Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8517 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8517 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22205/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende
-Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
-Intimato – avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 4006/2021 depositata il 01/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE convenne dinnanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME deducendo: (i) di aver stipulato con il COGNOME una convenzione per la gestione della delegazione A.C. RAGIONE_SOCIALE n. 227; (ii) che il rapporto contrattuale si interruppe in data 29/07/2004, per risoluzione ad istanza della stessa RAGIONE_SOCIALE, a causa dei numerosi inadempimenti di cui si era reso responsabile il COGNOME, il quale, nonostante avesse percepito da numerosi utenti gli importi richiesti, non aveva effettuato le relative pratiche auto,
rendendosi moroso nei confronti dell ‘ Ente di una somma pari ad euro 9.297,32; (iii) che il COGNOME, con scrittura privata ricognitiva del debito (mai onorata dallo stesso), si era riconosciuto debitore dell ‘ RAGIONE_SOCIALE delle somme dovute alla data del 28/06/2002. Parte attrice chiese pertanto di dichiarare il COGNOME responsabile delle condotte illegittime e del danno all ‘ immagine, e dunque condannarlo: 1) al risarcimento del danno all ‘ immagine nella misura di euro 50.000,00 o in quella minore o maggiore ritenuta di giustizia in via equitativa; 2) al pagamento della somma di euro 9.297,32 in virtù della risoluzione del rapporto di convenzione esistente.
Costituendosi in giudizio, il COGNOME contestò la domanda di parte attrice, eccependo in particolare, per quanto ancora rileva in questa sede: (i) l ‘ intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno all ‘ immagine, di natura extracontrattuale, in quanto trascorso oramai il termine quinquennale dal momento della risoluzione del contratto avvenuta in data 29/07/2004; (ii) in relazione alle pratiche non espletate per conto degli utenti, l ‘ inidoneità della documentazione prodotta a provare la propria responsabilità, quali ad esempio l ‘ assenza della copia dell ‘ atto di vendita o della copia della quietanza attestante il pagamento. Il COGNOME formulò inoltre domanda riconvenzionale per il risarcimento di danni morali e materiali, deducendo che: (i) l ‘ attrice, dietro contributo annuo versato dal convenuto, aveva inserito l ‘ agenzia nelle Pagine Gialle, errando, però, l ‘ ubicazione e creando così un notevole danno allo sviluppo commerciale della delegazione; (ii) la delegazione, nonostante avesse il mandato alla riscossione delle tasse automobilistiche e del bollo auto dal 1991 al 2002, non era stata dotata del macchinario necessario subendo una notevole contrazione degli incassi; (iii) la disdetta della convenzione non era stata legittima, facendo difetto l ‘ inadempimento del convenuto, ed aveva provocato un danno per lucro cessante a causa della perdita del fatturato. In virtù della domanda riconvenzionale, il COGNOME chiese
la condanna dell ‘ RAGIONE_SOCIALE al risarcimento di tutti i danni materiali e morali patiti, quantificati nella misura di euro 260.000,00, o in quella diversa somma ritenuta di giustizia.
Con sentenza n. 10209/2016 Tribunale di RAGIONE_SOCIALE: (i) condannò COGNOME NOME al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 9.297,32, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; (ii) rigettò la domanda di risarcimento danni proposta dall ‘ RAGIONE_SOCIALE; (iii) rigettò la domanda riconvenzionale del COGNOME.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME interpose gravame dinnanzi alla Corte d ‘ appello di RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la riforma.
RAGIONE_SOCIALE si costituì chiedendo di dichiarare inammissibile l ‘ appello in quanto privo dei requisiti di cui all ‘ art 342 c.p.c. e dichiararlo altresì inammissibile per manifesta infondatezza ex art. 348 bis c.p.c., chiedendone in ogni caso il rigetto.
Con sentenza depositata in data 1°/06/2021, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato l ‘ appello, e, per effetto, ha confermato la sentenza n. 10209/2016 resa tra le parti del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso affidato ad un unico motivo.
RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese nel presente giudizio di legittimità.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l ‘ unico motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione all ‘ articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c. ‘ , deducendo che la clausola risolutiva di cui l ‘ ente si è avvalso non faceva riferimento a specifici inadempimenti contrattuali, ma richiedeva
unicamente che le violazioni degli obblighi fossero ‘ inadempienze reiterate ‘ , locuzione, quest ‘ ultima, anch ‘ essa indeterminata, e che comunque nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento avrebbe potuto dar luogo alla risoluzione.
Il ricorso è inammissibile.
Va in primo luogo rilevato che, in violazione del requisito prescritto a pena di inammissibilità dall ‘ art. 366, 1° co., n. 6, c.p.c., il ricorrente omette di riportare nel ricorso il contenuto degli atti e dei documenti del giudizio di merito invocati a sostegno delle mosse censure, con particolare riferimento alla convenzione stipulata con l ‘ RAGIONE_SOCIALE, contenente la clausola risolutiva espressa oggetto di contesa, nonché la clausola di cosiddetta ‘ sospensione cautelativa ‘ , entrambe menzionate a p. 9 del ricorso, delle quali non risulta nemmeno indicata la sede processuale dove rinvenirla (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua, il ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non essendo invero sufficienti affermazioni -come nel caso -del tutto apodittiche (vedi già Cass. 21/8/1997, n. 7851). Risponde d ‘ altro canto a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso vanno sempre ed indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo. Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519).
Inoltre, dalla sentenza gravata si ricava che ‘ la decisione di accoglimento della domanda di RAGIONE_SOCIALE oggi impugnata si fonda
anche sull ‘ accertamento della avvenuta sottoscrizione, da parte del COGNOME, di una scrittura privata di riconoscimento di debito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per l ‘ importo di lire 20.000.000 (sostanzialmente corrispondente, convertito in euro, all ‘ oggetto della condanna), non è oggetto di censure in questa sede, con riguardo alla esistenza e alla rilevanza della quale, dunque si è formato il giudicato interno con la conseguenza che le censure dell ‘ appellante non appaiono idonee ad inficiare l ‘ accertamento del primo giudice con la conseguenza che l ‘ appello deve essere respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata ‘ (così da ultimo § di p. 5 a 1° § di p. 6 della sentenza).
Tale ratio -da sola sufficiente a giustificare la statuizione di condanna- non è stata investita dal ricorso, che risulta pertanto inammissibile, in quanto inidoneo a contrastare compiutamente la sentenza impugnata.
Invero, per consolidata giurisprudenza di legittimità, dal momento che il ricorso per cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi invece come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall ‘ àmbito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l ‘ omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand ‘ anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l ‘ intervenuta definitività delle altre non impugnate, all ‘ annullamento della decisione stessa (cfr., ex plurimis , le sentenze nn. 389 e 13070 del 2007, 3386 e 22753 del 2011, 2108 del 2012; cfr. anche Cass., Sez. Un., sent. 29/03/2013, n. 7931; Cass., sez. III, sent. 14/02/2012, n. 2108; Cass., sez. V, ord. 11/05/2018, n. 11493).
A tale stregua, il ricorso è pertanto inammissibile.
Non avendo l ‘ intimato svolto alcuna attività difensiva nel presente giudizio di legittimità, nulla è dovuto a titolo di spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, il 04/03/2024.