Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10342 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10342 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26321/2019 R.G. proposto da : CURATELA DEL FALLIMENTO DELL’IMPRESA RAGIONE_SOCIALE COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente- contro
ASSESSORATO RAGIONE_SOCIALE DELLA REGIONE SICILIANA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI “RAGIONE_SOCIALE COGNOME“, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1773/2018 depositata il 12/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 250/2012, in parziale accoglimento delle domande proposte dalla curatela del fallimento dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto l’esecuzione dei lavori di costruzione del padiglione chirurgico dell’Ospedale Villa Sofia di Palermo, ha condannato l’Assessorato Regionale della Sanità al pagamento in favore della curatela della somma di € 133.914,50, oltre accessori di legge, ritenendo parzialmente fondate le pretese di cui alle riserve nn. e 3 e 7, iscritte negli atti contabili dell’appalto dalla società poi fallita, e ritenendo, invece, non fondate le riserve nn. 4,5,6 e 8.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 1773/2018, depositata il 12.9.2018, in parziale accoglimento dell’appello della curatela della predetta procedura, ha condannato l’Assessorato regionale della Sanità al pagamento della somma di € 235.020,47.
Il giudice di secondo grado ha accolto l’ottavo motivo d’appello con il quale era stato lamentato il mancato riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 comma 2° c.c., rilevando, sul punto, l’erroneità della decisione che non aveva considerato che si trattava di debito
di valore soggetto ex se a rivalutazione monetaria. Il giudice d’appello ha, invece, rigettato tutti gli altri motivi attinenti alle riserve 3,4,5,6 e 8.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la curatela del fallimento dell’Impresa Arturo RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, affidandolo a sette motivi.
L’Assessorato Regionale della Sanità della Regione Sicilia e l’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa INDIRIZZO hanno resistito in giudizio con controricorso.
L’Azienda RAGIONE_SOCIALE “Villa Sofia ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività sollevata dalla Azienda Ospedaliera nella memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
In particolare, l’azienda RAGIONE_SOCIALE ha dedotto che il ricorso in Cassazione per cassazione è stato notificato il 10/09/2019 ben oltre il termine concesso ex lege, e, come tale, la sentenza della Corte di appello, depositata il 12/09/2018 è passata in giudicato.
Tale eccezione deve essere rigettata.
Emerge dall’esame degli atti processuali che la sentenza impugnata non è stata notificata (come ha dato atto l’Assessorato Regionale a pag. 1 del proprio controricorso), con la conseguenza che deve applicarsi per l’impugnazione il termine lungo per l’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., che è, nel caso di specie di un anno, atteso che l’atto di citazione del giudizio di primo grado è stato notificato nell’anno 2000, e quindi in data anteriore all’entrata in vigore dell’art. 46 comma 17 L. n. 69/2009.
E’, infatti, principio consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 6784/2012; conf. Cass. n. 14267/2015; recentemente, Cass. n. 1778/2025; Cass. n. 20269/2023) quello secondo cui «in materia di cosiddetto termine lungo di impugnazione, l’art. 327 cod. proc.
civ., come novellato dall’art. 46 della legge n. 69 del 2009 mediante riduzione del termine da un anno a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58 della medesima legge, ai giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio 2009, essendo quindi ancora valido il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a quella data» ez. II, 4/05/2012, n. 6784).
L’eccezione di tardività del ricorso è quindi priva di fondamento atteso che, essendo la sentenza d’appello stata depositata il 12.9.2018, la notificazione del ricorso per cassazione avvenuta in data 10.9.2019, è, tenuto conto del periodo di sospensione feriale, assolutamente tempestiva.
Con il primo motivo del ricorso principale è stata dedotta la nullità della sentenza ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c. e, con riferimento alla motivazione per violazione dell’art. 118 disp. Att. c.p.c..
Lamenta la curatela ricorrente che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento e nessun cenno alle difese della curatela, segnatamente, alle argomentazioni poste a fondamento dei motivi d’appello. Nessun riferimento, inoltre, contiene la sentenza impugnata alle molteplici considerazioni svolte sulla CTU.
La curatela lamenta, inoltre, che la Corte di merito si è attenuta quasi esclusivamente alle risultanze della CTU , senza prendere in esame le molteplici osservazioni e rilievi sollevati dalla curatela in ordine all’operato del CTU e senza tener conto che il CTu non aveva risposto ai singoli rilievi formulati dalla curatela dell’atto di impugnazione.
Il motivo è palesemente inammissibile per genericità.
La curatela non ha avuto cura di precisare minimamente a quali sue difese e argomentazioni, contenute nei motivi d’appello, la sentenza impugnata non avrebbe prestato la dovuta attenzione, e su quali osservazioni e rilievi all’operato del CTU la Corte d’Appello
non avrebbe risposto, risultando così le censure della procedura del tutto aspecifiche.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 191 e 201 c.p.c. nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
Espone la ricorrente che la Corte d’Appello, nell’esaminare il primo motivo d’appello, ha recepito integralmente le risultanze della CTU senza tener conto delle molteplici specifiche e circostanziate osservazioni svolte sia con la consulenza tecnica di parte del 26 aprile 2005 sia con le ‘considerazioni del C.T.P.A.’ del 26.11.2007.
La ricorrente ha ricordato l’indirizzo giurisprudenziale che impone al giudice di merito che aderisca alle risultanze della CTU di rispondere alle critiche delle parti, ove queste siano particolareggiate e circostanziate.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che, anche recentemente, questa Corte (Cass. 6769/2022; vedi anche Cass. n. 12481/2022; Cass. n. 11325/2023) ha enunciato il principio di diritto secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, riferito alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda ai sensi dell’articolo 366, n. 6, c.p.c., anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione. Il che comporta che, se non è necessaria l’integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, è pur sempre indispensabile che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno
delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito’.
Nel caso di specie, il ricorrente afferma che il giudice di merito non avrebbe risposto alle critiche circostanziate svolte dalla curatela con la consulenza tecnica di parte del 26 aprile 2005 e con le ‘considerazioni del C.T.P.A.’ del 26.11.2007, senza indicare minimamente, neppure nei punti essenziali, le critiche svolte all’operato del CTU, non consentendo a questa Corte di cogliere in alcun modo la portata delle sue censure, che si appalesano, pertanto, del tutto generiche.
6. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 30 DPR n. 1063/1962 in relazione alla riserva n. 3, nonché la violazione degli artt. 191 e 201 c.p.c con riferimento all’inosservanza dell’obbligo di motivazione.
La curatela lamenta che il giudice d’appello non ha preso in esame i molteplici rilievi sollevati dalla curatela nel secondo motivo di impugnazione in cui aveva contestato che la sospensione dei lavori dal 14.11.1983 al 2.5.1985 si fosse resa necessaria per ragioni di pubblico interesse o necessità, come ritenuto dal giudice di primo grado.
In particolare, la curatela deduce di aver censurato nel secondo motivo d’appello che la necessità di sospendere i lavori non era sorta improvvisamente per fatti imprevedibili, per esigenze oggettive sopravvenute, ma per porre rimedio ad originarie carenze progettuali.
Lamenta la ricorrente l’immotivato recepimento delle conclusioni del CTU e l’omesso esame da parte della Corte d’Appello delle analitiche osservazioni svolte con la consulenza tecnica di parte del 26 aprile 2005 e con ‘le considerazioni del C.T.P. sulle controdeduzioni del C.T.U.’ del 26 novembre 2007.
Lamenta, inoltre, la curatela che il CTU non ha fornito alcuna risposta ai rilievi sollevati dal proprio CTP con le note del 26
novembre 2007, nelle quali si era soffermato sulle ragioni di necessità che avrebbero dettato il provvedimento di sospensione e sul quantum debeatur.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che la ricorrente non si è confrontata con la precise affermazioni della sentenza impugnata secondo cui:
la curatela non aveva dedotto l’originaria illegittimità della sospensione già disposta, limitandosi a chiedere i danni subiti in considerazione dell’illegittimo protrarsi della sospensione dei lavori dal 14.11.1983 all’1.5.1985 (vedi pag. 6 sentenza impugnata);
avendo l’impresa appaltatrice già maturato il diritto alla rifusione dei maggiori oneri, essendosi la sospensione protratta oltre i sei mesi, l’argomento attinente alla mancata ricorrenza delle ‘esigenze oggettive sopravvenute’ non previste relativo alla successiva sospensione risultava del tutto inconferente (vedi pag. 7 sentenza impugnata).
Si appalesano quindi inammissibili le odierne censure con cui la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe risposto sui propri rilievi relativi alla dedotta insussistenza di esigenze oggettive sopravvenute, essendosi, invece, la Corte d’Appello, espressamente pronunciata, ritenendo non conferenti le argomentazioni sul punto svolte dalla curatela.
Con riferimento al quantum debeatur , le censure della ricorrente sono parimenti inammissibili, avendo la Corte d’Appello, per rispondere ai rilievi dell’appellante, riportato, in modo analitico, e per esteso, alcuni passaggi dell’elaborato del CTU che confutavano le osservazioni del CTP di parte (vedi pagg. 7,8 e 9 sentenza impugnata). Non vi è dubbio, pertanto, che la curatela, con l’apparente doglianza relativa alla pretesa inosservanza dell’obbligo di motivazione, intenda, in realtà, inammissibilmente, sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dal giudice d’appello.
Con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla riserva n. 4, relativa a ‘fatti continuativi’ nonché la violazione degli artt. 191 e 201 c.p.c con riferimento all’inosservanza dell’obbligo di motivazione.
La curatela censura l’affermazione con cui la Corte d’Appello ha ritenuto la riserva n. 4 oltre che tardiva anche infondata, avendo ritenuto che non vi fosse prova dell’incidenza dell’anomalo andamento dei lavori sull’effettivo rendimento dell’impresa.
Anche in ordine a tale profilo, la curatela lamenta che il giudice d’appello non avrebbe preso in esame i rilievi e le osservazioni del CTP della curatela.
9. Il motivo è inammissibile.
Anche con riferimento alla riserva n. 4, la curatela, con l’apparente doglianza relativa alla pretesa inosservanza dell’obbligo di motivazione, intende, in realtà, inammissibilmente, sollecitare una rivisitazione della ricostruzione fattuale operata dalla Corte d’Appello.
10. Con il quinto motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla riserva n. 5, relativa alla revisione prezzi nonché la violazione degli artt. 191 e 201 c.p.c con riferimento all’inosservanza dell’obbligo di motivazione.
Espone la ricorrente di avere impugnato con il quarto motivo di appello la statuizione relativa alla richiesta di ricalcolo della revisione prezzi, quantificata dall’impresa in € 1.932.328.998, lamentando che il giudice di primo grado si fosse attenuto solo ed esclusivamente alle risultanze del CTU non facendosi delle osservazioni del proprio CTP, il quale sia nella consulenza di parte del 26 aprile 2005 che nelle note del 26 novembre 2007 aveva evidenziato che la circolare regionale n. 2520/87 poteva disporre solo per il futuro, senza prevedere il recupero delle somme corrisposte per le revisioni eseguite con i criteri della precedente circolare.
Invece, la Direzione Lavori, a seguito della emanazione della circolare del 1987, aveva illegittimamente rielaborato i precedenti conteggi revisionali, trattenendo i compensi dovuti per revisione prezzi a conguaglio di quanto in precedenza pagato in base alla citata Circolare del 1985.
11. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che la Corte d’Appello ha affermato che, in materia di appalto di opere pubbliche, il diritto dell’appaltatore alla revisione dei prezzi sorge soltanto dal momento del riconoscimento della revisione medesima da parte dell’amministrazione, per il tramite dell’organo pubblico abilitato a manifestare la volontà. Pertanto, attesa la discrezionalità dell’amministrazione in ordine al riconoscimento della revisione dei prezzi, quantomeno fino ad emanazione di atti contabili conclusivi provenienti dalla stessa stazione appaltante, è da reputarsi assolutamente legittima, anzi doverosa, la determinazione del D.L. abbia proceduto al recupero di somme erroneamente versate e indebitamente percepite dall’appaltatore, a nulla valendo le contrastanti indicazioni regolamentari che l’abbiano in origine forviata, non potendo le circolari incidere su norme primarie aventi efficacia cogente.
Non vi è dubbio che la Corte d’Appello non sia incorsa né nel vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5, censura peraltro inammissibile, essendo lamentato l’omesso esame non di un ‘fatto storico’ ma di un fatto processuale, né di omessa motivazione, essendosi la sentenza impugnata, con l’articolata motivazione sopra illustrata, fatta pienamente carico dei rilievi del CTP dell’impresa, disattendendoli puntualmente nel merito.
12. Con il sesto motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla riserva n. 6, relativa all’abbattimento dell’alea revisionale del 5%, tralasciando ogni esame in ordine alle osservazioni formulate dal CTP dell’impresa.
13. Il motivo è inammissibile.
Anche su tale questione, premessa l’inammissibilità della censura di omesso esame di fatto decisivo, non essendo stato rappresentato un ‘fatto storico’ di cui la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame, la sentenza impugnata ha compiutamente risposto ai rilievi della curatela, affermando che i lamentati slittamenti non potevano essere comprovatamente riconducibili a colpa della P.A., né l’impresa aveva dimostrato di aver subito rincari non coperti dall’alea del 5% prevista a carico dell’appaltatore. Ne consegue che le odierne censure della curatela si configurano come di merito, essendo finalizzate a sollecitare sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice d’appello.
Con il settimo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla riserva n. 6, relativa allo scarto revisionale dal 27.7.1989 allo stato finale ed alla richiesta di disapplicazione della penale.
15. Il motivo è inammissibile.
Anche su tale questione, premessa l’inammissibilità della censura di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., non essendo stato rappresentato un ‘fatto storico’ di cui la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame, la sentenza impugnata ha compiutamente risposto ai rilievi della curatela, ritenendo che l’andamento anomalo dei lavori non fosse dovuto a causa imputabile alla P.A. e ritenendo insussistenti i presupposti per la disapplicazione della penale, non essendo stata assentita dalla committente alcuna ulteriore proroga per l’esecuzione dei lavori. La Corte d’Appello ha quindi adempiuto al proprio obbligo motivazionale, di talchè le censure della curatela non hanno altro scopo che ottenere una inammissibile rivisitazione della valutazione di fatto compiuta dai giudice di merito.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo con riferimento ai rapporti tra ricorrente e Assessorato
Regionale. Con riferimento ai rapporti tra ricorrente e Azienda Ospedaliera, premesso che anche la sentenza d’appello (come la sentenza di primo grado) ha ritenuto l’Assessorato unico legittimato passivo con riferimento alla pretesa economica della NOME COGNOME, emerge dal chiaro tenore del ricorso che la notifica dello stesso all’Azienda Ospedaliera è stata fatta per mera ‘litis denuntatio’, senza che sia stata svolta alcuna domanda nei suoi confronti. Ne consegue che non può disporsi la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dall’Azienda Ospedaliera. Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 8491/2023) ha già statuito che sono irripetibili le spese sostenute dal controricorrente al quale sia stato notificato il ricorso al mero scopo di “litis denuntiatio”, non essendo questi contraddittore del ricorrente e rimanendo indifferente all’esito della lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la curatela ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal solo Assessorato, che liquida in € 13.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 11.4.2025