Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4272 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16054/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante in carica, domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti
– ricorrente –
contro
COMUNE DI SOTTO INDIRIZZO, in persona del Sindaco in carica, domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di BRESCIA n. 462/2022 depositata il 11/04/2022.
Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 3/12/2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I fatti ancora rilevanti in questa sede così risultano esposti dalla sentenza, della Corte d’appello di Brescia, n. 462 del 11/04/2022.
Nel 1990 il Comune di Sotto il Monte INDIRIZZO (in seguito Comune di Sotto il Monte) deliberò di prolungare il condotto fognario comunale lungo un percorso che attraversava la parte nord del mappale 962 (oggi 983) – nel quale era ed è collocato lo stabilimento della RAGIONE_SOCIALE, con attiguo terreno, in proprietà della stessa – e scendendo verso il torrente Buliga.
Su richiesta, con nota del 21/10/1991, del Sindaco del Comune, RAGIONE_SOCIALE autorizzò la relativa occupazione del proprio terreno, da parte dell’ente locale , per la durata dei lavori, chiedendo, quale condizione, che fosse redatto un verbale d’accertamento di eventuali danni a piante e frutti pendenti e la successiva costituzione di una servitù.
I lavori si svolsero in due fasi tra il 1992 e il 1995 ma la proposta del Comune di un accordo bonario per la costituzione di una servitù di passaggio del condotto, sul detto mappale, e per la corresponsione di un’indennità di lire mille al metro quadrato oltre ai danni al terreno, non venne accettata dalla RAGIONE_SOCIALE
Nell’anno 2015 la società RAGIONE_SOCIALE esperì un accertamento tecnico preventivo nei confronti del Comune di Sotto il Monte, dinanzi al Tribunale di Bergamo, al fine dell’accertamento dei danni , consistenti in indebolimento del sottosuolo, che assumeva essere stati provocati dal posizionamento del detto condotto fognario ed essersi manifestatisi , a decorrere dall’anno 2002, a causa delle precipitazioni atmosferiche, sotto forma di smottamenti.
All’esito del procedimento di accertamento tecnico preventivo la RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio il Comune al fine di ottenerne la condanna, da parte del Tribunale di Bergamo, a
eseguire tutte le opere necessarie e opportune per manutenere il condotto fognario e al fine di ottenere la determinazione dell’indennità annua che l’ente locale doveva versare.
Il Comune di Sotto il Monte resistette alla domanda, proponendo eccezione di prescrizione salvo, in corso di causa, affermare di essere in procinto di spostale l’impianto in altre località, ossia sulla diversa sponda del torrente Buliga.
Il Tribunale di Bergamo, acquisito il fascicolo dell’accertamento tecnico preventivo ed esperita consulenza tecnica di ufficio, rigettò la domanda.
Avverso la sentenza di primo grado propose appello la RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Brescia, nel ricostituito contraddittorio delle parti, ha, con sentenza n. 462 del 11/04/2022, rigettato l’impugnazione.
Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione, con atto affidato a sette motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Risponde con controricorso il Comune di Sotto il Monte.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
Entrambe le parti hanno depositato memoria in vista dell’odierna adunanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il controricorso del Comune di Sotto il Monte è tardivo, in quanto notificato e depositato nel corso dell’anno 2024, oltre il termine di legge, di cui all’art. 370, comma primo, c.p.c. decorrente dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, in quanto il testo della detta norma non risultava ancora inciso dalle modifiche di cui all’art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149 del 10/10/2022, applicabile ai ricorsi notificati dopo il 1/01/2023, che comportano il decorso del termine per il controricorso dalla notifica del ricorso.
Di ciò è consapevole la stessa difesa dell’ente locale, che in apertura dell’atto chiede che lo stesso sia comunque considerato
quale atto di costituzione, al fine dell’espletamento di ulteriori difese, quali il deposito, effettivamente poi compiuto, della memoria.
La richiesta non può essere accolta, atteso che (Cass. n. 23921 del 29/10/2020 Rv. 659281 – 02) l’inammissibilità del controricorso tardivo rende inammissibili anche le memorie depositate dalla parte intimata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in quanto, divenuta la regola la trattazione camerale e quella in udienza pubblica l’eccezione, deve trovare comunque applicazione la preclusione dell’art. 370 c.p.c., di cui la parte inosservante delle regole del rito non può che subire le conseguenze pregiudizievoli, salvo il parziale recupero delle difese orali nel caso in cui sia fissata udienza di discussione, con la conseguenza che venuta a mancare tale udienza alcuna attività difensiva è più consentita. La conclusione non muta, secondo il più recente orientamento di questa Corte, neppure nell’assetto normativo delineato dal d.lgs. n. 149 del 2022 (Cass. n. 2599 del 29/01/2024 Rv. 670229 – 01).
RAGIONE_SOCIALE propone i seguenti motivi di ricorso:
I) violazione dell’ art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione agli artt. 2043, 2051 c.c. e 40-41 c.p. nonché agli artt. 2697 c.c., 112, 115, 116 e 132 c.p.c., sulla ritenuta, dai giudici di merito, insussistenza del nesso causale, in quanto la Corte d’appello di Brescia, respingendo il secondo motivo d’appello proposto dalla società, ha confermato -seppur integrandone la motivazione la decisione del Tribunale che aveva già escluso la sussistenza del nesso causale tra le opere di posatura del condotto fognario e lo smottamento del terreno, sia sotto il profilo della mancanza della relativa prova, così come desumibile dalla due consulenze tecniche esperite, sia sotto il profilo dell’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 41 c.p. , in relazione alle cause concorrenti, umane e naturali e con particolare riferimento alla ritenuta errata insussistenza di un aggravamento della situazione di instabilità del terreno dovuta al posizionamento del condotto fognario.
II) violazione art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., in relazione all’art. 1069 , terzo comma, c.c. Secondo la ricorrente la sentenza impugnata, respingendo erroneamente il quarto motivo d’appello, ha illegittimamente escluso l’applicabilità della regola dettata dall’art. 1069 , terzo comma, c.c. in tema di ripartizione delle spese di manutenzione tra fondo servente e dominante, per la non ricorrenza, nel caso di specie, di una specifica servitù («che potrà essere costituita solo con le modalità indicate nella pronuncia del giudice amministrativo») e, comunqu e, per l’assenza di prova del «nesso causale tra la posa del condotto ed il presunto smottamento». Il motivo contesta la mancata applicazione, da parte dei giudici del merito, della regola di riparto delle spese di cui all’art. 1069 c.c., e ciò quantomeno in via analogica, risultando comunque imposta alla RAGIONE_SOCIALE una servitù di passaggio di condotto, le cui spese devono essere sopportate anche dall’ente locale che se ne avvantaggia . L’omesso esame concerne i fatt i dell’avvenuta costituzione della servitù, sebbene in forza di atto amministrativo illegittimo , la delibera dell’ente locale del 18/10/2021, impugnata dinanzi al giudice amministrativo e comunque l’imposizione di fatto della servitù. Le censure ribadiscono, inoltre, l ‘ errata applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. poiché nella specie, dovendosi ritenere applicabile il criterio di ripartizione delle spese di cui all’art. 1069 c.c. il principio di causalità di matrice penale risulta erroneamente richiamato.
III) violazione dell’ art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. poiché, secondo la ricorrente, la sentenza d’appello ha omesso di esaminare una serie di fatti decisivi, che pure erano stati oggetto di regolare allegazione e di discussione tra le parti, con ciò pervenendo a conclusioni errate, in ordine a plurimi motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, e segnatamente in ordine alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale di Brescia che ha accertato l’illegittimità dell’occupazione del terreno della RAGIONE_SOCIALE, alla
mancanza e comunque alla violazione del diniego delle autorizzazione idrauliche, alla necessità di rimozione del pontecanale in quanto manufatto già riconosciuto dalla Regione e dal Comune non adeguato, al certificato di regolare esecuzione dei lavori, già oggetto del sesto motivo d’appello, alla sopravvenuta rinuncia del Comune allo spostamento del collettore sull’ altra sponda del torrente.
IV) v iolazione dell’art. 360 , primo comma, n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c.: secondo la società ricorrente la sentenza gravata è affetta da nullità del procedimento e della sentenza, per violazione delle norme processuali dettate in materia di prova nonché di conseguente obbligo motivazionale della pronuncia finale, per l’immotiva ta (sia nelle ordinanze emesse in corso di causa, sia nella sentenza della Corte) omessa integrazione dell’istruttoria mediante aggiornamento e (o) rinnovazione delle consulenza tecnica di ufficio geologica e idraulica, più volte richieste dalla RAGIONE_SOCIALE, alla luce della documentazione e dei fatti sopravvenuti.
V) violazione dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione agli artt. 132 n. 4 e 115 c.p.c.: secondo la ricorrente la sentenza impugnata, con riferimento ancora una volta ai richiami ed alle interpretazioni delle relazioni di consulenza tecnica di ufficio disposte in sede di accertamento tecnico preventivo e di giudizio di merito, è altresì viziata da nullità in relazione all’art. 132 , secondo comma, n. 4 c.p.c., nonché da violazione e falsa applicazione della legge, per travisamento della prova, i n relazione all’art. 115 c.p.c.. La società RAGIONE_SOCIALE lamenta il mancato rilievo delle note critiche depositate dai propri consulenti e il travisamento della prova, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., specie con riferimento alle consulenze, sia idraulica che geologica.
VI) violazione dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione agli artt. 112 c.p.c. e 2051-1172 c.c.: la RAGIONE_SOCIALE afferma che la sentenza
di primo grado era stata censurata, con il primo motivo d’appello, anche per omessa pronuncia riguardo alle domande di risarcimento del danno da inquinamento ed erosione (per la presenza ed il rischio di sversamenti nel terreno attoreo, per l’effetto erosivo dell’intralcio al deflusso delle acque del ponte canale ed il rischio di esondazione, per il pericolo di frane e di erosione del piede della scarpata) e di condanna del Comune di S.M. all’esecuzione delle opere nece ssarie a rimuovere ogni danno e (o) pericolo di danno. Secondo RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello si limita a negare l’esistenza di percolamenti, citando alcuni passaggi della consulenza tecnica d’ufficio idraulica (e non altri), peraltro riferiti alle ipotesi di precipitazioni ‘normali’ e mai di eventi climatici più gravi e le condizioni di buona conservazione del ponte canale, senza menzionare il problema degli effetti erosivi delle alluvioni e omettendo qualsivoglia motivazione in ordine ai profili di danno temuto e al principio di precauzione.
VII) violazione dell’art. 360 , primo comma, nn. 1, 3, 4 e 5 c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., 1038 – 1053 c.c. e 42 bis d.P.R. 327 del 2001: secondo la ricorrente la sentenza gravata rigetta erroneamente anche il quinto motivo d’appello, relativo al mancato riconoscimento dell’indennità da occupazione, che il giudice di primo grado aveva respinto per intervenuta prescrizione. La ricorrente afferma l’errata interpretazione dell’originaria autorizzazione temporanea all’occupazione del terreno e la errata interpretazione, da parte della Corte territoriale, della sentenza del T.A.R. di Brescia n. 405/2021 che, secondo la ricorrente, ha definitivamente consacrato l’assoluta illegittimità ed abusività della realizzazione della conduttura e dell’occupazione del terreno, rispetto a cui eventuali (peraltro condizionate e parziali autorizzazioni della proprietà o mancate opposizioni successive) non hanno alcun rilievo.
Il primo motivo è inammissibile.
Le censure in esso compreso non pongono questioni di errata interpretazione delle norme di cui all’intestazione del motivo, limitandosi a prospettare e a chiedere una diversa lettura delle consulenze tecniche di ufficio, sia di quella effettuata nell’ambit o del procedimento di cui all’art. 696 c.p.c., il cui elaborato è stato comunque ritualmente acquisito dal Tribunale e fatto proprio dalla Corte d’appello, sia di quella espletata nel corso dell’istruttoria della causa in primo grado. In particolare la violazione delle norme del codice civile di cui al motivo non è prospettata assumendo e spiegando direttamente per quali ragioni ciascuna norma sarebbe stata violata, ma viene enunciata come conseguenza di una manifestazione di mero dissenso dalle valutazioni espresse dalla sentenza impugnata sulla ricostruzione della vicenda in fatto, come può agevolmente cogliersi da quanto esposto alla pagina 20, là dove viene evocata la consulenza tecnica di ufficio e alla fine della pagina 23 nonché alle prime quattro righe della pag. 24. Né può dirsi -al di là della mancata deduzione della c.d. falsa applicazione delle norme suddette e comunque procedendo alla verificazione di una qualificazione oggettiva in tal senso delle argomentazioni illustrative -che sia denunciato un c.d. vizio di sussunzione, cioè che si assuma l’error e di diritto per falsa applicazione da parte della sentenza impugnata con riferimento all’assunzione dei fatti così come essa li ha apprezzati.
Il motivo si risolve in una sollecitazione a questa Corte a rivalutare la quaestio facti , al di fuori di quel che è consentito dal vigente n. 5 dell’art. 360 , comma primo, c.p.c. ed anche del modo in cui, riguardo ad essa è denunciabile la violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4 c.p.c. (per l’uno e per l’altro aspetto si veda Sez. U nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014): in particolare, il vizio di violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. è dedotto sulla base di elementi aliunde rispetto alla motivazione).
Per completezza deve altresì ribadirsi che la violazione dell’art. 2697 c.c. non è dedotta secondo i criteri indicati a suo tempo dalla giurisprudenza di questa Corte (segnatamente Sez. U, n. 16598 del 05/08/2016 Rv. 640829 – 01, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, nonché, tra molte, da Cass. n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; nello stesso senso, sempre tra molte, Cass. n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01 e Cass. n. 18092 del 31/08/2020 Rv. 658840 -02).
Il secondo motivo è, al pari del primo, inammissibile. La delibera comunale della quale è lamentato l’omesso esame è intervenuta il 18/10/2021, ossia dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, in grado d’appello, cosicché la Corte territoriale del tutto legittimamente ne ha omesso l’esame, poiché anche la menzione di essa nelle comparse conclusionali sarebbe stata irrilevante. In ogni caso non ne è dedotta la decisività e, peraltro, ferma l’assorbenza di tale rilievo, che rende inammissibile la deduzione del n. 5 del l’art. 360, primo comma, c.p.c., trattandosi di una deliberazione di procedere a qualcosa, fino a che questo qualcosa non si è verificato non si comprende come lo si possa dare per rilevante.
Il c.d. travisamento della prova è evocato, nel motivo, con riferimento all’art. 115 c.p.c., senza rispettare ciò che ha affermato la giurisprudenza nomofilattica più recente di questa Corte (Sez. U n. 5792 del 05/03/2024 Rv. 670391 – 01).
Si deve, poi, aggiungere che nell’esposizione del secondo motivo non è censurata l’affermazione della Corte territoriale circa l’inapplicabilità nella specie del criterio di ripartizione delle spese ai sensi dell’art. 1069 c.c. «in assenza di una specifica servitù», mentre quanto si deduce nell’ultima proposizione della pag. 25 e nella pagina seguente (cioè: « Con il sesto motivo l’appellante si duole che il giudice abbia recepito la valutazione del CTU ing. COGNOME ove ha ritenuto la rispondenza del condotto fognario alle regole dell’arte nonché desunto la medesima circostanza dal certificato di regolare
esecuzione delle opere redatto dal direttore dei lavori arch. COGNOME Lamenta inoltre che non si sia dato corso al rinnovo o integrazione della CTU , sostenendo altresì l’erroneità delle valutazioni dell’ausiliario che ha previsto per il ponte -canale mere piccole manutenzioni anziché la completa rimozione, come prevista dal Servizio STER della Regione Lombardia nel doc. 7 di controparte »), ammesso che sia riferibile -nonostante non si evochi la motivazione del giudice d’appello alla motivazione della Corte territoriale in parte qua , nuovamente sollecita la rivalutazione della questione di fatto ed è, pertanto, inammissibile.
Il terzo motivo è inammissibile, poiché nel ricorso non sono riportati i punti salienti dell’atto di appello dai quali poter desumere che i fatti il cui esame sarebbe stato omesso erano stati portati adeguatamente e specificamente alla cognizione della Corte territoriale, così come richieste dalla giurisprudenza nomofilattica, oramai risalente, di questa Corte (Sez. U nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014) secondo la quale nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nella specie la sentenza d’appello risulta avere preso in esame i fatti rispetto ai quali è dedotto l’omesso esame con il terzo motivo di ricorso e comunque la motivazione appare adeguata al minimo costituzionale di cui pure alla richiamata giurisprudenza nomofilattica, posto che le questioni concernenti la sentenza del T.A.R. Brescia, il ponte canale e le
autorizzazioni idrauliche sono state affrontate direttamente ovvero mediante il richiamo della consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado, come risulta alle pagine 25 e 26 della motivazione.
Il quarto motivo è inammissibile per carenza di adeguata specificità e comunque limitandosi esso ad esprimere censure apodittiche di mero dissenso rispetto alla scelta della Corte d’appello di ritenere, con motivazione logica e ampia, adeguate le consulenze tecniche di ufficio espletate in sede di accertamento tecnico preventivo e nel giudizio di primo grado. La censura mossa con riferimento all’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. è riferita non alla sentenza in quanto tale, bensì ad elementi rivenienti dalla consulenza tecnica di ufficio e, quindi, non integra un vizio di nullità della sentenza. Il quarto motivo non esprime, in conclusione, una critica articolata, argomentata e ragionata alla sentenza d’appello, ma esprime un mero, inammissibile (Cass. n. 20553 del 19/07/2021 Rv. 661734 – 01), dissenso rispetto alle scelte del giudice di merito in punto di valutazione di adeguatezza ed idoneità del compendio probatorio.
Il quinto motivo è inammissibile: esso pone censure ai sensi dell’art. 115 c.p.c. in modo del tutto improprio, in quanto in concreto censura la valutazione del materiale istruttorio e contrasta, pertanto, con i limiti posti dalla giurisprudenza nomofilattica (a partire da Cass. n. 11892 del 2016; adde Sez. U n. 16598 del 2016 e, quindi, tra molte, Sez. U n. 20867 del 30/09/2020 Rv. 659037 – 02), secondo la quale per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza
di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.
Il sesto motivo pone ancora censure che integrano una prospettazione di mero dissenso dalla ricostruzione fattuale operata dalla Corte d’appello e d esso mira, in concreto, ad ottenere una diversa valutazione delle risultanze di fatto. Il motivo, inoltre, viola l’art. 366 , primo comma, n. 6 c.p.c. quanto alla dedotta violazione del l’art. 112 c.p.c., dato che nell’esposizione del motivo non si fornisce l’indicazione specifica del preteso motivo di appello oggetto di mancato esame e l’inizio del motivo contien e un riferimento del tutto generico, che non consente di individuare ciò di cui è dedotto l’omesso esame. Il motivo è, inoltre, inammissibile là contesta la motivazione della Corte territoriale quanto al richiamo alla consulenza tecnica di ufficio, segnatamente alle pagg. 17 e 18, poiché si limita a esprimere una semplice diversa valutazione sulla idoneità della motivazione, senza una critica argomentata in diritto.
Il settimo motivo il motivo presenta due censure.
La prima di esse concerne la motivazione sulla mancata opposizione della ricorrente ed è inammissibile, là dove denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nel modo errato, come già scritto con riferimento al quinto motivo di ricorso, sollecitando, in realtà, una rivalutazione dell’apprezzamento in fatto del giudice di merito ed evocando il travisamento in termini diversi da quelli indicati dalle Sez. U n. n. 5792 del 05/03/2024 (Rv. 670391 – 01). Riguardo alla seconda censura -quella mossa alla motivazione di cui alla prima proposizione della pag. 25 del seguente testuale tenore: « Quanto alla permanenza della situazione d’irregolarità, va c ondivisa la valutazione del giudice amministrativo che ha ritenuto la propria giurisdizione sul danno per occupazione senza titolo a decorrere dalla fine dei lavori e sino alla scelta, da parte dell’ente locale, se restituire il terreno ovvero costituire la servitù, indicando anche i parametri cui ancorare la predetta indennità e sempre nei limiti in cui non sia
maturata la prescrizione quinquennale. » – ritiene questa Corte che è incomprensibile l ‘ aspetto della censura , di cui al motivo all’esame, di diniego di giurisdizione, dato che la Corte territoriale si è limitata a condividere una valutazione del giudice amministrativo e il riferirla ad esso, dicendo che l’ha fatta ritenendo la propria giurisdizione non sembra in alcun modo sottintendere un diniego di giurisdizione da parte del giudice ordinario , ma solo la presa d’atto che il giudice amministrativo ha compiuto quella valutazione, che la Corte d’appello afferma di condividere.
Il settimo e ultimo motivo è, pertanto, infondato.
Il ricorso, in conclusione, è infondato e deve, pertanto essere rigettato.
La rilevata mancata rituale costituzione del Comune di Sotto il Monte, a causa della tardività del controricorso, comporta che nulla può essere allo stesso riconosciuto per l’attività processuale espletata.
Deve, nondimeno, attestarsi la sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 30/05/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di