Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22375 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22375 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5554/2020 R.G. proposto
da
COMUNE COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente –
contro
DI NOME , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-controricorrente –
Oggetto: Pubblica Amministrazione -Occupazione -Indennità -Determinazione
R.G.N. 5554/2020
Ud. 27/03/2025 CC
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO BARI n. 338/2019 depositata l’11/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/03/ 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 338/2019, pubblicata in data 11 febbraio 2019, la Corte d’appello di Bari, nella regolare costituzione dell’appellata NOME COGNOME ha solo parzialmente accolto l’appello proposto dal COMUNE DI ASCOLI SATRIANO avverso la sentenza del Tribunale di Foggia n. 287/12, pubblicata in data 2 marzo 2012, procedendo alla rideterminazione delle somme spettanti alla medesima COGNOME NOME COGNOME a titolo di indennità sia di occupazione legittima sia di occupazione illegittima ed occupazione usurpativa, in relazione a terreni di sua proprietà.
NOME COGNOME aveva originariamente adito il Tribunale di Foggia premettendo in fatto che il COMUNE DI ASCOLI SATRIANO, al fine di realizzare alcune nuove strade all’interno dell’abitato urbano, aveva proceduto all’occupazione d’urgenza di un a parte di terreno di sua proprietà nonché all’occupazione di fatto di altra parte del terreno, procedendo poi alla irreversibile trasformazione di entrambe le porzioni di terreno.
Aveva quindi chiesto la condanna del COMUNE DI ASCOLI SATRIANO alla corresponsione sia dell’indennità per occupazione legittima sia del risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione senza titolo ad alla definitiva trasformazione dei terreni.
Costituitosi regolarmente il COMUNE DI ASCOLI SATRIANO, il Tribunale di Foggia aveva condannato quest’ultimo al pagamento della complessiva somma di € 122.093,24, oltre interessi legali.
3. Per quanto ancora rileva, la Corte d’appello di Bari ha, in primo luogo, disatteso il motivo di gravame con il quale il COMUNE DI ASCOLI SATRIANO si doleva del mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione, in quanto ha affermato il carattere perm anente dell’illecito derivante dall’occupazione non seguita dall’adozione di un formale provvedimento di espropriazione.
Passando, poi, al profilo della quantificazione delle somme spettanti all’appellata, la Corte territoriale ha determinato in primo luogo il danno da occupazione illegittima ed occupazione usurpativa, osservando che, avendo l’appellata optato per la tutela per equivalente, la determinazione del risarcimento del danno doveva avvenire assumendo come riferimento il valore del bene al tempo della proposizione del domanda risarcitoria, fermo restando – per il periodo decorrente dall’inizio dell’occupazione illegi ttima sino al momento della domanda -il diritto al risarcimento del danno per la perdita del godimento del bene.
Ha quindi concluso che la base di determinazione, sia ai fini risarcitori, sia ai fini indennitari, doveva essere individuata nel valore venale del suolo all’epoca della proposizione della domanda giudiziale di risarcimento, e cioè il 2001.
Procedendo poi alla determinazione dell’indennità da occupazione legittima, la Corte -dopo aver evidenziato che in relazione a tale profilo veniva ad operare la competenza funzionale della medesima Corte d’appello in unico grado ex art. 19, Legge n. 865/1 971 -ha ritenuto di confermare la quantificazione operata dal giudice di prime cure, disattendendo le deduzioni dell’appellante in ordine sia alla determinazione del valore venale del suolo sia alla perdita di caratteristica edificatoria per effetto della classificazione a strada.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorre il COMUNE DI ASCOLI SATRIANO.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorrente ha articolato le deduzioni in diritto del proprio ricorso -tutte ricondotte a ‘violazione dl norme di diritto’ – in cinque paragrafi, testualmente intitolati:
‘L’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria di danni’ ;
‘La violazione dell’art. 112 cpc’ ;
‘L’errata qualificazione delle aree’ ;
‘La cessione gratuita delle aree per le opere di urbanizzazione primaria’ ;
‘Gli errori in procedendo del Ctu’ .
In tali paragrafi si viene a censurare la decisione impugnata in quanto la stessa:
avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di prescrizione, omettendo di assumere come riferimento per la decorrenza del termine di prescrizione la data di irreversibile trasformazione dei terreni;
avrebbe riconosciuto all’odierna controricorrente l’indennità da occupazione legittima, sebbene in relazione a tale indennità non fosse stata formulata domanda da parte dell’odierna controricorrente;
avrebbe erroneamente negato rilevanza alla circostanza della sopravvenuta classificazione ‘a strada’ delle aree originariamente edificabili, con conseguente riduzione del valore delle stesse;
avrebbe omesso di rilevare che le aree oggetto di occupazione -essendo state utilizzate per urbanizzazioni primarie -dovevano essere cedute gratuitamente al Comune ‘secondo le previsioni del Piano Quadro della Zona Omogenea C2, Norme tecniche di attuazione, del Comune di Ascoli Satriano del 22.05. 1975’ , dovevano essere cedute gratuitamente al Comune di Ascoli Satriano.
avrebbe fatto proprie le conclusioni del consulente tecnico nominato in sede di prime cure in ordine alla determinazione del valore dei terreni, nonostante tali conclusioni siano da ritenere errate sulla scorta di dati che erano pur a disposizione del CTU.
I motivi di ricorso sono, nel complesso, inammissibili.
In linea generale, si deve rilevare che tutti i motivi di ricorso, complessivamente riferiti – si ricorda ancora una volta – a ‘violazione dl norme di diritto’ , risultano formulati con modalità che si collocano al di fuori del perimetro della corretta deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c.
Si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata deb-
bano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16700 del 05/08/ 2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
È inevitabile notare che i motivi di ricorso ora in esame -al di là di quanto verrà ulteriormente osservato in relazione a ciascuno di essi -non appaiono rispettare i canoni individuati da questa Corte, assumendo invece i medesimi la forma di eterogenei rilievi critici, nei quali sporadiche osservazioni in diritto risultano contaminate da una serie di rilievi in mero fatto, tali da tradurre tutti i motivi in mera -ed inammissibile – critica del merito della decisione, e non nell’ effettiva deduzione di un inadeguato governo di norme di diritto.
A questo limite complessivo di fondo, poi, si aggiungono -come già anticipato -profili di inammissibilità che caratterizzano i singoli motivi.
2.1. Quanto al primo motivo, infatti, lo stesso manca totalmente di confrontarsi con la ratio decidendi della decisione impugnata la quale,
dopo aver correttamente richiamato i precedenti di questa Corte in materia (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12961 del 24/05/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4476 del 05/03/2015), ha concluso nel senso del carattere permanente dell’illecito spossessamento del privato da parte della P.A. anche in presenza di dichiarazione di pubblica utilità, ed ha conseguentemente individuato il momento iniziale di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente nel momento in cui il privato venga ad esercitare tale proprio diritto, mediante la formulazione della relativa domanda.
A fronte di questa ratio decidendi , il motivo di ricorso si diffonde in una serie di deduzioni che investono in significativa misura profili in mero fatto, e cioè profili già di per sé inammissibili in sede di legittimità, ma resi ancora più tali dalla radicale mancanza di rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. , al punto che la struttura del motivo di gravame appare assai più assimilabile a quella di un gravame rivolto ad un giudice investito del merito della controversia piuttosto che non a quella di un motivo di ricorso articolato in sede di legittimità.
2 .2. Radicalmente privo della conformità all’art. 366 c.p.c. è anche il secondo motivo di ricorso, del tutto carente in ordine alla riproduzione o localizzazione di quegli atti sulla cui scorta si sarebbe dovuta verificare la sussistenza del dedotto error in procedendo .
L’ inammissibilità del mezzo deriva ulterior mente dall’applicazione del principio per cui, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il
gravame allorché il ricorso sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
2.3. In relazione al terzo motivo non possono che reiterarsi in gran parte i rilievi già mossi al primo motivo: ci si confronta ancora una volta con una serie di deduzioni ancorate a profili in fatto le quali, non solo risultano -ancora una volta -carenti sul piano del rispetto dell’art. 366 c.p.c., ma anche valgono ad evidenziare in modo netto che le censure mosse col motivo non attengono al profilo del governo delle norme di legge da parte della Corte territoriale, ma investono il merito vero e proprio della decisione, della quale vengono ad essere contestati i presupposti fattuali, senza tuttavia evidenziarne il contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.4. L’inammissibilità del quart o motivo deriva dal fatto che la questione dallo stesso proposta -come anche eccepito dalla controricorrente – non risulta essere stata in alcun modo affrontata nella decisione impugnata, né parte ricorrente ha dedotto di averla sollevata nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. Sez. L, Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/ 2013).
2.5. Inammissibile, infine, risulta il quinto ed ultimo mezzo, il quale si diffonde in una serie censure rivolte alle valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio e si traduce, conseguentemente, ancora una volta in una mera censura al merito della decisione.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile;
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di c assazione, che liquida in € 3.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 27 marzo 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME