Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4135 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4135 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1764/2020 proposto da: NOME
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME, pec EMAIL;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, pec EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 355/2019 della CORTE D’APPELLO DI MESSINA, depositata il 10/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa data 10/05/2019, la Corte d’appello di Messina ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti da NOME COGNOME in conseguenza del comportamento calunnioso tenuto dal COGNOME ai danni di quest’ultima;
con la stessa decisione, la corte territoriale ha pure condiviso la decisione del Tribunale di rigetto della domanda con la quale il COGNOME ha invocato la condanna della COGNOME al risarcimento dei danni in proprio favore, per avere la COGNOME, in qualità di tutore della madre e del fratello del COGNOME, asseritamente impedito a quest’ultimo di far visita ai propri congiunti;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui ha disatteso la domanda risarcitoria proposta dal COGNOME (non essendo emerso il riscontro di alcun illecito imputabile a carico della COGNOME), nonché nella parte in cui ha determinato l’entità dei danni liquidati in favore della COGNOME in conseguenza della calunnia già accertata in sede penale a carico del COGNOME;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che,
con i due motivi proposti e unitariamente illustrati, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. e 2729 c.c. e dell’art. 702ter , co. 3 e 4, c.p.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi e ‘travisamento del fatto sulla prova decisiva’ e omessa motivazione (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale
erroneamente omesso di rilevare la mancata adozione, da parte del giudice di primo grado, di alcuna pronuncia sulla domanda riconvenzionale originariamente proposta dal COGNOME per la condanna della COGNOME al risarcimento dei danni allo stesso provocati in ragione della lesione del rapporto parentale con i propri congiunti;
al riguardo, il ricorrente denuncia l’erroneità del richiamo sul punto operato dal giudice a quo agli atti provenienti dal diverso procedimento penale instaurato in conseguenza delle accuse mosse dal COGNOME nei confronti della COGNOME, nonché l’illegittimità della mancata considerazione delle allegazioni documentali e delle richieste istruttorie avanzate dall’odierno ricorrente nel corso del giudizio, avendo i giudici del merito fondato la propria decisione sulla base delle sole prove offerte dalla controparte (peraltro erroneamente interpretate e travisate), e sulla base di una motivazione del tutto illogica e insufficiente;
i motivi sono nel loro complesso infondati;
osserva preliminarmente il Collegio come l’intera esposizione dei motivi di censura avanzati dal ricorrente si segnali significativamente (al di là del complessivo disordine della trattazione) per l’irriducibile profilo di contraddittorietà rinvenibile, da un lato, nella preliminare contestazione di un’omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria proposta dal ricorrente e, dall’altro, nella successiva contestazione del carattere immotivato e infondato del rigetto della medesima domanda;
ciò premesso -fermo il carattere auto-confutatorio di tali aspetti del ricorso (con particolare riguardo alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c.) -varrà considerare come l’ ubi consistam delle complessive censure avanzate con il ricorso in esame debba sostanzialmente rinvenirsi nella contestazione dell’avvenuto rigetto della domanda risarcitoria avanzata dal COGNOME, da parte dei giudici del merito, tanto
attraverso il mero rinvio agli atti del procedimento penale in cui la COGNOME fu assolta dalle accuse dello stesso istante, quanto sulla base di una valutazione solo parziale e incompleta del compendio istruttorio complessivamente acquisito;
al riguardo, varrà evidenziare, in contrasto con quanto sostenuto dal ricorrente, come la corte territoriale, pur confermando la correttezza e la sufficienza del laconico richiamo operato dal giudice di primo grado agli atti del procedimento penale, risulta essersi comunque impegnata nella predisposizione di una più articolata argomentazione delle ragioni dell’infondatezza della domanda risarcitoria avanzata dal COGNOME, giungendo ad elaborare un discorso motivazionale pienamente idoneo a consentire la ricostruzione del l’ iter logico-giuridico seguito al fine di pervenire alla decisione aAVV_NOTAIOata, con particolare riguardo all’assenza di alcuna rimproverabilità nel comportamento tenuto dalla RAGIONE_SOCIALE nell’assolvimento del proprio ufficio di tutore (cfr. pag. 6-7 della sentenza impugnata);
ciò posto, le successive doglianze illustrate dal ricorrente devono ritenersi nel loro complesso inammissibili, poiché, nonostante la formale denuncia di plurimi vizi di violazione di legge, si risolvono in una sostanziale proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, secondo una prospettiva critica non consentita in sede di legittimità, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
la stessa contestazione relativa alla mancata acquisizione delle prove proposte dal COGNOME risulta apertamente contraddetta dall’espresso giudizio di irrilevanza fatto proprio dal giudice d’appello (così come deducibile, anche implicitamente, dal complesso delle
argomentazioni dipanate nella motivazione della sentenza impugnata: cfr. pag. 7 della sentenza), rispetto al quale il ricorrente non risulta essersi in alcun modo (o adeguatamente) confrontato;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione