Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25122 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25122 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4521/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), nella qualità di procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE;
-intimate- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4644/2022, depositata il 05/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il decreto n. 39539/2011, veniva ingiunto alla società RAGIONE_SOCIALE nonché ai signori NOME COGNOME e NOME COGNOME, che si erano costituiti come fideiussori della suddetta società per l’importo di euro 53.089,94, il pagamento in solido di euro 60.000,00 oltre agli interessi convenzionali a favore della RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 21140/2016, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore della società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, della somma, rispettivamente, di euro 30.366,67 e di euro 5.755,91, oltre agli interessi moratori al tasso stabilito dall’art. 13 delle condizioni generali dei contratti di leasing, dalle singole scadenze sino al soddisfo.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, lamentando la violazione degli artt.1526 e 1384 cod.civ. e dell’art. 112 cod.proc.civ., impugnavano dinanzi alla Corte d’appello di Roma la suddetta sentenza.
All’esito del giudizio di appello, nel corso del quale la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.aRAGIONE_SOCIALE si era costituita tramite la BCC Gestione Crediti S.p.A. nonché la RAGIONE_SOCIALE, costituitasi tramite la procuratrice RAGIONE_SOCIALE, e nel quale era intervenuta ex art.
111 cod.proc.civ. la società RAGIONE_SOCIALE, deducendo che la RAGIONE_SOCIALE le aveva ceduto la titolarità del credito oggetto di causa, la Corte di Appello Roma, con la sentenza n. 4644/2022, depositata il 05/07/2022, ha rigettato l’impugnazione.
Ha confermato la qualificazione giuridica dei contratti per cui è causa attribuita loro dal Tribunale -leasing operativi e non finanziari – ha, poi, escluso, quand’anche si fosse trattato di leasing finanziari, che l’art. 19 delle condizioni generali di contratto contrastasse con gli artt. 1526 e 1384 cod.civ., avendo, per suo tramite, le parti contraenti regolato gli effetti derivanti dalla risoluzione per inadempimento del contratto senza attribuire al concedente vantaggi iniqui, sì da imporre la riduzione ad equità della pattuizione convenzionale, anche in considerazione del fatto che nel momento in cui era stato chiesto il provvedimento monitorio nessuno dei beni oggetto dei sette contratti di leasing era stato restituito e che, alla data del 4 febbraio 2014, risultavano restituiti solo i beni relativi a tre dei setti contratti e che gli stessi erano stato alienati, ricavandone un corrispettivo modesto. Ha dichiarato inammissibile il motivo di appello con cui era stato denunciato il fatto che con il ricorso per decreto ingiuntivo era stato chiesto solo il pagamento dei canoni scaduti e non anche l’equo indennizzo ed il risarcimento del danno, perché la statuizione condannatoria era limitata ad accogliere le richieste oggetto del ricorso per decreto ingiuntivo e non vi era interesse da parte degli appellanti ad impugnare in parte qua la sentenza di prime cure.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), nella qualità di procuratrice di RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 1526 cod.civ. e dell’art. 1362 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Il ricorrente insiste nella pretesa di qualificare i contratti per cui è causa come leasing traslativi, avendo essi per oggetto beni atti a conservare alla scadenza contrattuale un valore residuo, superiore all’importo convenuto per l’opzione, essendo l’ammontare dei canoni comprensivo di una quota del prezzo, in previsione del successivo acquisto, ed essendo stati i beni tutti restituiti; si duole che la Corte d’appello non abbia applicato l’art. 1526 cod.civ., nonostante dopo aver qualificato i contratti oggetto della controversia come leasing di godimento, abbia dubitato di detta qualificazione (p. 9); lamenta che la Corte d’appello abbia evinto la natura di leasing di godimento dall’art. 5, omettendo di considerare l’art. 18 del contratto, il quale proverebbe, secondo il ricorrente, che i beni oggetto di causa, anche al termine della locazione, conservavano un valore superiore al prezzo di riscatto, tant’è che la concedente espressamente si era riservata il diritto alla loro restituzione. Osserva, ancora, che la concedente aveva chiesto, con ricorso per decreto ingiuntivo, come domanda principale, la restituzione dei beni, seppur a distanza di anni dalla risoluzione contrattuale, così dimostrando di avere attribuito agli stessi un rilevante valore economico.
Di qui la denuncia di violazione dell’art. 1362 cod.civ., per non avere il giudice a quo valutato : 1) gli altri articoli del contratto da cui si desumeva l’interesse della concedente alla restituzione dei beni finanche alla conclusione del rapporto locativo; 2) come erano stati determinati i canoni di locazione e cioè se gli stessi integrassero solo il corrispettivo per la concessione in godimento o
comprendessero una parte del prezzo; 3) la natura irrisoria del prezzo convenuto per il riscatto rispetto al valore dei contratti e dei beni.
Il motivo è inammissibile.
Non risulta dall’odierno ricorrente ( quantomeno idoneamente ) censurata la ratio decidendi con cui la corte di merito non ha escluso l’applicazione dell’art. 1526 cod.civ. ai contratti per cui è causa, ma ha rilevato che le parti avevano pattuito gli effetti della risoluzione per inadempimento senza prevedere vantaggi ingiustificati a favore della concedente che imponessero un intervento giudiziale volto a ridurre la clausola convenzionale ad equità.
La Corte d’appello, dopo aver confermato la qualificazione di leasing di godimento dei contratti per cui è causa, ha rigettato l’appello anche per l’ipotesi in cui detta qualificazione fosse risultata erronea, enunciando, dunque, due rationes decidendi . È pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte che ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario -per giungere all’annullamento della pronunzia -non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione, posto che la mancata critica di una di queste -o la relativa attitudine a resistere agli appunti rivoltile -comporterebbe che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbe il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr. ex plurimis , Cass. 19/05/2021, n. 13595).
Il ricorrente si duole della qualificazione di leasing di godimento attribuita dalla Corte d’appello ai contratti per cui è causa, ma non
confuta la ratio decidendi con cui è stato rigettato il motivo di appello che denunciava la violazione degli artt. 1526 e 1384 cod.civ., anche nell’ipotesi in cui i contratti fossero stati ritenuti leasing traslativi.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. e dell’art. 232 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Ciò che viene lamentato è che la Corte d’appello si sia avvalsa delle dichiarazioni rese da controparte in ordine al fatto che tre dei sette beni oggetto dei leasing per cui era stato emesso il provvedimento monitorio fossero stati restituiti, peraltro, dopo il ricorso per decreto ingiuntivo, e che non abbia invece preso in considerazione i documenti ritualmente prodotti e non contestati, anzi implicitamente confermati dal fatto che la controparte non aveva reso l’interrogatorio formale.
Il motivo è inammissibile.
I numerosi fatti processuali su cui il ricorrente poggia i suoi assunti sono stati indicati in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ.: alle p. 11 -12 del ricorso, il ricorrente riferisce che dapprima era stata ammessa prova testimoniale, che poi la stessa era stata revocata, che l’AVV_NOTAIO aveva depositato una nota tardiva e priva di efficacia, che detta nota contrastava con la dettagliata relazione del liquidatore della società utilizzatrice, la quale non sarebbe mai stata contesta, che la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere ammessi i fatti oggetto dell’interrogatorio formale (omettendo, peraltro, di considerare che la disposizione dell’articolo 232 cod.proc.civ. non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli,
però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova: Cass. 02/09/2022, n.25935).
Anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito che il fine legittimo del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia (ai p.ti 74 e 75 in motivazione) ed ha investito questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza, codificato dall’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ.) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso per la parte di interesse ‘e’ se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod.proc.civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
Con il terzo motivo è denunciata la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Non avendo l’ingiungente, con il ricorso per decreto ingiuntivo, domandato l’equo compenso e il risarcimento del danno, ma solo il pagamento dei canoni insoluti, fino alla risoluzione del contratto, e la restituzione dei beni, secondo il ricorrente, gli sarebbe stato negato il diritto alla restituzione dei canoni perché assorbiti dal diritto all’equo compenso e alla penale .
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse il motivo di appello con cui il ricorrente, ai sensi dell’art. 112 cod.proc.civ., si doleva del fatto che il Tribunale avesse attribuito alla concedente l’equo compenso e il risarcimento del danno, sebbene non richiesti con il ricorso per decreto ingiuntivo, perché ha ritenuto che il Tribunale avesse accolto solo la richiesta azionata con ricorso per decreto ingiuntivo.
Le censure del ricorrente sono del tutto assertive, perché dedotte in violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ.: non dimostra il fondamento dei suoi assunti e cioè quale fosse la domanda azionata con la richiesta del provvedimento monitorio né in che termini il Tribunale lo avrebbe condannato al pagamento di somme non richieste.
Non deve provvedersi alla liquidazione delle spese a favore della controricorrente, perché il controricorso, essendo stato notificato il 22/03/2023, ben oltre, quindi, il termine, di cui all’art. 370 cod.proc.civ. cod.proc.civ. nel testo ratione temporis vigente (il ricorso era stato notificato il 6/02/2023), va dichiarato inammissibile per tardività.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio del merito, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 14/05/2024.
Il Presidente NOME COGNOME