Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23758 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23758 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22670/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
DISDETTI CONCETTA, DISDETTI COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
– intimati – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 775/2019, depositata il 11/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli eredi legittimi di NOME COGNOME, deceduto il 09.05.2010, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Perugia la RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE) chiedendo che venisse condannata alla restituzione del terreno sito nel Comune di Castiglion Fiorentino con sovrastante piccolo manufatto, asseritamente occupato illegittimamente, nonché al risarcimento dei danni subìti; chiedevano, altresì, la condanna della convenuta al pagamento della parte residuale del prezzo di vendita (oltre interessi e rivalutazione monetaria) delle quote dell’azienda di commercio all’ingrosso, RAGIONE_SOCIALE di cui unico socio ed amministratore era NOME COGNOME dante causa di NOME COGNOME da questi ceduta a RAGIONE_SOCIALE in data 01.10.2007 per l’importo di €. 95.000.
Con riferimento, in particolare, alla richiesta del saldo dell’importo della fusione per incorporazione dell’azienda di NOME COGNOME, gli attori sostenevano che la parte residuale del prezzo di vendita delle quote cedute risultasse da un riconoscimento di debito sottoscritto il 02.10.2008 dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
1.2. Il Tribunale di Perugia accoglieva la domanda degli attori di pagamento del prezzo di vendita, respingendo quella di risarcimento danni per illegittima occupazione del terreno.
Parte soccombente proponeva appello per la sola parte in cui questa era stata condannata al pagamento della somma di €. 95.000,00 per il saldo delle quote acquisite, sostenendo l’avvenuto pagamento del prezzo totale di cessione delle quote al momento dell’acquisto (01.10.2007), come risulta da quietanza rilasciata dal creditore in sede di cessione delle quote della s.r.l. , nonché l’errata applicazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 1988 cod. civ.
2.1. La Corte di Appello di Perugia, accolta l’istanza di sospensione della esecuzione ex art. 283 cod. proc. civ. limitatamente alla condanna
al pagamento della somma di €. 95.000,00, rigettava il gravame, e confermava la sentenza di primo grado sostenendo che:
appare credibile nel merito che l’importo quale credito vantato dagli eredi di NOME COGNOME (quindi di NOME COGNOME, figlio ed unico erede di NOME COGNOME) derivi dalla scrittura privata del 2 ottobre 2008 a firma del predetto NOME COGNOME e per RAGIONE_SOCIALE a firma del signor NOME COGNOME;
detta scrittura contiene un vero e proprio riconoscimento di debito relativo alla vendita del magazzino: pertanto, secondo il disposto dell’art. 1988 cod. civ., sarebbe spettato alla odierna appellante provare l’inesistenza del debito;
a nulla vale a tal fine che nell’atto di cessione delle quote datato 19 ottobre 2007 le parti abbiano effettivamente dato atto che l’importo concordato per la cessione delle quote era stato integralmente corrisposto: tale precedente atto non può scalfire il contenuto di quello successivo.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi.
Restano intimati gli eredi di NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare violazione ed errata applicazione dell’art. 1988 cod. civ. in luogo dell’art. 1321 e , di conseguenza, mancata applicazione dell’art. 1418 cod. civ. in tema di nullità. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che la scrittura privata del 02.10.2008 oggetto di causa costituisca un riconoscimento di debito relativo alla vendita del magazzino. Tanto perché la suddetta dichiara zione non proviene dall’asserito soggetto debitore, come impone l’art. 1988, bensì dall’asserito creditore; non si
tratta, pertanto, di un atto unilaterale bensì di un contratto, che riporta la firma dei due soggetti interessati, come tale nullo per assoluta indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto, costituito unicamente dalla dicitura «per la vendita del magazzino» insussistente nel caso di specie, avendo le due parti contrattuali (NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE) convenuto la cessione di quote della RAGIONE_SOCIALE, peraltro quietanzate innanzi al Notaio in data 01.10.2007.
1.1. Il motivo è infondato.
Com’è noto, la quietanza ha valore di confessione, prova questa che non può essere revocata se non è stata determinata da errore di fatto o violenza, e salva l’applicazione del principio di inscindibilità , secondo cui nell’ipotesi di dichiarazioni aggiunte alla confessione opera, ai sensi dell’art. 2734 cod. civ., quando alla dichiarazione indicata dall’art. 2730 cod. civ. si accompagna quella di altri fatti o circostanze tendenti a infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o a estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità se l’altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte.
Soltanto quando la controparte contesta le dichiarazioni, come nel caso di specie, il confitente (ovvero i suoi eredi, come nel caso che ci occupa) ha l’onere di provare i fatti e le circostanze aggiunte, restando in tal caso affidato al giudice, in difetto di tale prova, l’apprezzamento secondo le circostanze dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni stesse (art. 116 cod. proc. civ.: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24754 del 05/11/2013; più di recente: Cass., sez. 2, 22/01/2018, n. 1530).
Nel caso di specie, i fatti aggiunti ex art. 2734 cod. civ. sono rappresentanti dalla scrittura privata del 02.10.2008, stipulata ad un anno circa della cessione delle quote quietanzate, contenente una ricognizione di debito con valore confessorio che contraddice quanto
affermato nella quietanza a saldo del pagamento del prezzo (che avrebbe comportato l’estinzione del debito) , rilasciata innanzi al notaio.
1.2. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che (da ultimo, ex multis : Sez. U, Sentenza n. 6459 del 06/03/2020, Rv. 657212 -02; conf.: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10464 del 17/04/2024, Rv. 670747 -01; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 2091 del 25/01/2022, Rv. 663945 -01; Cass. 2 n. 22988/2020; Cass. Sez. L, Sentenza n. 25544 del 12/10/2018, Rv. 650735 – 01) la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale (nel caso di specie, il contratto di cessione di quote societarie e la debenza del saldo), determinando, ex art. 1988 cod. civ., un’astrazione meramente processuale della causa debendi , da cui deriva una semplice relevatio ab onere probandi che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, e dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, spettando al debitore provare che il rapporto non sia mai sorto o sia invalido o si sia estinto.
Tanto precisato, il carattere unilaterale della dichiarazione del debitore di promessa di pagamento ovvero di ricognizione del debito non viene meno nell’ipotesi in cui come nel caso che ci occupa -detta dichiarazione sia contenuta in una scrittura elaborata dallo stesso creditore il quale, accanto al riconoscimento dell’acconto di €. 25.000 riferito alla «vendita del magazzino» (evidentemente quale parte dell’azienda ceduta l’anno precedente), sostiene di essere creditore del saldo di €. 95.000,00: affermazione sottoscritta dall’acquirente debitrice RAGIONE_SOCIALE con firma peraltro risultata autentica in sede di CTU.
Tanto basta a soddisfare la fattispecie prevista dall’art. 1988 cod.
civ.
1.3. Nel caso che ci occupa, quindi, la confessione stragiudiziale rappresentata dalla quietanza rilasciata dal cedente delle quote della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME dinanzi al n otaio investito dell’operazione di fusione per incorporazione risalente al 01.10.2007, è stata superata da una scrittura privata successiva, del 02.10.2008, con la quale la cessionaria RAGIONE_SOCIALE espressamente riconosceva la debenza del saldo, senza mai contestare l’esistenza del rapporto di cessione sottostante. Del resto -precisa la Corte territoriale -di tale ingente residua somma dovuta a saldo la debitrice non ha mai dimostrato il pagamento: a séguito dell’incorporazione, infatti, avrebbe avuto la possibilità di produrre in giudizio documenti fiscali dell’incorporata per fare emergere contabilmente l’avvenuto trasferimento di danaro con strumenti tracciabili (v. sentenza p. V, 4° capoverso).
Con il secondo motivo si censura il capo della sentenza relativo alle spese legali, nella parte in cui la Corte a quo ha disposto che le spese legali vengono liquidate come da dispositivo. Sostiene la ricorrente che l’accoglimento della domanda dovrà portare anche a cassare la disposizione relativa alle spese legali già oggetto di impugnazione anche in grado di appello.
2.1. Il motivo resta assorbito nel rigetto del ricorso.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Non si procede alla determinazione delle spese del presente giudizio non avendo la controparte svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda