lamenta una pretesa inesistenza e/o apparenza di motivazione sulla corrispondente questione come decisa dalla corte distrettuale, mostra di non tenere in alcun conto che, come ancora ribadito, in motivazione, da Cass. nn. 26383, 19423, 16118, 13621, 9807 e 6127 del 2024, il già richiamato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ha ormai ridotto al ‘ minimo costituzionale ‘ il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35947, 28390, 26704 e 956 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn. 395, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua ‘ contraddittorietà ‘ ( cfr . Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella ‘ insanabile ‘ e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ‘ insuperabile ‘. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità
del suo ragionamento ( cfr . Cass. nn. 19423 e 5375 del 2024; Cass. n. 35947 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘ motivazione apparente ‘ nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, da apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva ( cfr . Cass. n. 5375 del 2024; Cass. n. 35947 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022), è, nella specie, insussistente, posto che la corte territoriale ha affermato che, « Per i termini in cui è stato posto l’articolo 6, secondo cui anche l’effetto della pol izza è a favore della società mutuante, le parti attoree non avevano azione diretta nei confronti dell’assicurazione, verso cui dunque le pretese sono infondate ». Si tratta, quindi, di motivazione che, sebbene sinteticamente, esplicita le ragioni della decisione su questo punto, rendendone agevolmente individuabile l’ iter logico seguito, così dovendosi considerare soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto; né rileva, qui, come si è già anticipato, l’esattezza, o non, di tale giustificazione.
iv ) si risolve nel tentativo di sostenere una diversa lettura delle clausole contrattuali ivi invocate contrapponendola a quella preferita (e certamente non implausibile) dalla corte di appello. Valgano, quindi, sul punto, le medesime argomentazioni già ampiamente esposte nei §§ da 1.4 ad 1.4.3 di questa motivazione;
v ) omette completamente di considerare, da un lato, che le disposizioni di cui agli art. 1919 e 1920 cod. civ., disciplinano due fattispecie di contratti di assicurazione sulla vita tra loro differenti; dall’altro, ed in via assolutamente dirimente, che l’a ffermazione del tribunale secondo cui era mancata la prova della sussistenza, al momento della morte di NOME COGNOME, di un valido rapporto assicurativo, atteso che la polizza invocata
dalle istanti era scaduta il 31 dicembre 1993, né le stesse avevano dimostrato la continuazione del dedotto rapporto assicurativo anche successivamente a tale data, è rimasta priva di qualsivoglia specifica censura in sede di gravame.
3. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME e le condanna, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalle costituitesi controricorrenti, liquidate: i ) in favore di Unicredit s.p.a. , in complessivi € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; ii ) in favore di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. , in complessivi € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge .
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile