Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20202 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20202 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24355/2023 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
STEM SOLUZIONI TECNOLOGICHE E MULTISERVIZI DI NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO. DIG. presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 1907/2023 depositata il 28/09/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Padova a favore di RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME per il pagamento dell’importo di € . 9.189,40 a titolo di saldo dei lavori di ristrutturazione di un appartamento sito in Padova eseguiti dalla ditta citata presso l’abitazione dell’opponente.
A sostegno dell’opposizione, COGNOME rilevava che il preventivo di spesa datato 10.10.2014, accettato dal committente, indicava una somma omnicomprensiva anche dell’IVA; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’opposta al pagamento di € . 17.481,15 a titolo di risarcimento, di cui € . 11.831,15 per vizi riscontrati e dall’opposto mai eliminati, ed € . 5.650,00 per la ritardata esecuzione dei lavori, posto che i tempi della ristrutturazione si erano dilatati fino all’ottobre 2015.
Il Tribunale di Padova, esperita consulenza tecnica, revocava il decreto ingiuntivo; determinava in € . 5.634,00 l’importo dovuto a favore del COGNOME da compensarsi parzialmente con l’importo di € . 9.790,00 dovuto a favore del COGNOME a titolo di risarcimento danni, con un residuo credito di quest’ultimo pari a € . 4.156,00.
NOME COGNOME impugnava la pronuncia di primo grado innanzi alla Corte d’Appello di Venezia che, in accoglimento di uno dei tre motivi di gravame, con sentenza n. 1907/2023 condannava NOME COGNOME a corrispondere all’appaltatore la residua somma di € . 5.634,00 più IVA, oltre interessi moratori ex d.lgs. n. 231 del 2002; in parziale accoglimento dell’appello incidentale condannava RAGIONE_SOCIALE a corrispondere all’appellato la somma di € .
250,00 a titolo di risarcimento per i lavori di ripristino dei vizi tempestivamente denunciati nonché accertati dal CTU, maggiorata di interessi legali; compensava per 1/5 le spese di entrambi i gradi di giudizio e condannava NOME COGNOME alla rifusione del restante, ponendo sempre a carico di quest’ultimo le spese di CTU.
Per la Cassazione della suddetta sentenza ricorreva presso questa Corte NOME COGNOME, affidando il ricorso a tre motivi.
Resisteva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione di legge degli artt. 24 e 111 Costituzione e degli artt. 115, 187 e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ., per mancata ammissione delle prove testimoniali richieste nel giudizio di primo grado e reiterate in quello di secondo grado e mancata motivazione della non ammissione, su fatti decisivi per l’accoglimento dell’appello incidentale ossia sul danno da ritardata locazione dell’immobile e sull’avverso riconoscimento dei vizi per la mancata o non corretta esecuzione dei lavori (presenza di muffa, tinteggiatura, verniciatura, mal posizionamento dei serramenti), pure rilevati e quantificati dalla CTU. Più precisamente, il mezzo di gravame lamenta che detti danni potevano essere dimostrati dalla prova testimoniale per la quale la difesa aveva formulato ben 15 capitoli di prova, né la Corte territoriale ha motivato la mancata ammissione dei mezzi istruttori.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello ha adeguatamente e congruamente motivato l’interpretazione delle risultanze probatorie disponibili , ponendo a
fondamento della sua decisione l’assenza di adeguata produzione documentale idonea a dimostrare che il procrastinarsi dei lavori, come anche la loro mancata o non corretta esecuzione, abbia effettivamente cagionato un danno all’opponente per ritardata consegna . Tanto basta ad escludere l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia tale da consentire al giudice di legittimità il sindacato sull’omessa ammissione della prova testimoniale (come, appunto, richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte citata nel mezzo di gravame: Cass., n. 16433 del 2021).
Del resto, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito non solo l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, ma anche la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione ( ex multis , Cass. n. 8718 del 27/04/2005).
Vizio che, per le ragioni sopra esposte, non può dirsi imputabile alla pronuncia impugnata.
In definitiva, la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito,
tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione di legge con riferimento all’art. 1667 cod. civ. e con riferimento agli artt. 115 e 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ., ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il rigetto dell’appello principale e per l’accoglimento dell’appello incidentale, ossia omessa valutazione del riconoscimento dei vizi per facta concludentia ed omessa valutazione della non contestazione della circostanza. Il ricorrente lamenta il fatto che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare il riconoscimento da parte del COGNOME dell’esistenza dei vizi nell’ottobre 2016, dopo un anno dal termine dei lavori, erroneamente qualificati dalla Corte d’Appello come nuovi interventi. Infatti, come documentato in atti, il COGNOME ritirava nuovamente le chiavi dell’immobile per procedere alla loro eliminazione (mai effettivamente eseguita): il ritiro delle chiavi configura, appunto, il riconoscimento dei vizi delle opere per facta concludentia , non rendendo nemmeno necessaria la loro denuncia ex art. 1667, comma 2, cod. civ.; né la circostanza della ripresa delle chiavi per sistemare le opere è mai stata contestata da controparte negli atti di causa, ovvero nelle osservazioni della perizia.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto difetta di specificità, ex art. 366, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Nel mezzo di gravame non si dice quali vizi sarebbero stati lamentati dal committente e a quali riparazioni si sarebbe obbligato l’appaltatore senza, tuttavia, intervenire. L’accertato e non contestato ritiro delle chiavi dell’appartamento nell’ottobre 2016 non poteva condurre il giudice d’appello a dedurne l’ammissione di vizi non precisati, potendo trattarsi di un semplice sopralluogo (come del resto indicato proprio nel capitolo di prova al n.
9), non essendovi equivalenza concettuale tra fatto non contestato (ritiro delle chiavi dell’appartamento) e fatto provato (ammissione della sussistenza di vizi), il primo essendo un a priori rispetto al secondo, che costituisce la risultante eventuale dell’istruzione probatoria (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 8969 del 2015). Il giudice deve in ogni caso sottoporre a controllo il fatto non contestato: ed infatti la stessa Corte territoriale, al di là del problema della denuncia, non ha ritenuto dimostrata la sussistenza delle ulteriori voci di danno lamentate (v. sentenza p. 13, 1° capoverso).
Con il terzo motivo si deduce violazione di legge sulla regolamentazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, con riferimento agli artt. 91-92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. In tesi, la soccombenza reciproca delle parti avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a compensare le spese di lite tra le parti, soprattutto in considerazione del fatto che la Corte d’Appello ha accolto solo uno un motivo dell’appello principale del COGNOME rispetto ai tre presentati.
3.1. Il terzo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 cod. proc. civ. dalla l. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa (in termini, da ultimo: Cass. Sez. U, n. 32061 del 2022), spettando, quindi, al giudice del merito valutare la misura della compensazione . E’ stato anche affermato che, pur senza ricorrere alla nozione di soccombenza reciproca, è possibile configurare la compensazione disposta dal giudice di merito in caso di accoglimento parziale come espressione del potere di compensazione per giusti motivi, senza che questa Corte possa valutare la legittimità
del ricorso alla compensazione delle spese, essa unicamente vigilando sull’impossibilità di procedere alla condanna alle spese nei confronti del soggetto totalmente vincitore della lite (di recente, Sez. L, Ordinanza n. 1325 del 2023; Cass. n. 17291 del 2021; in precedenza Cass. n. 2653 del 1994 e Cass. n. 22381 del 2009).
4. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in € . 3.000,00 per compensi, oltre ad € . 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione