Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1972 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1972 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 574/2024 R.G. proposto da : COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ANCONA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1497/2023 depositata il 17/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c. il Credito Fondiario evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Ancona, NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi nella qualità di fideiussori a garanzia del rapporto di cd sale and lease back concluso tra RAGIONE_SOCIALE e la ex Medioleasing S.p.A., poi assorbita dalla nuova Banca delle Marche. Deceduto il COGNOME, si costituiva in giudizio NOME COGNOME, eccependo l’incompetenza del Tribunale di Ancona attesa la qualità di consumatore del fideiussore, la nullità totale o, in via subordinata, parziale delle fideiussioni, perché redatte sulla base del modello ABI in violazione della legge antitrust e la nullità del rapporto di sale and lease back per violazione del patto commissorio.
Nelle more del giudizio la società RAGIONE_SOCIALE era subentrata al Credito Fondiario divenendo proprietaria degli immobili oggetto del contratto di leasing, garantito dalla COGNOME. RAGIONE_SOCIALE affidava a RAGIONE_SOCIALE il ruolo di mandataria e procuratrice speciale.
Con ordinanza del 30 luglio 2022 il Tribunale accoglieva la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE per il Credito Fondiario condannando la COGNOME, in proprio e anche quale erede di NOME COGNOME, a versare l’importo di euro 11.297.178,92, oltre interessi d i mora e spese. Dichiarava la risoluzione del contratto di leasing del 2007 per inadempimento della utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale decisione proponeva appello in data 29 settembre 2022 NOME COGNOME insistendo per la nullità, integrale o parziale,
della garanzia prestata per violazione della normativa antitrust. Nelle more del giudizio RAGIONE_SOCIALE era incorporata nella società RAGIONE_SOCIALE subentrata in tutti i rapporti giuridici, la quale si costituiva deducendo l’infondatezza dell’im pugnazione.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 17 ottobre 2023, rigettava l’impugnazione condannando la COGNOME al pagamento delle spese di lite e di un ulteriore somma ai sensi dell’articolo 96 c.p.c.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, notificato il 19 ottobre 2023, NOME COGNOME affidandosi a cinque motivi. Si costituisce con controricorso RAGIONE_SOCIALE per il tramite della procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi di ricorso.
La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. e, in data 30 settembre 2024, istanza tesa a ritenere regolare il deposito della documentazione di rito e, in via subordinata, di rimessione in termini per il deposito della predetta documentazione.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 342 c.p.c. La Corte territoriale ha ritenuto irrituali le censure alla sentenza impugnata introdotte attraverso il richiamo ad un atto di appello proposto n ell’ambito di un diverso giudizio. La ricorrente ritiene, invece, che richiamare l’atto di appello dedicato ad un altro giudizio ma assegnato alla medesima Sezione e ritenuto sommariamente fondato, in fase cautelare, sia sufficiente a consentire alla Corte d’appello di esaminare il motivo di censura.
Inoltre, il giudice avrebbe avuto l’obbligo di astenersi e sensi dell’articolo 51, n. 4 c.p.c. avendo conosciuto della medesima controversia. Rileva, infine, che il Tribunale avrebbe adottato una ordinanza identica alla sentenza che aveva definito il precedente giudizio del 2016.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 2 della legge n. 287 del 1990 e degli articoli 2697 c.c. e 702 quater c.p.c. La Corte avrebbe errato nel ritenere necessaria la prova a carico della odierna ricorrente della riferibilità delle fideiussioni alle intese adottate in violazione della legge antitrust. Si tratterebbe di una prova difficoltosa, per la quale era stata formulata istanza ai sensi dell’articolo 210 c.p.c. per la esibizione dei moduli di fideiussione, sia omnibus che specifiche, utilizzate nel periodo compreso tra il 2007 del 2012. La richiesta era stata erroneamente rigettata dalla Corte perché finalizzata a eludere ‘omissioni difensive verificatesi al maturarsi delle preclusioni proba torie’.
Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione l’articolo 1938 e seguenti c.c. nonché delle norme in base alle quali i contratti di fideiussione vengono qualificati omnibus, specifici e autonomi e la loro riferibilità al provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005.
La Corte territoriale ha inquadrato le fideiussioni in oggetto nel tipo legale della ‘fideiussione specifica’ in quanto riferita ad un unico rapporto di leasing, ritenendo non applicabile l’articolo 1938 c.c. e neppure l’accertamento della Banca d’Italia d el 2005. Secondo la ricorrente la distinzione tra fideiussioni specifiche e generiche o omnibus non avrebbe rilievo ai fini dell’applicabilità della normativa anti-concorrenza. Pertanto, ogni tipo di fideiussione conforme allo schema ABI sarebbe sempre soggetta al provvedimento della Banca d’Italia e alla legge n. 287 del 1990.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione l’articolo 1957 c.c., in relazione alla clausola ‘a semplice richiesta’ e alla qualifica della fideiussione come contratto autonomo di garanzia. La decisione della Corte d’appello sarebbe contraddittoria non consentendo di comprendere se la qualificazione adottata è quella di fideiussione specifica oppure di contratto
autonomo di garanzia, contenendo la clausola ‘a prima richiesta’. L’esame esegetico del contratto non consentirebbe di qualificarlo come contratto autonomo di garanzia, ma come fideiussione con carattere di accessorietà.
Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 2 della legge antitrust e dell’articolo 1957 c.c. in relazione alla nullità parziale delle clausole 2,7,9 e delle statuizioni contenute nella sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021 delle Sezioni unite della Corte di cassazione.
Avendo la ricorrente richiesto di dichiarare la nullità totale delle fideiussioni e, in subordine, ‘la nullità parziale in riferimento alle clausole espresse dagli articoli 2, 7 e 9’ e, comunque, la liberazione del fideiussore, sia il giudice di primo grado che quello di appello non avrebbero motivato alcunché con riferimento alla domanda di nullità parziale relativa alle predette tre clausole Nell’ipotesi di riconoscimento della predetta nullità parziale la ricorrente dovrà ritenersi liberata da ogni vincolo di garanzia, anche perché RAGIONE_SOCIALE non avrebbe rispettato i termini previsti all’articolo 1957 c.c.
Preliminarmente va esaminata la istanza del 30 settembre 2024 della ricorrente con la quale si chiede, ‘in via primaria’ di voler ritenere regolare il deposito di una serie di documenti e, in via subordinata, di disporre la rimessione in termini per il deposito dei medesimi documenti. Come evidenziato nella stessa istanza, la Cancelleria ha fatto presente che ‘i due depositi -memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. e copia del fascicolo di secondo grado- erano stati accettati e registrati nel fascicolo d’ufficio’. Peraltro, nello stesso fascicolo sono presenti tutti i documenti del giudizio ed in particolare il fascicolo di secondo grado, e copia del fascicolo di primo grado, prima e seconda parte. Pertanto, alcun provvedimento va adottato.
Sempre in via preliminare va rilevata l’inammissibilità dell’intero ricorso in quanto privo della esposizione dei fatti di causa ex articolo
366, n. 3 c.p.c. Il ricorso difetta della chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso poiché la parte espositiva è costituita da un assemblaggio di argomentazioni e conclusioni dei giudizi di primo e secondo grado e di subprocedimenti (quello di sospensione dell’efficacia esecutiva del giudizio di appello) senza un sufficiente collegamento tra le parti trascritte che consenta di comprendere il contenuto e l’esposizione dei fatti di causa.
Il ricorso per cassazione redatto mediante la giustapposizione di una serie di documenti integralmente riprodotti è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, il quale postula che l’enunciazione dei motivi e delle relative argomentazioni sia espressa mediante un discorso linguistico organizzato in virtù di una concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi, sicché, senza escludere radicalmente che nel contesto dell’atto siano inseriti documenti finalizzati alla migliore comprensione del testo, non può essere demandato all’interprete di ricercare gli elementi rilevanti all’interno dei menzionati documenti, se del caso ricostruendo una connessione logica tra gli stessi, non esplicitamente affermata dalla parte (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 33353 del 30/11/2023).
La mancanza della chiara esposizione dei fatti non può essere superata attraverso l’esame delle singole censure nelle quali si articola il ricorso nella parte in diritto, ostando a ciò il principio di autonomia del ricorso per cassazione in base al quale il ricorrente ha l’onere di selezionare i profili di fatto e di diritto posti fondamento delle proprie doglianze, in modo da offrire al giudice di legittimità una chiara rappresentazione della vicenda giudiziaria.
A prescindere da ciò, il primo motivo è inammissibile in quanto del tutto generico poiché non si confronta in alcun modo con la decisione di secondo grado. Si sostiene in ricorso che la formulazione di motivi di appello costituiti dal contenuto atti relativi ad altri giudizi, garantisca un profilo di intelligibilità del gravame e si prospetta una
violazione dell’articolo 51 c.p.c. tardivamente ed irritualmente formulata in sede di legittimità con riferimento ad atti processuali del giudizio di primo grado.
Il secondo motivo è inammissibile poiché si lamenta una contraddittorietà della motivazione dedotta ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. e non ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c.
Indipendentemente da ciò la Corte territoriale ha evidenziato che non si trattava di documenti nuovi richiesti ai sensi dell’articolo 210 c.p.c. (i moduli di fideiussione) per i quali comunque l’articolo 702 quater c.p.c., al tempo vigente, prevedeva il profilo della indispensabilità ovvero la dimostrazione della impossibilità di produrli nel corso del procedimento sommario per causa non imputabile alla parte. Come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale si trattava di documenti già in possesso della parte e non indispensabili giacché la decisione si fondava anche su autonome argomentazioni, ciascuna idonea a sorreggere la sentenza.
Il terzo, quarto e quinto motivo vanno trattati congiuntamente perché strettamente connessi e sono inammissibili poiché non indicano in maniera specifica le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono le doglianze e non si confrontano con la decisione impugnata, ma si limitano a riproporre le medesime argomentazioni oggetto dei motivi di appello.
A prescindere da ciò, le tre censure vertono tutte sulla interpretazione del contratto di fideiussione e sono altresì inammissibili poiché nel momento in cui si censura la interpretazione di un atto ai sensi degli articoli 1362 seguenti del Codice civile il ricorrente per cassazione deve individuare analiticamente le norme violate.
L’interpretazione di un atto è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione
inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa. Il ricorso non contiene alcun riferimento a tali parametri.
Peraltro, con riferimento al quarto e quinto motivo va evidenziato che la Corte territoriale non ha qualificato quelle polizze come contratti autonomi di garanzia, ma si è limitata a richiamare la giurisprudenza relativa a quella tipologia di contratto, sostenendo la applicabilità dei medesimi principi anche al caso di fideiussione specifica. Con la conseguenza che non si sarebbe verificata alcuna ipotesi di decadenza ai sensi dell’articolo 1957 c.c. perché il creditore aveva rispettato il termine di sei mesi avendo chiesto ai garanti il pagamento del debito con raccomandata del 1° aprile 2015.
All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE liquidandole in complessivi € 16.200,00 , di cui euro 16.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte