Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34237 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34237 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 29247-2020 r.g. proposto da:
Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) e domiciliata presso e nello studio del predetto procuratore sito in Roma, INDIRIZZO per procura in atti.
-ricorrente –
contro
Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE, con sede in Prato, INDIRIZZO P. IVA P_IVA, in persona del Curatore Fallimentare Dott.ssa NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, presso e nel cui studio, sito in Prato, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato per procura in atti.
-controricorrente –
avverso il decreto n. 7219/2020 emesso dal Tribunale di Prato in data 8.10.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Prato ha rigettato l ‘ opposizione allo stato passivo presentata dall’Avv. NOME COGNOME nei confronti del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, avverso il provvedimento del g.d. del medesimo Tribunale che aveva respinto la sua domanda di ammissione al passivo per un credito di natura professionale.
Con domanda ex art. 101 L.F. del 27 giugno 2019 l’Avv. NOME COGNOME aveva infatti richiesto l’ammissione al passivo fallimentare della procedura ‘RAGIONE_SOCIALE‘ del credito pari ad € 12.224,34 .
Il Giudice Delegato rigettava tuttavia la domanda di ammissione sul rilievo della mancanza di data certa dell’atto di transazione (che non era pertanto opponibile alla curatela fallimentare) e dell ‘ ulteriore circostanza che, con riferimento alla cambiale, la stessa risultava emessa da NOME COGNOME personalmente e non in qualità di amministratore della società fallita.
Proposta opposizione allo stato passivo da parte de ll’Avv. COGNOME il Tribunale, nella resistenza della curatela fallimentare e nel rigettare l’impugnazione, ha osservato e rilevato che: (i) nelle conclusioni dell’atto di opposizione si chiedeva la revoca della mancata ammissione al passivo del fallimento qui opposto ‘per la somma complessiva di 12.224,34 oltre 112,72 per spese in privilegio, trattandosi di prestazioni professionali’; (ii) che, pertanto, oggetto del credito azionato dall’opponente non era quanto stabilito nel l’articolo 1 dell’accordo transattivo del 5.4.2016 -intercorso tra l’opponente e la società fallita ( secondo il quale ‘la somma concordata a titolo transattivo per la notula sopra indicata viene determinato in € 8.000,00’ ) -bensì nel l’articolo 2 del medesimo accordo, in base al quale si era stabilito che ‘la presente transazione non rappresenta (va) una novazione del debito ‘ e che ‘altresì il mancato pagamento dell’effetto alla scadenza pattuita’ avrebbe comportato ‘ la reviviscenza del debito da parte del sig. NOME COGNOME che ammontava ad € 17.224,34, somma ‘ per la quale il presente
atto ‘ avrebbe comportato ‘riconoscimento di debito’; (iii) pertanto, ‘ al di là di ogni questione relativa alla sussistenza della prova della data certa di tale accordo transattivo ‘ , – accordo che nella sede del giudizio di opposizione doveva essere esaminato in relazione esclusivamente alla sussistenza del profilo del riconoscimento di debito – non poteva affermarsi la sussistenza del credito vantato dall’opponente nei confronti della società opposta in quanto: (a ) nell’accordo transattivo si era affermato espressamente che nel caso in cui quest’ultimo non fosse stato rispettato, si sarebbe determinata ‘ la reviviscenza del debito del Chiais di euro 17.224,34 ‘ ; (b) il progetto di notula n. 6/15 del 16.3.2015 era intestato invero al RAGIONE_SOCIALE e non già alla società fallita; (c) non esisteva in atti un ulteriore documento che avesse dimostrato l’attività professionale svolta dall’opponente nei confronti della società; (d) pertanto, il riconoscimento del debito contenuto nell’atto transattivo si riferiva ad un debito del Chiais, come si leggeva espressamente nell’atto stesso. 2. Il decreto, pubblicato il 8.10.2020, è stato impugnato da ll’Avv. NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Fallimento
‘RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione d ell’art. 1965 c.c. , sul rilievo che erroneamente il Tribunale non avrebbe considerato l’atto transattivo, per come intervenuto tra la ricorrente stessa ed il COGNOME, nella veste di legale rappresentante della società fallita, quale titolo costitutivo del credito.
1.1 Sostiene invero la ricorrente che – a dimostrazione della circostanza relativa alla sottoscrizione dell’atto transattivo da parte del COGNOME nella qualità di legale rappresentante della società – militerebbero due ulteriori elementi di valutazione di natura documentale: (i) l’assegno non trasferibile rilasciato contestualmente alla sottoscrizione che riportava come causale ‘anticipo saldo notula RAGIONE_SOCIALE‘, espressamente riferendosi alla not ula n. 6/15 emessa dalla ricorrente; (ii) la fattura n. 16/2016 emessa sempre dalla ricorrente in seguito al pagamento effettuato, intestata alla società fallita.
1.3 Secondo la ricorrente, il Tribunale, anche in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c., avrebbe illegittimamente svolto un accertamento della titolarità passiva del debito in capo al Chiais in proprio e non già nella qualità di legale rappresentante della società debitrice poi dichiarata fallita, accertamento invero mai richiesto dalle parti in causa.
1.4 Il primo motivo è all’evidenza inammissibile.
Lo è per una serie concorrenti di ragioni.
1.4.1 In primo luogo, non si può non rilevare un evidente difetto di autosufficienza nel modo in cui sono state dedotte le doglianze articolate dalla ricorrente, posto che le stesse non si premurano affatto, come avrebbero dovuto, ai sensi dell’art. 366, p rimo comma, n. 3 e n. 6, c.p.c., di riportare il contenuto dell’atto transattivo per dimostrare l’allegata riconducibilità dello stesso alla società debitrice, poi dichiarata fallita, anziché al Chais in proprio. 1.4.2 La ricorrente inoltre pretenderebbe, in questo giudizio di legittimità, una rilettura degli atti istruttori di matrice documentale, peraltro sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
1.4.3 Sotto altro ed ulteriore profilo di inammissibilità, non può neanche essere dimenticato che, in realtà, secondo gli insegnamenti di questa Corte di legittimità, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione
di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016 ; Sez. L – , Ordinanza n. 17570 del 21/08/2020).
Orbene, la ricorrente si è limitata a denunciare in rubrica la violazione dell’art. 1965 cod. civ., senza tuttavia spiegare quali statuizioni giudiziali si ponessero in contrasto con il disposto normativo ora ricordato e per quali ragioni giuridiche, limitandosi, al contrario, a proporre censure che investono, invece, solo il merito della decisione giudiziale che tuttavia non risulta più sindacabile in questa sede.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, sul rilievo che il Tribunale non avrebbe valutato la circostanza che, in seguito al pagamento effettuato dal legale rappresentante della società fallita, aveva emesso (e poi prodotta in atti) la fattura n. 16/2016 nei confronti proprio di RAGIONE_SOCIALE
2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile.
Sul punto è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia
stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Ebbene, la ricorrente, lungi dall’enucleare un ‘fatto storico’ nel cui omesso esame sarebbe incorso il Tribunale nel suo percorso decisorio, ha richiesto, diversamente, un nuovo apprezzamento del contenuto probatorio di un documento, e cioè della fattura n. 16/2016, già sopra ricordata, ponendo così la censura ben al di là del perimetro delimitante la cognizione del giudice di legittimità, per le ragioni già sopra ricordate.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 6.11.2024