Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2958 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2958 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18204/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata presso l’indirizzo indicato nella PEC , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
COMUNE DI L’AQUILA, elettivamente domiciliato in L’AQUILA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
SPA
TABLE
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA n. 31/2021 depositata il 11/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
NOME COGNOME, proprietario di una villa settecentesca ubicata nel C omune di L’Aquila, località Sant’INDIRIZZO, evocava in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE unitamente al Comune di L’Aquila per essere risarcito di tutti danni subiti in conseguenza dei lavori di demolizione eseguiti dalla convenuta per incarico del Comune di L’Aquila sul predetto fabbricato, quantificati in euro 855.000.
Si costituiva il Comune deducendo di avere operato in ottemperanza alle segnalazioni della Protezione civile al fine di tutelare l’incolumità pubblica, attesa la prossimità del fabbricato, già in buona parte distrutto dal sisma, alle aree di uso generalizzato. In ogni caso allegava l’esclusiva responsabilità della società che aveva eseguito i lavori e chiamava in garanzia il proprio assicuratore Allianz S.p.A. Si costituiva la società che aveva realizzato i lavori deducendo che una serie di beni di cui si chiedeva il risarcimento erano già stati oggetto di indennizzo riconosciuto dalla legislazione di emergenza. Contestava per il resto la fondatezza della domanda e chiedeva di chiamare in causa il proprio assicuratore, UnipolSai Assicurazioni S.p.A.
Si costituiva la compagnia RAGIONE_SOCIALE che eccepiva la nullità della chiamata in causa, la mancata comunicazione del sinistro, la esistenza di una franchigia e di un massimale.
Si costituivano anche la Presidenza del Consiglio dei ministri, cui fa capo la Protezione civile e il Sindaco, quale Ufficiale del Governo, che eccepiva il difetto di legittimazione passiva con riferimento la posizione del Sindaco che avrebbe agito nell’esercizio delle proprie attribuzioni e non come delegato della Presidenza.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE deducendo la inapplicabilità della garanzia assicurativa e l’esistenza di un limite annuale dell’ indennità di euro 52.000.
Il Tribunale di L’Aquila con sentenza dell’8 novembre 2016 accoglieva la domanda relativa alla mancata rimozione delle macerie condannando il Comune al pagamento della somma di euro 6.000, rigettava le altre domande dichiarando la nullità della chiamata di terzo da parte del Comune nei confronti della compagnia Allianz S.p.A. Provvedeva sulle spese.
Avverso tale decisione proponeva appello NOME COGNOME insistendo per la condanna in solido del Comune, del Sindaco, quale Ufficiale del Governo e della società RAGIONE_SOCIALE, in solido, al
risarcimento dei danni deducendo il reato di danneggiamento quanto alla demolizione di numerosi manufatti e chiedendo anche il risarcimento del danno biologico.
Si costituiva il Comune di L’Aquila chiedendo il rigetto dell’impugnazione e spiegando appello incidentale riguardo alla pronunzia di nullità della chiamata in causa della compagnia assicurativa Allianz chiedendo, in via subordinata, l’accertamento dell’ob bligo di questa di prestare la garanzia assicurativa e impugnando incidentalmente anche la condanna al pagamento di euro 6.000, con richiesta subordinata di attribuzione di ogni ipotetica responsabilità in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Si costituiva la società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE insistendo per l’inammissibilità dell’appello e, comunque, per il rigetto.
La Presidenza del Consiglio concludeva per il rigetto della impugnazione e, in caso di accoglimento dell’appello incidentale, per il rigetto delle pretese fatte valere nei suoi confronti.
RAGIONE_SOCIALE concludeva per il rigetto dell’appello incidentale e di quello principale.
UnipolSai RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rigetto della impugnazione e, in relazione alla chiamata di garanzia svolta dalla RAGIONE_SOCIALE l’affermazione dell’esistenza della franchigia e del limite del massimale.
La Corte d’appello dell’Aquila con sentenza dell’11 gennaio 2021 in parziale accoglimento dell’appello principale di NOME COGNOME e di quello incidentale del Comune di L’Aquila condannava quest’ultimo al pagamento della somma di euro 5 .000 oltre rivalutazione e interessi e la S.r.lRAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni in favore dell’appellante quantificati in euro 22.500 oltre rivalutazione e interessi. Condannava la compagnia Allianz S.p.A. a tenere indenne il Comune di quanto pagato nella misura eccedente la franchigia di euro 3.500. Condannava UnipolSai Assicurazioni S.p.A. a tenere indenne la S.r.l. I Platani di quanto dovuto in forza
della condanna, salva l’applicazione di una franchigia di euro 250 e di un massimale di euro 46.800. Provvedeva ad una articolata distribuzione della condanna alle spese di lite.
Avverso tale statuizione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a sei motivi. Resistono con separati controricorsi la RAGIONE_SOCIALE, il Comune dell’Aquila e RAGIONE_SOCIALE S.p.RAGIONE_SOCIALE Il ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE depositano memorie ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 2697 c.c. e 116 c.p.c. e 2043 c.c., con riferimento alla distribuzione dell’onere probatorio, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. Il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere non dimostrati i presupposti per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale della impresa appaltatrice, avendo erroneamente valutato le prove, anche documentali, descritte nel ricorso, avendo posto a fondamento della decisione atti provenienti da una parte del giudizio (Comune di L’Aquila).
Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 360, n. 5 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione costituito dal mancato rispetto della procedura di salvaguardia dei beni culturali.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c. per inversione del principio dell’onere della prova. Ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. il giudice di appello avrebbe violato le norme riguardanti la ripartizione dell’onere probatorio con riferimento alla determinazione dei danni. Con il quarto motivo si deduce la violazione l’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 1226 c.c. con riferimento alle parti della sentenza dal paragrafo 2.19 al paragrafo 2.24.
Con il quinto motivo si deduce la violazione delle disposizioni oggetto del quarto motivo con riferimento alla valutazione dei danni operata dal giudice di appello.
Con il sesto motivo si lamenta la violazione dell’articolo 91 c.p.c. con riferimento alla statuizione sulla liquidazione delle spese di lite deducendo che la Corte territoriale avrebbe liquidato le competenze in misura modesta. In particolare, il giudice di secondo grado avrebbe operato una doppia decurtazione, liquidando le spese di lite con riferimento allo scaglione relativo alla somma in concreto attribuita all’appellante, piuttosto che a quella oggetto della originaria domanda. In secondo luogo, avrebbe liquidato una ‘percentuale modestissima con riferimento al valore accertato’.
Nella esposizione sommaria dei fatti di causa il ricorrente, dapprima riporta in sintesi la trascrizione dello svolgimento del processo della sentenza di appello (pagina 2-4 del ricorso per cassazione), successivamente trascrive l’atto di appello che a sua volta contiene per intero l’atto di citazione (da pagina 5 a pagina 15 del ricorso). All’esito della trascrizione del dispositivo della sentenza di primo grado, il ricorrente riporta per intero i motivi di appello, l’istanza di sospensiva, la citazione a comparire e le conclusioni, occupando da pagina 16 a pagina 34 del ricorso per cassazione. Di seguito trascrive il dispositivo della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila (pagine 34-36 del ricorso) e, successivamente, i motivi del ricorso, inserendo l ‘ordinanza di demolizione per intero, pagina 37 -38, il provvedimento del sindaco del 26 maggio 2009, il provvedimento di urgenza, documento n. 6, il provvedimento del Soprintendente del 4 agosto 2009, a pagina 41-48, quello del Capo del Dipartimento della Protezione civile e, a partire da pagina 49, procede con l’esposizione dei motivi del ricorso per cassazione.
Il ricorso per come strutturato è inammissibile dovendosi richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di ricorsi ‘assemblati’ realizzati con una pluralità di documenti che
riproducono interamente all’interno del ricorso gli atti del giudizio di merito, senza alcun collegamento e rielaborazione sintetica dei contenuti, in violazione del principio di sinteticità del processo impedendo alla Corte di cogliere le problematiche della vicenda.
In ciò risiede la violazione dell’articolo 366, n. 6, poiché la Corte di legittimità per percepire lo svolgimento del fatto processuale di quello sostanziale deve procedere alla lettura degli atti e dei documenti riprodotti così come avviene nel caso di mero rinvio agli stessi, in difetto di una sintesi funzionale alla comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata.
Va applicato il principio secondo cui ‘il ricorso per cassazione redatto mediante la giustapposizione di una serie di documenti integralmente riprodotti è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, il quale postula che l’enunciazione dei motivi e delle relative argomentazioni sia espressa mediante un discorso linguistico organizzato in virtù di una concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi, sicché, senza escludere radicalmente che nel contesto dell’atto siano inseriti documenti finalizzati alla migliore comprensione del testo, non può essere demandato all’interprete di ricercare gli elementi rilevanti all’interno dei menzionati documenti, se del caso ricostruendo una connessione logica tra gli stessi, non esplicitamente afferma ta dalla parte’ (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 33353 del 30/11/2023, Rv. 669663 -01).
Anche a voler prescindere da ciò, i singoli motivi sono a loro volta inammissibili.
Il primo e secondo motivo possono essere valutati congiuntamente perché strettamente connessi attenendo alla valutazione del materiale probatorio.
Parte ricorrente solo apparentemente invoca le norme violate, senza dedurre la erronea ricognizione all’interno della sentenza impugnata della fattispecie astratta disciplinata dalle norme invocate. Al contrario, le censure si traducono in una critica alla valutazione del
materiale probatorio ed esulano dal vizio di violazione o interpretazione delle norme di legge, richiedendo al giudice di legittimità un sindacato riguardante un’attività, quella di valutazione delle prove, di esclusiva pertinenza del giudice di merito. Le censure poste a sostegno dei primi due motivi del ricorso non contengono la specifica indicazione delle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che motivatamente sarebbero in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità su tali disposizioni.
A ciò va aggiunto che non ricorre la violazione dell’articolo 116 c.p.c. che è configurabile solo nel caso in cui il giudice abbia applicato il libero apprezzamento con riferimento a una prova che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione oppure nel caso in cui si dichiari di applicare un parametro legale ad una prova, invece, liberamente apprezzabile. Fattispecie differenti rispetto a quelle prospettate dal ricorrente.
Quanto al secondo motivo, in particolare, non ricorre l’ipotesi di omesso esame di un fatto storico, ma si censura la mancata valutazione di un elemento istruttorio, fattispecie in quanto tale estranea all’ipotesi ex articolo 360, n. 5 c.p.c.
Le censure oggetto del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso possono essere trattate congiuntamente perché riguardano nuovamente il principio dell’onere della prova e la violazione delle medesime disposizioni oggetto delle precedenti censure, ma riferite alla quantificazione dei danni.
Anche in questo caso i motivi sono inammissibili poiché sotto l’apparente violazione di legge viene prospettata una censura al potere del giudice di merito di valutare le prove, non legali. Si tratta di un ambito sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato. In sostanza, i rilievi, anche con riferimento alla censura ex articolo 112 c.p.c. involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (Cass. n. 4653 del 22 febbraio 2021) riguardando
il merito della controversia poiché si censura il giudizio di idoneità del risultato della valutazione operata dal giudice di merito con riguardo al materiale probatorio.
Nel caso di specie la motivazione appare assolutamente congrua e fondata su un impianto argomentativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità, senza incorrere in alcuno dei vizi logici o giuridici rilevabili in sede di legittimità. Non ricorre neppure il vizio dedotto con riferimento alla prova per presunzione poiché la relativa censura, se fondata sul mancato rispetto dei parametri di deduzioni richiesti è inammissibile. Nel caso di specie il ricorrente non deduce il mancato rispetto del criterio della gravità, della precisione o della concordanza, ma prospetta una ricostruzione alternativa più favorevole.
Il sesto motivo è inammissibile poiché non è sindacabile la decisione del giudice di merito sulla concreta ripartizione tra le parti della compensazione parziale ove disposta legittimamente (Cass. n. 4588 del 19 febbraio 2021). Nel caso di specie la motivazione del giudice di appello è congrua poiché muove dal parziale accoglimento della domanda proposta dal COGNOME dando atto che a tale pronunzia debba conseguire il pagamento delle spese di giudizio in favore dell’attore con riferimento ad entrambi i gra di del procedimento.
La Corte d’appello, però, evidenzia che tale pronunzia sulle spese deve essere fortemente ridimensionata ‘data l’enorme sproporzione tra la somma richiesta dal medesimo appellante quella effettivamente riconosciuta’. Sulla base di tali considerazioni ‘si r itiene che una compensazione dell’80% sia congrua e che la condanna al pagamento del residuo 20% debba essere commisurata al valore della causa secondo il danno accertato e non il danno preteso’. La riferibilità della liquidazione degli onorari alla somma in concreto attribuita alla parte vincitrice, piuttosto che a quella domandata, trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità (cassazione, n. 26918 del 24 ottobre 2018).
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza in favore dei tre controricorrenti.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore di ciascun controricorrente in € 3000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte