Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24121 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24121 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25219-2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1335/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/08/2020 R.G.N. 339/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Contratto di agenzia
R.G.N. 25219/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/06/2024
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza (non definitiva) n. 545/2015 del Tribunale di Tivoli e la sentenza (definitiva) n. 932/2015 del medesimo Tribunale, e in parziale riforma di tali decisioni, respingeva le originarie domande proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di detta società; respingeva l’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE; respingeva, altresì, l’originaria domanda riconvenzionale avanzata dalla società.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva anzitutto che la ricorrente COGNOME, in primo grado, aveva chiesto, in via principale: la condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE (cui poi era subentrata la RAGIONE_SOCIALE) al pagamento di indicate somme, per il patto di non concorrenza post-contrattuale; per indennità di mancato preavviso ex art. 9 AEC settore industria; per indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c.; a titolo di risarcimento del danno, anche ex art. 1751 c.c.; a titolo di provvigioni sul fatturato da gennaio a maggio 2009; e per indennità fissa relativa all’attività di coordinamento svolta (da giugno a dicembre 2010); e aveva chiesto, in via subordinata: la condanna della stessa società al pagamento di indicate somme, per il patto di non concorrenza postcontrattuale, per indennità di mancato preavviso ex art. 9 AEC settore industria; per indennità di clientela ex art. 10 dello stesso AEC; per indennità meritocratica; per provvigione mensile minima; a titolo di provvigioni sul fatturato da gennaio a maggio 2009; per indennità fissa relativa all’attività di coordinamento; mentre la convenuta, oltre a contestare le avverse domande, aveva chiesto in riconvenzione la condanna
della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di € 26.752,96, corrisposta in costanza di rapporto di lavoro per il patto di non concorrenza violato dalla ricorrente, nonché al pagamento della somma di € 1.398,63.
2.1. La Corte territoriale dava, altresì, conto che il Tribunale, all’esito dell’istruttoria orale e documentale, con la prima sentenza non definitiva, aveva dichiarato l’illegittimità della risoluzione del rapporto di agenzia intimato dalla preponente (il legittimità dedotta dall’attrice), disponendo per la prosecuzione del giudizio al fine di espletare CTU contabile per determinare l’indennità prevista dagli artt. 1750 e 1751 c.c., in conformità all’art. 23.1. del contratto di agenzia, nonché l’indennità p er il patto di non concorrenza post-contrattuale previsto dall’art. 19.1. dello stesso contratto; e che, con la successiva sentenza definitiva, aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 72.732,79, in favore della ricorrente, oltre accessori dal dovuto al soddisfo.
2.2. La stessa Corte, dopo aver riferito il contenuto dei contrapposti gravami, circa la giusta causa di recesso, andando a riguardo in contrario avviso rispetto al primo giudice, considerava che, rappresentando il raggiungimento del fatturato minimo una delle obbligazioni principali oggetto del contratto di agenzia (richiamando a riguardo l’art. 12), non poteva negarsi che il relativo inadempimento assumeva rilevanza determinante ai fini della legittimità del recesso, perché l’importanza del raggiungimento degli obiettivi prefissati era già stata oggetto di preventiva valutazione negoziale, ai fini della prosecuzione del rapporto lavorativo, dal momento che il contratto di agenzia, all’art. 22, ha previsto una clausola risolutiva espressa in caso di inadempimento da parte di uno dei
contraenti delle obbligazioni assunte nell’ambito dell’accordo, circostanza che assumeva rilievo autonomo, indipendentemente dalla fondatezza o meno delle doglianze della preponente sulla dedotta scarsa collaborazione del ricorrente.
2.3. Osservava, allora, da un lato, che, dalla ritenuta sussistenza della causa di recesso derivava l’infondatezza dell’originaria domanda della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere l’indennità di mancato preavviso, e, dall’altro, che rimaneva assorbito il motivo relativo alle censure mosse avverso la quantificazione degli importi da parte del C.T.U.
2.4. Quanto all’indennità ex art. 1751 c.c., la Corte riteneva non condivisibile la conclusione del primo giudice che, pur avendo correttamente accertato la mancata prova in ordine ai requisiti richiesti dalla norma, aveva poi riconosciuto l’indennità, anziché in riferimento ai parametri indicati nella disposizione citata, nella minor misura prevista dagli AEC.
2.5. Aggiungeva che era fondata anche la doglianza dell’appellante principale sul difetto di motivazione da parte del Tribunale in merito all’intervenuta decadenza dal diritto; eccezione che la Corte giudicava meritevole di accoglimento, essendo trascorso il termine annuale dalla data di scioglimento del rapporto (4.6.2009), previsto dall’art. 1751 c.c. per la comunicazione della pretesa, avanzata solo con il ricorso del 12.7.2019 e non menzionata nell’istanza del 17.7.2009 ex art. 410 c.p.c.
2.6. Circa il patto di non concorrenza post-contrattuale, in base ad una serie di distinte considerazioni, da una parte, riteneva infondata la pretesa dell’agente circa la liquidazione del compenso relativo, e, dall’altra, riteneva che non poteva trovare
accoglimento la corrispettiva domanda riconvenzionale spiegata sul punto dalla società convenuta in primo grado.
2.7. La Corte territoriale, ancora, riteneva che non poteva trovare accoglimento la domanda avanzata dalla preponente, volta ad ottenere la restituzione di € 1.398,63, stante la genericità della stessa.
2.8. Infine, la Corte concludeva che, alla ritenuta legittimità della risoluzione del rapporto conseguiva il rigetto dell’appello incidentale con il quale la RAGIONE_SOCIALE lamentava che il primo giudice, nonostante le sentenze favorevoli alla ricorrente, aveva omesso di motivare in ordine alla domanda di condanna della società al risarcimento del danno, pari a € 16.350,00, parametrato sulla base della provvigione mensile minima dal giugno 2009 al dicembre 2010, sul presupposto di non aver più percepito la provvigione fissa mensile a seguito appunto della dedotta illegittima risoluzione del rapporto di lavoro.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 1751 c.c. e 12 del contratto di agenzia. Omesso e insufficiente esame delle risultanze istruttorie in ordine alla giusta causa di recesso’. La censura è riferita sia al ‘recesso intimato dalla mandante’ che ‘alla clausola risolutiva espressa’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1751 c.c. e 10 dell’Accordo Economico Collettivo settore Industria del 20 marzo 2002’. Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello, con una motivazione del tutto erronea e viziata, in punto di diritto, ha ritenuto di poter dare un’attuazione solamente parziale alle disposizioni degli AEC richiamati nel contratto di agenzia; e che, in difformità alle vigenti disposizioni, ha subordinato il diritto della ricorrente, a ricevere la corresponsione delle indennità di cessazione del rapporto, alla sussistenza dei requisiti indicati dall’art. 1751 c.c. poiché espressamente richiamati nel corpo del mandato; inoltre, la Corte, in maniera assolutamente fallace, ha ritenuto che il richiamo contrattuale agli AEC fosse, esclusivamente, riferibile alla determinazione dell’ammontare delle indennità e non ai requisiti giuridici da cui ne discerne il diritto.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. comma 5, con riferimento alla decadenza’. Secondo la ricorrente, la norma indicata in rubrica prevede espressamente la decadenza dell’agente dal diritto all’indennità di f ine rapporto se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto di agenzia, omette di comunicare al preponente l’intenzione di far valere i propri diritti; ma la norma, difformemente da come interpretata dalla Corte d’appello, non prescrive a caric o dell’agente il formalismo di richiedere ‘letteralmente’ alla preponente, nel termine di un anno dalla cessazione del rapporto, la voce specifica delle indennità di fine rapporto, bensì sancisce per il medesimo l’onere di comunicare alla mandante ‘l’intenzione di far valere i propri diritti’.
Con un quarto motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c. in relazione al patto di non
concorrenza’. Per la ricorrente, considerate le censure mosse dalla controparte alla sentenza di primo grado (volte ad ottenere la restituzione delle somme già corrisposte alla ricorrente in corso di rapporto), la Corte d’appello, in ossequio all’obbligo d i corrispondenza tra chiesto e pronunciato, enunciato dall’art. 112 c.p.c., avrebbe dovuto limitare i propri accertamenti e le proprie valutazioni all’eventuale violazione del patto di non concorrenza da parte della sig.ra COGNOME e all’eventuale corresponsione, in corso di rapporto, di somme per tale titolo. E, una volta accertato che non vi era stata alcuna violazione del predetto patto da parte della ricorrente e che non era stata fornita alcuna prova documentale circa il pagamento della menzionata indennità in costanza di rapporto, la Corte territoriale non avrebbe dovuto ampliare l’oggetto della domanda sino ad escludere il diritto della RAGIONE_SOCIALE a percepire l’indennità di cui all’art. 19.1. del contratto di agenzia.
Rispetto all’esame dei singoli motivi di ricorso, giova anzitutto ricordare che, secondo le Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (così Cass., sez. un., 8.11.2021, n. 32415).
5.1. Ebbene, nella specie sia nelle rubriche sopra riportate sia nello sviluppo delle quattro censure (pure testé riassunte) la ricorrente non riconduce espressamente le stesse a nessuno dei mezzi previsti dall’art. 360, comma primo, c.p.c.
Tanto preliminarmente rilevato, il primo motivo di ricorso è inammissibile per la parte in cui vi si deduce: ‘Omesso e insufficiente esame delle risultanze istruttorie in ordine alla giusta causa di recesso’.
La parte ricorrente, infatti, non si riferisce all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. e, comunque, non deduce l’ ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
6.1. Del resto, sempre secondo le Sezioni unite di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così Cass., sez. un., 27.12.2019, n. 34476).
Ora, come risulta evidente, dallo sviluppo del primo motivo, sia circa il ‘recesso intimato dalla mandante’ (cfr. pagg. 1419 del ricorso), sia ‘Sulla clausola risolutiva espressa’ (cfr. pagg. 22-23), la ricorrente, in effetti, o muove una critica all’a pprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito, ad essa riservato, oppure propone una propria rilettura delle risultanze processuali.
Il primo motivo è inammissibile anche per la parte in cui dovrebbe essere ricondotto all’ipotesi di violazione delle norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
8.1. Invero, la ricorrente deduce anche la violazione o falsa applicazione direttamente dell’art. 12 del contratto di agenzia,
ma nell’esposizione della censura si fa riferimento anche a diverse clausole dell’art. 22 del medesimo contratto individuale.
8.2. Trattasi, quindi, di clausole di un contratto non collettivo di cui non può essere dedotta la violazione o falsa applicazione ai sensi del n. 3) del comma primo dell’art. 360 c.p.c.
La ricorrente, inoltre, pur ponendo questioni d’interpretazione di tali clausole del contratto di agenzia, non deduce a riguardo la violazione dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
9.1. In questo caso la doglianza, pur in difetto d’indicazioni di parte, è da ricondurre all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., nella quale rientrano anche la ‘violazione o falsa applicazione di norme … dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro’.
9.2. Tuttavia, la dedotta violazione (anche) dell’art. ’10 dell’Accordo Economico Collettivo settore Industria del 20 marzo 2002′, nei termini esposti non è pertinente rispetto alla motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine all’indennità ex art. 1751 c.c. in una duplice chiave.
9.3. Più nello specifico, nei passaggi motivazionali che censura la ricorrente (cfr. pagg. 23-24 del ricorso), la Corte del distretto ha fondato la sua decisione sul punto (anche ma non soltanto) sul rilievo che: .
9.4. Orbene, in primo luogo, l’attuazione solamente parziale delle disposizioni degli AEC che la ricorrente imputa alla Corte d’appello non corrisponde assolutamente al testo della sentenza impugnata, che non ha applicato nemmeno in parte detti AEC circa l ‘indennità in questione (piuttosto, secondo la Corte territoriale, era stato il primo giudice a quantificare, omisso medio , detta indennità ‘nella minor misura prevista dagli AEC’, senza considerare che una precipua disposizione del contratto individuale d i agenzia faceva esplicito riferimento ‘ai presupposti normativi di cui all’art. 1751 c.c.’ (cfr. in extenso pag. 7 dell’impugnata sentenza).
9.5. In secondo luogo, la ricorrente non considera che la ratio decidendi della Corte di merito si fonda (anche) su una clausola del contratto di agenzia, di cui ora si pone in dubbio la portata (secondo la ricorrente, come si è visto, erroneamente la Corte avrebbe ritenuto che ‘il richiamo contrattuale agli AEC fosse, esclusivamente, riferibile alla determinazione dell’ammontare delle indennità e non ai requisiti giuridici da cui ne discerne il diritto’). Ancora una volta, però, la ricorrente non denuncia il preteso errore interpretativo con la necessaria intermediazione della deduzione della violazione dei canoni ermeneutici ex artt. 1362 e ss. c.c., circa una clausola del contratto d’agenzia, che peraltro non trascrive in ricorso, e di cui non riporta neanche per sintesi il contenuto.
In definitiva, il secondo motivo difetta dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione in violazione degli artt. 366, comma secondo, n. 4) e 6) e 369,
comma primo, n. 4), c.p.c. anche in termini di aderenza all’effettiva ratio decidendi della Corte di merito.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo, che attinge (non utilmente) una seconda ed autonoma ratio decidendi della sentenza gravata (sempre sul diritto dell’agente all’indennità ex art. 1751 c.c.).
In proposito, giova ricordare che, in tema di subagenzia, la richiesta, anche parziale, dell’indennità di cessazione del rapporto entro il termine annuale di cui all’art. 1751, comma 5, c.c., in qualunque modo effettuata, purché con specificazione del titolo, impedisce qualsiasi decadenza, consentendo all’agente di chiedere un’integrazione senza essere assoggettato al termine medesimo (così Cass., sez. II, 18.2.2022, n. 22535).
A sua volta, questa Sezione ha affermato che, in tema di decadenza, al fine di garantire le elementari esigenze di certezza dei rapporti giuridici è necessario che l’adempimento idoneo ad evitarla si esplichi in relazione ad una pretesa determinata, indivi duata mediante l’indicazione del titolo posto a fondamento della tutela invocata, che costituisce imprescindibile elemento distintivo della pretesa (in tal senso Cass., sez. lav., 14.2.2017, n. 3851).
12.1. Ebbene, rispetto a tali principi le deduzioni attuali della ricorrente, nel sostenere di aver impedito la decadenza (cfr. in particolare pagg. 28-29 del ricorso), si fondano su una diversa lettura dei medesimi atti considerati dalla Corte territorial e per concludere che la specifica ‘pretesa’ circa l’indennità ex art. 1751 c.c. non era ‘menzionata nell’istanza del
17.6.09, ex art. 410 cpc.’ (cfr. § D) a pag. 7 dell’impugnata sentenza).
12.2. Infatti, la valutazione se un determinato atto, nella specie scritto, sul piano letterale e contenutistico sia idoneo ad impedire la decadenza sotto il profilo della specificazione del titolo del diritto è senz’altro riservata al giudice di merito, e del resto pure su questo profilo la ricorrente non denuncia l’inosservanza di alcun canone ermeneutico o anomalie motivazionali nei ristretti limiti in cui attualmente possono essere dedotte in sede di legittimità.
E’ infine inammissibile anche il quarto motivo.
In primo luogo, oltre a non essere indicato il mezzo di ricorso azionato, la ricorrente non deduce comunque la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c. per l’ultrapetizione che profila.
Inoltre, anche questa censura difetta dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione perché la ricorrente non vi trascrive le censure della controparte in grado d’appello che, a suo dire, sarebbe state ‘travalicate’ dalla Corte di merito.
Infine, anche in questa censura è proposta una rilettura di talune risultanze processuali (cfr. pag. 33 del ricorso).
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 6.000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 12.6.2024.