Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12846 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6451/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, c.f. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, società di diritto indiano, con sede in INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 3393/2018 della Corte d’appello di Milano pubblicata il 13-7-2018, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24-4-
2024 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: vizi della cosa compravenduta
R.G. 6451/2019
C.C. 24-4-2024
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE, società di diritto indiano, ha convenuto avanti il Tribunale di Busto Arsizio RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la dichiarazione di risoluzione ex art. 1492 cod. civ. del contratto di compravendita in forza del quale aveva acquistato la macchina d a taglio ‘TARGA_VEICOLO‘; ha lamentato che la macchina si era rivelata inidonea all’uso promesso, in quanto non era in grado di procedere alle lavorazioni con la velocità concordata, nonostante gli interventi eseguiti dalla venditrice per tentare di risolvere il problema; ha chiesto la restituzione del prezzo pagato di Euro 120.000,00 e il risarcimento dei danni subiti.
Si è costituita RAGIONE_SOCIALE contestando la domanda e chiedendo in via riconvenzionale il pagamento di Euro 36.874,73 a titolo di spese per le trasferte eseguite all’estero.
Il Tribunale di Busto Arsizio con sentenza n. 2197/2015 ha rigettato tutte le domande, compensando le spese di lite.
2.NOME COGNOME ha proposto appello avverso la sentenza, che la Corte d’appello di Milano ha parzialmente accolto con sentenza n. 3393/2018 pubblicata il 13-7-2018; la sentenza ha dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento della venditrice RAGIONE_SOCIALE e ha condannato la venditrice a restituire il prezzo di Euro 120.000,00 con interessi commerciali dall’esborso al saldo, nonché alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
3.RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 24-4-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo è intitolato ‘omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti , ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dell’art. 1492 comma 3 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’. La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia considerato che la venditrice aveva eseguito a più riprese test sul posto, per porre rimedio non a vizi del macchinario ma a malfunzionamenti provocati da utilizzo non corretto da parte dell’acquirente; specificamente la ricorrente evidenzia di avere prodotto la copiosa corrispondenza intercorsa tra le parti e lamenta che la sentenza non abbia considerato il report di NOME COGNOME di cui al suo doc.8, che non era stato contestato nel contenuto dalla controparte e che aveva dato conto puntualmente del nesso causale tra le errate predisposizioni tecniche dell’acquirente e i disservizi occorsi al macchinario. Quindi sostiene che la sentenza non abbia preso in considerazione la condotta di NOME, negligente e non rispettosa delle direttive tecniche al punto da rendere inutilizzabile il macchinario; rileva perciò che si sarebbe dovuto applicare l’art. 1492 co.3 cod. civ. , a causa del perimento della cosa non in conseguenza dei suoi vizi ma per colpa imputabile al compratore.
2.Con il secondo motivo , intitolato ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1495 commi 1 e 3 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sia errata anche per non avere considerato che le dichiarazioni della venditrice di disponibilità alla restituzione del prezzo e al risarcimento del danno non potevano costituire riconoscimento di debito tale da non fare soggiacere l’acquirente al termine di otto giorni
per la denuncia dei vizi e al termine di prescrizione di un anno per l’esercizio dell’azione . Dichiara che la ricostruzione dei fatti eseguita dalla ricorrente ed erroneamente non recepita dalla sentenza impugnata portava a ritenere che non vi era mai stata una inequivocabile manifestazione di volontà riparatoria da parte della venditrice, perché le tardive eccezioni e contestazioni della società RAGIONE_SOCIALE erano sempre state debitamente e tempestivamente contestate; quindi sostiene che la sentenza avrebbe dovuto rilevare che l’acquirente non aveva denunciato i presunti vizi entro otto giorni dalla scoperta e non aveva agito in giudizio entro un anno dalla consegna del bene.
3.Il terzo motivo è intitolato ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 1387 e 1388 c.c. in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.’ e con esso la ricorrente lamenta che la sentenza abbia ritenuto attribuibile alla società venditrice la dichiarazione del 30-NUMERO_DOCUMENTO su carta intestata di RAGIONE_SOCIALE e firmata dall’AVV_NOTAIO COGNOME, con la quale venivano promessi interventi risolutori. Evidenzia che già un anno prima, il 20-11-2009 NOME COGNOME aveva cessato dalla carica di amministratore ed era stato sostituito dal figlio NOME COGNOME; rileva che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare la circostanza e ritenere la carenza di potere rappresentativo della società venditrice in capo a NOME COGNOME. Aggiunge che la precedente dichiarazione del 16-6-2009, resa da NOME COGNOME in periodo nel quale era ancora legale rappresentante della società, doveva essere letta nel contesto dello scambio di corrispondenza intercorso tra le parti e non costituiva riconoscimento di debito.
4.I tre motivi, esaminati congiuntamente stante la stretta connessione, sono infondati per le ragioni di seguito esposte.
4.1. In linea generale, l’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. nella formulazione attuale prevede il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, quando il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, anche se la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01, Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01).
Inoltre , per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione con la disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggiore forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre prove, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 30-9-2020 n.20867 Rv. 659037-01). A sua volta, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo se si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativasecondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, il valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il
suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile ai sensi dell’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ., solo nei limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U 30-9-2020 n. 20867 Rv. 65903702).
Nella fattispecie le deduzioni svolte dalla ricorrente non individuano nella sentenza alcuna delle violazioni sopraindicate.
4.2.La sentenza (punto 4.2) ha ricostruito i rapporti intercorsi tra le parti e ha considerato provato che già con mail 2-4-2009 e poi con mail 21-52009 l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per conto di RAGIONE_SOCIALE aveva promesso che la venditrice avrebbe fatto di tutto il possibile per rendere utilizzabile il macchinario, con invio dei propri tecnici in India; ha considerato che all’esito di tali interventi, rimasti senza successo, l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, all’epoca amministratore della società, il 16 -62009 aveva s tilato un report dell’attività svolta, dando atto che le parti avevano concordato di fare funzionare il macchinario entro i successivi quindici-venti giorni, eseguendo determinate modifiche, aggiungendo che, in caso di esito ulteriormente negativo del tentativo, la venditrice avrebbe restituito il prezzo e risarcito i danni; ha considerato che tale impegno era stato confermato dalla venditrice con la comunicazione del NUMERO_DOCUMENTO a firma dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e con altra missiva del 24-2-2010 con la quale veniva chiesta la concessione di un rinvio per le riparazioni e sospensioni necessarie, poi non avvenute; ha altresì considerato che con dichiarazione del 30-9-2010 NOME COGNOME ancora una volta aveva promesso interventi risolutori, ribadendo che ‘se non riusciremo a fare funzionare la macchina con successo siamo pronti a restituire l’intero prezzo’. Sulla base di questi dati la sentenza ha concluso che la venditrice aveva riconosciuto i vizi lamentati dalla compratrice, mai rimediati nonostante le ripetute promesse, per cui ha
dichiarato che sussistevano i presupposti per la risoluzione del contratto, in quanto il macchinario non era in grado di compiere le lavorazioni per le quali era stato acquistato.
Quindi, diversamente da quanto sostenuto con il primo e con il secondo motivo, la Corte d’appello ha preso in esame la corrispondenza intercorsa tra le parti e, proprio dalle missive provenienti dalla società venditrice, il cui contenuto ha valutato secondo il suo prudente apprezzamento, nel rispetto delle previsioni dell’art. 115 e 116 cod. proc. civ., ha individuato quelle alle quali ha attribuito il contenuto di riconoscimento dell’esistenza dei vizi del macchinario. Non sussiste il vizio ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. neppure con riguardo al report del dipendente COGNOME, trattandosi di risultanza probatoria che evidentemente la Corte ha ritenuto non rilevante, a fronte del già accertato riconoscimento dei vizi. La ricorrente si duole del fatto che la sentenza abbia accertato l ‘avvenuto riconoscimento dei vizi invece che accertare il fatto che i malfunzionamenti erano dovuti alla condotta imperita dell’acquirente , ma è evidente che nel ragionamento svolto della Corte d’appello i vizi sono stati riconosciuti dalla venditrice in quanto propri del macchinario e non ascrivibili ad altre cause; in mancanza nella decisione di qualsiasi vizio logico o giuridico, le deduzioni della ricorrente si risolvono nel tentativo di ottenere una rivalutazione del materiale probatorio, in quanto tale non ammissibile nel giudizio di legittimità.
Non colgono nel segno neppure le critiche svolte nel terzo motivo con riguardo alla dichiarazione resa da NOME COGNOME il 30-9-2010. La sentenza ha evidenziato che vi erano stati riconoscimenti dei vizi da parte di NOME COGNOME già nel periodo precedente a quella data, allorché egli era ancora amministratore della società; ha aggiunto che anche successivamente NOME COGNOME aveva proseguito, quanto meno di fatto, a intrattenere rapporti per la società, anche
utilizzandone la carta intestata, per cui le dichiarazioni da lui rilasciate producevano effetto per la società medesima. Quindi, secondo la ricostruzione in fatto della Corte d’appell o, vi era stata una serie successiva di riconoscimenti dei vizi e, anche quella eseguita da NOME COGNOME allorché non era più amministratore della società, era stata eseguita da soggetto che aveva il potere di rappresentarla. Anche sul punto le deduzioni della ricorrente si risolvono nel tentativo di ottenere una diversa lettura delle risultanze probatorie al fine di giungere alla ricostruzione de ll’accaduto favorevole alla sua tesi, in termini non consentiti nel giudizio di legittimità.
4.3.Posto che l’accertamento dei fatti resiste alle critiche della ricorrente, non si pone questione di violazione e falsa applicazione delle disposizioni sostanziali indicate nei motivi, prospettate soltanto sulla base della diversa ricognizione della fattispecie concreta proposta dalla ricorrente, irrilevante in questa sede in quanto non recepita dalla sentenza impugnata.
Non sussiste la violazione dell’art. 1492 ult. co. cod. civ., perché la Corte territoriale non ha ritenuto una qualche colpa del compratore.
Non sussiste violazione delle disposizioni sulla decadenza e sulla prescrizione dell’azione di garanzia nella compravendita perché la sentenza impugnata, a fronte dell’accertamento sull’avvenuto riconoscimento dei vizi, ha espressamente richiamato e applicato il principio secondo il quale, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, il riconoscimento da parte del venditore dell’esistenza del vizio esclude la necessità della denuncia da parte del compratore (Cass. Sez. 2 25-7-2013 n. 18050 Rv. 627297-01, per tutte).
Invece, la questione della prescrizione dell’azione è prospettata dalla ricorrente in modo inammissibile in quanto, a fronte del dato che la sentenza impugnata non la esamina in alcun modo, la ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare nel ricorso, al fine del rispetto
della previsione dell’art. 366 co.1 n. 6 cod. proc. civ., in quali atti e in quali termini avesse sollevato la questione della prescrizione (cfr. Cass. Sez. 2 9-8-2018 n. 20694 Rv. 650009-01, Cass. Sez. 6-1 13-6-2018 n. 15430 Rv. 649332-01).
Non sussiste violazione delle disposizioni sulla rappresentanza, perché la sentenza ha accertato in fatto che NOME COGNOME aveva poteri di rappresentanza della società anche nel periodo successivo alla nomina di altro amministratore.
5.Con il quinto motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’ , la ricorrente lamenta che la Corte d’appello, nel riformare integralmente la sentenza di primo grado, non abbia recepito la conclusione del primo giudice secondo la quale la società acquirente nella prima memoria ex art. 183 co. 6 cod. proc. civ. aveva invocato accordo novativo della precedente obbligazione, così eseguendo non una emendatio libelli consentita, ma una mutatio vietata ; dichiara che la Corte d’appello erroneamente non si è neppure pronunciata sul punto, probabilmente ritenendo la questione assorbita, nonostante la venditrice avesse regolarmente riproposto l’eccezione nella comparsa di risposta.
5.1.Il motivo è inammissibile.
La stessa ricorrente riconosce che la sentenza impugnata non ha esaminato la questione della mutatio libelli ritenuta dal giudice di primo grado in quanto l’ha dichiarata assorbita. Infatti la Corte d’appello, come già esposto, ha accertato in fatto l’avvenuto riconoscimento de i vizi da parte della venditrice, sulla base di questo dato ha dichiarato che vi erano i presupposti della risoluzione del contratto in quanto il macchinario non era in grado di compiere le lavorazioni per le quali era stato acquistato; di seguito (punto 4.5) ha espressamente richiamato e applicato il principio secondo il quale l’impegno del venditore di
eliminare i vizi non dava luogo a una obbligazione sostitutiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consentiva all’acquirente di non soggiacere ai termini di decadenza e alle condizioni di cui all’art. 1495 cod. civ. In questo modo, con pronuncia non oggetto di censure ammissibili in sede di legittimità, la sentenza ha dichiarato che non vi era stata modificazione del titolo della domanda di garanzia, per cui non aveva ragione di pronunciarsi sull’illegittimità di una mutatio libelli della quale aveva escluso l’esistenza.
6.Con il sesto motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1493 comma 2 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, dichiarando la risoluzione del contratto, abbiano ignorato la previsione dell’art. 1493 co.2 cod. civ. relativa all’obbligo del compratore di restituire la cosa, quale effetto automatico che consegue ex lege alla risoluzione.
6.1.Il motivo è infondato.
La ricorrente, sostenendo che l’effetto restitutorio sia automatico, riconosce di non avere proposto domanda di restituzione del bene venduto (che, in effetti, se fosse stata proposta, gli avrebbe consentito di censurare la sentenza per omessa pronuncia).
In mancanza di espressa domanda della parte interessata, la Corte d’appello non poteva pronunciare la condanna alla restituzione del bene, in quanto l’effetto restitutorio non è automatico. E’ già stato posto il principio secondo il quale la risoluzione del contratto, pur comportando, per l’effetto retroattivo sancito dall’art. 1 458 cod. civ., l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice a emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo o meno la restituzione della prestazione rimasta senza causa (Cass. Sez. 3 29-12013 n. 2075 Rv. 624949-01, Cass. Sez. 2 26-4-2021 n. 10917 Rv.
661091-01). Lo stesso principio evidentemente vale anche nel caso di risoluzione del contratto di compravendita , in quanto l’art. 1493 cod. civ., nel prevedere che il compratore debba restituire la cosa, non deroga alla necessità della proposizione della relativa domanda di restituzione della prestazione rimasta senza causa.
7.In conclusione il ricorso è interamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso delle spese generali, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione