Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3946 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 27050-2019 r.g. proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., con sede in INDIRIZZO INDIRIZZO, cod. fisc. CODICE_FISCALE -p.iva P_IVA, incorporante la Banca Toscana Spa, giusto atto di fusione per incorporazione del 24/03/09 – rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO del Foro di Fermo. giusta procura speciale in calce al ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (cod. fisc. e partita Iva P_IVA) in persona del rag. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso l’AVV_NOTAIO del foro di Roma.
– controricorrente e ricorrente in via incidentale
avverso la sentenza n. 1015/2019, emessa dalla Corte di Appello di Ancona il 28/05/2019, pubblicata il 14/6/2019, notificata il 18/06/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2023 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.Con atto di citazione notificato in data 18.4.2011 il RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA Spa, dinnanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, per sentire condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni subiti a causa della condotta dell’istituto di credito. Affermava il RAGIONE_SOCIALE, a sostegno del la propria domanda, che a fronte della cessione pro solvendo, in favore della società RAGIONE_SOCIALE in bonis , dei crediti vantati dalla Banca Toscana nei confronti delle società di gruppo, e cioè, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, quantificati in euro 2.690.554,18, la stessa cessionaria RAGIONE_SOCIALE aveva consegnato a Banca Toscana, a titolo di corrispettivo della cessione, il proprio portafoglio clienti per euro 1.787.646,10, di cui euro 952.258,33 effettivamente incassati da Banca Toscana; sosteneva, inoltre, che, non avendo la Banca Toscana trasferito ad RAGIONE_SOCIALE alcun credito, sarebbe oggi tenuta a versare alla curatela fallimentare, subentrata nel contratto ex art. 72 l. fall., l’intero importo ceduto, oltre interessi moratori, decurtato solo il prezzo non versato dalla RAGIONE_SOCIALE, quantificato in euro 868.447,89, per il quale opererebbe la compensazione ex artt. 1241 cod. civ. e 56 l. fall.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, nella resistenza della banca convenuta, rigettava le domande attoree, con la sentenza n. 147/2015.
Avverso la predetta sentenza interponeva appello principale la BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA Spa ed appello incidentale il RAGIONE_SOCIALE e la Corte di appello d’Ancona, co n la sentenza qui ricorsa per cassazione e sopra indicata in epigrafe, ha rigettato entrambi i gravami, confermando pertanto la sentenza resa in primo grado.
La Corte di appello ha ritenuto che: (a) era infondato già il primo motivo di appello incidentale, declinato come ‘erroneità della sentenza per violazione
o falsa applicazione degli artt. 1260 e ss. c.c. e 1967 c.c. in rel azione all’art. 2697 cod. civ.’ -nel quale, cioè, l’appellante principale lamentava che il primo giudice avesse errato nel non ritenere rilevanti gli accertamenti contenuti nelle sentenze del Tribunale di Siena (n. 294/2013) e della Corte di appello di Firenze (n. 244/14) in ordine all’e sclusione della circostanza della cessione dei crediti tra RAGIONE_SOCIALE e la Banca Toscana – in quanto le sentenze erano state rese inter alios e perché comunque le stesse non erano entrate nel merito della valutazione dell’esistenza o meno dell’atto negoziale di cessione del credito; (b) anche il secondo motivo dell’appello principale era infondato, in ordine alla contestata valutazione della prova della cessione del credito, posto che la prova dell ‘ esistenza della detta cessione era stata apprezzata dal primo giudice non solo sulla base della comunicazione del 5.5.1993, ma sulla scorta di ulteriore documentazione acquisita in atti (cessione dei portafogli del 27.11 e del 17.12.1991; comunicazione datata 9.4.1992; raccomandata del 15.9.1992; etc), dovendosi altresì ritenere che l’ulteriore argomento, peraltro solo tardivamente proposto per la prima volta in grado di appello, circa la natura transattiva del contratto intercorso tra le parti, era anch’esso infondato in quanto non era stato dedotto dalla parte appellante il presupposto indefettibile per la qualificazione dell ‘accordo in tal senso, e cioè l’ esistenza di una controversia tra le parti; (c) le doglianze proposte sia dalla banca appellante principale che dal fallimento appellante incidentale in ordine alla quantificazione del danno liquidabile in favore della curatela fallimentare erano tutte infondate per entrambi i gravami, in quanto, in relazione all’appello principale, non era stato possibile accertare l’esatto ammontare dei crediti della banca verso le società debitrici ced ute e, per l’altro, avendo la banca trattenuto i titoli rappresentativi dei crediti cedutegli da RAGIONE_SOCIALE, non poteva assumere rilievo che essa avesse riscosso dal totale solo 757, milioni atteso che non aveva messo in grado RAGIONE_SOCIALE di riscuotere il residuo, legittimando la pretesa risarcitoria del cessionario; (d) anche il terzo motivo dell’appello principale era infondato, quanto alla dedotta circostanza dell’intervenuta risoluzione del contratto di cessione dei crediti per la ricorrenza di una clausola risolutiva
espressa, perché la missiva dell’AVV_NOTAIO era da considerarsi una proposta diretta ad una molteplicità di soggetti e in quanto la denuncia di risoluzione per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE non richiamava in alcun modo l’esistenza di una clausola risolutiva espressa; (e) anche il quarto ed ultimo motivo di gravame, azionato in riferimento alla inapplicabilità al caso di s pecie dell’art. 72 l. fall., non era condivisibile, posto che, sebbene dovesse applicarsi il disposto normativo sopra richiamato nella versione ante riforma del 2006, tuttavia anche nella precedente formulazione normativa era possibile per il curatore subentrare nel contratto in corso di esecuzione, dovendosi anche ritenere che il contratto di cessione del credito fosse ricompreso nel concetto più lato di vendita, per come disciplinata dal predetto art. 72 l. fall.; (f) ha inoltre ritenuto infondato anche l’appello incidentale avanzato dalla curatela fallimentare, in quanto, per quanto qui ancora di interesse: (i) la questione prospettata in relazione alla clausola risolutiva espressa era da considerarsi assorbita dal rigetto del terzo motivo del ricorso principale; (ii) le questioni ulteriori dedotte in merito al corretto accertamento del credito risarcitorio erano anch’esse state e saminate nel secondo motivo e in tal senso dovevano ritenersi ormai decise; (iii) doveva anche essere considerata corretta la decisione di primo grado, in punto di determinazione degli interessi moratori, in quanto, trattandosi di un credito risarcitorio, lo stesso doveva ritenersi suscettibile di rivalutazione monetaria ed interessi.
2. La sentenza, pubblicata il 14.6.2019, è stata impugnata da BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA Spa con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, con il quale ha dedotto tre motivi di ricorso incidentale.
La società ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso principale la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1260 e ss. c.c., 1967 c.c. e 1362 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c.
1.1 Il motivo è nel suo complesso inammissibile.
1.1.1 Con una prima serie di censure (pagg. 14-22 ricorso) la ricorrente si duole del vizio di falsa applicazione di norme di legge laddove la Corte di appello non avrebbe correttamente applicato le disposizioni normative sopra indicate, in riferimento alla ritenuta conclusione inter partes del negozio di cessione dei c rediti, deducendo sul punto un’ errata ricostruzione da parte dei giudici del merito della questio facti e sostenendo che la motivazione resa dalla Corte territoriale sarebbe stata solo apparente.
1.1.2 Le censure così sin qui formulate so no all’evidenza inammissibili.
Sul punto giova ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta
al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato, sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze
giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Orbene, nel caso in esame la società ricorrente denuncia invece proprio una errata ricostruzione della fattispecie concreta, pretendendo ora una inammissibile rivalutazione da parte di questa Corte di legittimità della questio facti , tramite la rilettura degli atti istruttori di natura documentale per addivenire ad un nuovo scrutinio sul profilo dell ‘ effettiva conclusione tra le parti del negozio di cessione dei crediti. Sul punto va infatti ricordato che, con specifico riferimento alla controversa conclusione del contratto di cessione pro-solvendo dei crediti della banca verso le società del gruppo, l’accertamento circa la conclusione di un contratto costituisce accertamento riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per v izio di motivazione (Cass. 14006/2017), nella specie – come si dirà a breve – insussistente.
Le doglianze sono dunque inammissibili.
1.2 La ric orrente si duole inoltre dell’ erroneità della decisione impugnata (pagg. 2228 ricorso introduttivo) anche sotto l’ulteriore profilo del mancato corretto apprezzamento da parte della Corte di appello del contenuto delle due sentenze rese dal Tribunale di Siena e dalla Corte di appello di Firenze, in relazione alla presunta esclusione nelle pronunce ora ricordate dell ‘ esistenza di un negozio di cessione del credito.
1.2.1 Anche questo secondo ordine di doglianze è inammissibile perché non coglie né censura la ratio decidendi della decisione impugnata che, sul punto qui in discussione, ha escluso il possibile rilievo di giudicato esterno perché le decisioni erano state adottate inter alios .
Ebbene tale ratio non è stata in alcun modo censurata dalla ricorrente che, sul punto ed in modo peraltro contraddittorio sostiene di non aver comunque sollevato l’eccezione di giudicato esterno.
1.3 La società ricorrente propone, sempre nel primo motivo di censura, una ulteriore doglianza (pagg. 29-33), con la quale si denuncia l ‘ erroneità della decisione impugnata nel non aver ritenuto transattivo l’accordo intervenuto tra le parti, del quale non sarebbe stata dunque rilevata la nullità per difetto di forma scritta.
1.3.1 Anche in tal caso la doglianza, nel riproporre le censure già avanzate in sede di gravame e nel richiedere comunque un nuovo apprezzamento in fatto sul contenuto dell’accordo negoziale in esame, manca ancora una volta di censurare la ratio decidendi della decisione impugnata, che ha invero escluso la natura di contratto di transazione per il preliminare rilievo che la parte appellante non aveva dedotto il presupposto essenziale della transazione, e cioè che vi fosse una controversia in corso tra le parti.
1.4 Le ulteriori censure articolate sempre nel primo motivo (e riguardanti la erronea quantificazione del danno risarcito) sono invece inammissibili perché versate in fatto e rivolte ad un nuovo scrutinio della questio facti.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 156 c.p.c., sul rilievo che la Corte di appello non avrebbe correttamente valutato la intervenuta risoluzione negoziale del negozio di cessione dei crediti.
2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile perché articolato senza il necessario confronto con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, e cioè che tale risoluzione era stata decisamente esclusa, per la mancata dimostrazione dell ‘ esistenza dell ‘ invocata clausola risolutiva espressa.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c.
3.1 Viene, ora, riproposta la doglianza sopra articolata in riferimento alla natura transattiva del negozio di cessione, questa volta sotto il profilo della motivazione apparente.
Anche in tal caso la doglianza è inammissibile perché, per quanto sopra rilevato, la motivazione resa sul punto dalla Corte di merito esiste e non è apparente, essendo la stessa fondata sul rilievo della mancata allegazione e dimostrazione dell ‘ esistenza del presupposto indispensabile per la qualifica
del contratto come transazione, e cioè l ‘ esistenza di una controversia in corso tra le parti, ratio decidendi che, come già sopra osservato, non è stata in alcun modo impugnata dalla ricorrente.
Il quarto mezzo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 72 l.f., sul rilievo che la precedente versione normativa dell’art. 72 riguarderebbe solo la vendita, e non sarebbe pertanto estensibile anche alla cessione del credito.
4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile.
4.1.1 Va osservato, infatti, che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dal ricorrente. Diversamente verrebbe ad essere impedito alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., 29/11/2016, n. 24298; Cass., 05/08/2020, n. 16700; Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745; Cass. 18998/2021).
4.1.2 Ciò posto, va osservato che, nella specie, la censura non risulta né specifica, né intellegibile, né motivatamente dimostrativa dell’errore di diritto, né – tanto meno – esauriente. Ed invero, il ricorrente si è limitato a fronte della sentenza ch e, con riferimento all’art. 72 l.f. testo previgente, aveva equiparato la cessione dietro corrispettivo, ricorrente nella specie, alla vendita – a fare riferimento alla mancata notifica al debitore ceduto, che nulla ha a che vedere con la distinzione tra vendita e cessione del credito, e dunque è argomentazione non conferente con la ratio decidendi , e ad affermare genericamente ed apoditticamente che «la fattispecie della cessione del credito non è affatto assimilabile alla vendita».
5.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia ex art. 360, comma 1 n. 4. nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 cc, 115 e 116 cpc, per avere la Corte d’Appello non correttamente percepito il contenuto oggettivo delle prove offerte e, conseguentemente, ritenuto: A) non ricavabile da alcun documento in atti l’esatto importo dei crediti vantati da Banca Toscana nei confronti del RAGIONE_SOCIALE ed oggetto di cessione; B) il credito riconoscibile all’esponente pari a sole £. 2.438.549 quale portafoglio Cliente ceduto da RAGIONE_SOCIALE a Banca Toscana a saldo della cessione di crediti pro solvendo (pag. 19 e ss. controricorso).
5.2 Con il secondo motivo si denuncia da parte del controricorrente, ex art. 360, comma 1 n. 4 cpc. nullità della sentenza, in relazione al contro credito riconosciuto a Banca Toscana, per (a) violazione o falsa applicazione dell’art. 132 2° comma n. 4 cpc, per avere la Corte d’Appello completamente omesso la motivazione su una domanda proposta; (b) per violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 cc, 115 e 116 cpc, per avere la Corte d’Appello non correttamente percepito il contenuto delle prove offerte (da pag. 24 e ss controricorso).
5.3 Con il terzo mezzo si deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cpc. violazione o falsa applicazione degli artt. 820 e ss e 1263 e ss cc, in relazione all’art. 113 cpc, per non avere la Corte d’Appello compreso nel credito avente natura risarcitoria riconosciuto all’esponente anche gli interessi di mora maturati dalla data della cessione dei crediti sino ala data della decisione di primo grado; ex art. 360,comma 1 n. 4 cpc. nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 132 II° comma n. 4 cpc, per avere la Corte d’Appello completamente omesso la motivazione o fornito motivazione meramente apparente, in ordine al mancato riconoscimento degli interessi moratori pattizi al tasso del 14% (pag. 27 e ss controricorso).
L’inammissibilità del ricorso principale consente di dichiarare inefficace il ricorso incidentale tardivo, ai sensi dell’art. 334, secondo comma, c.p.c. Invero, la sentenza di appello è stata notificata il 18 giugno 2019, il termine di sessanta giorni ex art. 325 c.p.c. scadeva il 17 settembre 2019, ed il ricorso incidentale è del 14 ottobre 2019, ed è stato notificato il 22 ottobre 2019.
Ebbene, in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale tardivo, proposto oltre i termini di cui agli artt. 325, comma 2, ovvero 327, comma 1, c.p.c., è inefficace ex art. 334, secondo comma, c.p.c., qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che, in senso contrario rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371, comma 2, c.p.c. (quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale) (Cass. 17707/2021; Cass. 6077/2015).
Le spese del presente giudizio vanno compensate in ragione dell’esito complessivo del giudizio nei vari gradi di impugnazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale; compensa le spese di lite tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello , se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27.10.2023