Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4391 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4391 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12450/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in CAGLIARI INDIRIZZODOM. DIGITALE), presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in CAGLIARI INDIRIZZODOM. DIGITALE), presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
FALLIMENTO CASA DI RAGIONE_SOCIALE -intimato-
avverso DECRETO del TRIBUNALE di CAGLIARI n. 4941/2019 depositata il 25/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME ha chiesto l’ammissione allo stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 285.800,00, oltre IVA e CP in prededuzione , di cui € 178.800,00 a titolo di residuo compenso per la predisposizione del piano e della proposta concordataria della società fallita del 18 gennaio 2018 ed € 107.000,00 per ulteriori crediti professionali, oltre accessori. Come risulta dal decreto impugnato, una prima domanda di concordato preventivo era stata ammessa dal Tribunale di Cagliari, concordato poi revocato ex art. 173 l. fall., con contestuale dichiarazione di fallimento. In quel fallimento, l’originario credito di € 35 8.000,00 era stato ammesso allo stato passivo per il minor importo di € 175.000,00 in prededuzione e ivi soddisfatto. Revocata la sentenza dichiarativa di fallimento e tornata in bonis la società, previo abbandono della originaria proposta di concordato, la società è stata nuovamente dichiarata fallita.
Il giudice delegato ha rigettato la domanda, ritenendo che il creditore non avesse fornito la prova di un accordo sulla determinazione del compenso. Il giudice delegato ha, poi, ritenuto che la documentazione prodotta dal creditore opponente, ascrivibile a riconoscimento di debito dell’amministratore della società fallita, è inopponibile alla massa dei creditori.
Il Tribunale di Cagliari ha rigettato l’opposizione allo stato passivo, confermando il decreto opposto. Per quanto qui rileva, il giudice dell’opposizione ha ritenuto sprovvisto di prova il dedotto previo accordo tra le parti ai fini della determinazione del compenso,
non essendo la lettera inviata dal creditore alla società equiparabile a una proposta, rispetto al quale documento la risposta della società trasmessa in data 18 gennaio 2008 non avrebbe potuto costituirne accettazione. La prova dell’ accordo tra le parti sulla determinazione del compenso è poi stata esclusa anche tenuto conto del fatto che lo scambio epistolare era intervenuto a prestazione già conclusa.
Il Tribunale ha, inoltre, osservato che la società si era impegnata, tramite il proprio amministratore, a riconoscere, con comunicazione trasmessa in data 18 gennaio 2008, il proprio debito nei confronti del professionista; ha, tuttavia, concluso il Tribunale che tale riconoscimento fosse inopponibile alla massa dei creditori, attesa la terzietà del curatore. Per l’effetto, il tribunale ha ritenuto che il credito fosse da quantificare secondo le tariffe professionali, come aveva fatto il giudice delegato, atteso che -non avendo il creditore prodotto domanda di concordato e piano – non vi fossero ulteriori elementi per determinare diversamente la prestazione resa.
Propone ricorso per cassazione il creditore, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso il fallimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1324, 1326, 1346, 1362 e 2233 cod. civ., nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova della pattuizione contrattuale del compenso e, in particolare, nella parte in cui si è ritenuto che la missiva del ricorrente in data 10 gennaio 2008 non integrasse proposta contrattuale. Osserva parte ricorrente che il contratto tra ricorrente e società debitrice sarebbe stato stipulato oralmente al momento del conferimento dell’incarico e concluso « ben prima del 10 gennaio 2008 »; la lettera del 10
gennaio sarebbe, pertanto, equiparabile a una proposta contrattuale integrativa del contratto già concluso oralmente e di conseguenza la risposta della società dovrebbe intendersi quale accettazione della proposta e incontro negoziale di reciproche volontà. Il ricorrente deduce, ulteriormente, che la prestazione non potesse considerarsi compiuta al momento della accettazione della proposta, dovendosi considerare anche le successive attività da svolgere.
Il primo motivo è inammissibile in quanto -come rileva il controricorrente -il ricorrente intende giungere a una rilettura dei documenti esaminati dal giudice del merito, interpretando gli atti unilaterali già esaminati dal giudice del merito facendo uso delle regole di interpretazione del contratto. Questa operazione interpretativa non può essere censurata come tale in sede di legittimità, essendo l’ interpretazione del contratto operazione di accertamento della volontà dei contraenti, equiparabile a una indagine di fatto riservata al giudice di merito; diversamente, l’esame dell’interpretazione data dal giudice del merito si tradurrebbe nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi esaminati dal giudice del merito, salva la deduzione di una specifica violazione delle regole ermeneutiche (Cass., n. 7500/2007). Né il ricorrente, ove abbia proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una pattuizione negoziale, può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito (Cass., n. 18214/2024; Cass., n. 27136/2017; Cass., n. 6125/2014).
Il motivo è, ulteriormente, inammissibile nella parte in cui deduce la violazione delle regole di interpretazione contrattuale, posto che il ricorrente, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di
interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai relativi principi, ma è tenuto a precisare in che termini il giudice del merito si sia erroneamente discostato dai canoni legali assunti come violati (Cass., n. 2021/9461).
4 . Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, 2697, 2735 c.c., e degli artt. 93, 98 e 99 l. fall., nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il riconoscimento di debito da parte dell’amministratore della società dichiarata fallita non vincola il curatore e la massa dei creditori. Osserva il ricorrente, in via gradata rispetto al superiore motivo, che il riconoscimento di debito del debitore dichiarato fallito sia opponibile alla massa, richiamandosi a Cass., n. 4471/2016, nonché a Cass., n. 9929/2018, trattandosi di riconoscimento titolato, ove vi è riferimento al rapporto fondamentale.
Su tali temi il ricorrente torna diffusamente e approfonditamente in memoria, ritenendo -alla luce dell’elaborazione più recente della giurisprudenza di legittimità che il riconoscimento di debito sarebbe opponibile al fallimento anche nel quantum , essendo il vincolo assunto dal debitore nei confronti del creditore con la dichiarazione unilaterale opponibile alla procedura fallimentare laddove, come nella specie, il riconoscimento di debito sia titolato in relazione al rapporto fondamentale.
Il secondo motivo è fondato. Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento è opponibile alla massa dei creditori quale presunzione di prova di esistenza del rapporto fondamentale, presunzione iuris tantum soggetta a prova contraria (Cass., n. 34692/2023; Cass., n. 39123/2021; Cass., n. 2431/2020). Questa giurisprudenza, già fatta propria in precedenza
da questa Corte (Cass., n. 4471/2016; 26924/2017; Cass., n. 9929/2018), si è nel tempo consolidata (Cass., n. 1679/2019; Cass., n. 2431/2020; Cass., n. 5428/2022; Cass., n. 12567/2023; Cass., n. 33073/2023; Cass., nn. 34608-34609/2023; Cass., n. 34611/2023; Cass., n. 34615/2023; Cass., n. 34624/2023; Cass., n. 34692/2023; Cass., n. 35311/2023).
Va, pertanto, riaffermato il principio secondo cui la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore è opponibile alla massa dei creditori, in quanto deve presumersi l’esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova – il cui onere grava sul curatore fallimentare – della sua inesistenza o invalidità. Il decreto impugnato non ha fatto corretta applicazione del suddetto principio e va cassato, con rinvio per nuovo esame del documento trasmesso dalla società debitrice al ricorrente in data 18 gennaio 2008, secondo i suindicati principi. È assorbito l’esame del restante profilo del secondo motivo.
8 . Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al secondo motivo, cassandosi il decreto impugnato con rinvio al giudice a quo , anche per la regolazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo motivo; cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Cagliari, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/02/2025.