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Ricorso inammissibile: l’obbligo di esposizione chiara

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile a causa di una esposizione dei fatti frammentaria, incompleta e oscura. La decisione sottolinea come il mancato rispetto del requisito di chiarezza previsto dall’art. 366 c.p.c. impedisca alla Corte di esaminare nel merito le censure, ribadendo che il ricorso deve essere autosufficiente e permettere una piena comprensione della controversia senza dover consultare altri atti.

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Ricorso Inammissibile: la Cassazione Sottolinea l’Importanza della Chiarezza

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per chiunque intenda presentare un ricorso davanti alla Suprema Corte: la chiarezza e la completezza nell’esposizione dei fatti sono requisiti imprescindibili. Un ricorso inammissibile è la conseguenza diretta di una narrazione confusa, come dimostra il caso in esame, che ha visto naufragare le ragioni di una ricorrente a causa di un atto introduttivo giudicato ‘frammentario, incompleto e persino oscuro’.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale, particolarmente lunga e complessa, ha origine dall’opposizione a un atto di precetto notificata da un istituto di credito a una signora, in qualità di terza datrice d’ipoteca a garanzia di un debito di una società, successivamente fallita. La controversia ha attraversato tutti i gradi di giudizio, includendo anche un precedente rinvio dalla stessa Corte di Cassazione alla Corte d’Appello per un difetto di integrazione del contraddittorio.

La Corte d’Appello, pronunciandosi come giudice del rinvio, aveva parzialmente accolto le ragioni della garante, ma quest’ultima, ritenendosi ancora lesa, proponeva un nuovo ricorso per cassazione, articolato in ben dieci motivi. Tuttavia, la sua battaglia legale si è interrotta bruscamente su una questione puramente procedurale.

La Decisione della Corte: il Ricorso Inammissibile per Carenza Espositiva

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza nemmeno entrare nel merito dei dieci motivi sollevati. La decisione si fonda interamente sulla violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 del Codice di Procedura Civile. Questa norma, recentemente novellata, impone che il ricorso contenga una ‘chiara esposizione dei fatti della causa’, essenziale per consentire alla Corte di comprendere la controversia e valutare le censure proposte.

Secondo i giudici, l’atto di impugnazione presentava una ‘singolare – e del tutto carente – ricostruzione dei fatti di causa’. La narrazione era così frammentaria e oscura da non permettere di identificare con chiarezza né il titolo esecutivo alla base dell’azione del creditore, né il contenuto dell’atto di precetto, né i motivi specifici dell’opposizione originaria.

Le Motivazioni: La Mancanza di Chiarezza nell’Esposizione dei Fatti

Il cuore della decisione risiede nel principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. La Corte ha ribadito che l’esposizione dei fatti deve permettere al giudice di legittimità ‘di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia ed oggetto di impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata’.

Non è compito della Corte, hanno sottolineato i giudici, ‘ricostruire’ la vicenda processuale consultando altri documenti. Il ricorso deve essere un testo autonomo, in grado di fornire tutti gli elementi necessari per la decisione. Nel caso di specie, la narrazione era così lacunosa che solo la lettura del controricorso ha permesso di gettare un po’ di luce sulla vicenda.

La Corte ha inoltre evidenziato come il requisito, già stringente nella precedente formulazione della norma che richiedeva un’esposizione ‘sommaria’, sia stato reso ancora più rigoroso dalla recente riforma, che ora esige una esposizione ‘chiara’. Questo rafforza l’idea che la chiarezza non è un mero formalismo, ma una condizione essenziale per consentire alla Corte di svolgere la propria funzione di garanzia della corretta applicazione della legge.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Avvocati

Questa ordinanza rappresenta un monito severo per i professionisti legali. La redazione di un ricorso per cassazione richiede la massima cura nella ricostruzione della vicenda processuale. La tentazione di dare per scontati certi passaggi o di rimandare ad altri atti può avere conseguenze fatali. Un ricorso inammissibile vanifica l’intero lavoro svolto e preclude al cliente la possibilità di vedere esaminate le proprie ragioni nel merito.

L’insegnamento è chiaro: la parte dedicata all’esposizione dei fatti non è un mero preambolo, ma una sezione cruciale dell’atto. Deve essere redatta con precisione, completezza e, soprattutto, chiarezza, per guidare il giudice attraverso la complessità del caso e porre le basi per una proficua analisi dei motivi di diritto.

Perché un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se non rispetta i requisiti di forma e contenuto previsti dalla legge, in particolare se l’esposizione dei fatti di causa risulta frammentaria, incompleta od oscura, impedendo alla Corte di comprendere la vicenda senza dover consultare altri atti, come stabilito dall’art. 366, n. 3, c.p.c.

Il giudice della Corte di Cassazione è tenuto a consultare altri documenti per capire i fatti di una causa?
No. La Corte ha ribadito che il ricorso deve essere autosufficiente. La narrazione dei fatti deve essere così chiara e completa da permettere al giudice di comprendere la controversia basandosi unicamente sul testo del ricorso, senza la necessità di consultare altri documenti, inclusa la sentenza impugnata.

Qual è la conseguenza pratica di una narrazione dei fatti confusa in un ricorso per cassazione?
La conseguenza è la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Ciò significa che la Corte non esaminerà nel merito i motivi di diritto sollevati, e il provvedimento impugnato diventerà definitivo. La causa si conclude sfavorevolmente per il ricorrente a causa di un vizio procedurale, a prescindere dalla fondatezza delle sue argomentazioni legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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