Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25318 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25318 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22567/2022 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2231/2022 depositata il 24/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia trae origine dal decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano in favore di RAGIONE_SOCIALE con il quale veniva ingiunto a NOME COGNOME il pagamento della somma di CHF 49.222,75, oltre agli interessi di mora secondo le modalità stabilite in contratto, a decorrere dall’11.11.2009 fino all’integrale saldo del debito.
A sostegno della domanda, il ricorrente deduceva che: a) la pretesa creditoria azionata da RAGIONE_SOCIALE in via monitoria si fondava su un contratto di mutuo chirografario stipulato da NOME COGNOME e Credit Suisse in data 31.07.2005, per un importo originario di CHF 59.059,05; b) in data 01.07.2007, tutti i crediti di Credit Suisse derivanti da contratti stipulati con soggetti privati venivano ceduti a Bank Now AG; c) in data 27.07.2007, il sig. COGNOME sottoscriveva una proposta di rimborso del debito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE nuova titolare del credito; d) alla data del 22.09.2009, l’importo dovuto dal Ponzi – comprensivo di interessi maturati e spese di esecuzione – ammontava a CHF 49.222,75; e) nel mese di settembre 2013, il credito veniva ulteriormente ceduto a RAGIONE_SOCIALE prima, e ad RAGIONE_SOCIALE poi, quale soggetto cessionario in una terza operazione di cessione.
1.1. Si opponeva al detto d.i. NOME COGNOME eccependo il difetto di legittimazione attiva in capo ad RAGIONE_SOCIALE per mancata
produzione della documentazione attestante la cessione del credito da Credit Suisse a Bank Now AG. Sulla base di tale carenza probatoria, il COGNOME chiedeva che fosse dichiarata l’inefficacia, ovvero la nullità, del decreto ingiuntivo, e in ogni caso la sua revoca.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2826/2020, ha accolto l’opposizione, ritenendo assorbente la questione relativa alla prova della titolarità del credito.
Il Giudice di prime cure rilevava che, sebbene RAGIONE_SOCIALE avesse prodotto documentazione attestante la cessione del credito da Bank Now RAGIONE_SOCIALE, la stessa non avrebbe però fornito alcuna prova della precedente cessione del medesimo credito da Credit Suisse a Bank Now AG. Tale documento – sottolineava il Tribunale – costituisce il presupposto necessario per legittimare la successiva catena di cessioni e, in definitiva, per fondare la legittimazione attiva della creditrice procedente. Di talché, in carenza di detta prova, la pretesa monitoria risultava priva di valido fondamento documentale e, pertanto, il decreto ingiuntivo doveva essere revocato.
2. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2231/2022, ha riconosciuto invece la legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) sulla base di una ricognizione di debito sottoscritta dal ceduto NOME COGNOME. Tale documento riportava espressamente il riferimento al contratto di finanziamento originario, stipulato con Credit Suisse (‘RAGIONE_SOCIALE n. NUMERO_CARTA‘), e indicava espressamente RAGIONE_SOCIALE come effettiva creditrice, confermando quindi l’intervenuta cessione del credito (intermedia) tra l’originario creditore, Credit Suisse, e il primo cessionario, Bank Now RAGIONE_SOCIALE
Osservava la Corte territoriale che la scrittura era valida e riconducibile al COGNOME che non ne aveva formalmente contestato l’autenticità in giudizio; per l’effetto, la mancanza di un
disconoscimento formale rendeva superflua ogni ulteriore verifica sulla paternità della detta ricognizione di debito.
Pertanto continuava la Corte d’Appello – la dichiarazione del COGNOME di dover pagare proprio a Bank Now AG, pur riferendosi a un prestito contratto con Credit Suisse, dimostrava che costui avesse riconosciuto e accettato la cessione del credito, trovando così applicazione l’art. 1988 c.c., a mente del quale la ricognizione di debito costituisce prova legale dell’obbligazione, salvo prova contraria, che spetta al debitore, potendo il cessionario avvalersi della stessa scrittura per agire in giudizio.
Per queste ragioni, la Corte ambrosiana ha ritenuto provata la titolarità del credito in capo a Bank Now RAGIONE_SOCIALE e, di conseguenza, la legittimazione di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) ad agire per il recupero del credito.
La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da NOME COGNOME con ricorso affidato a tre motivi.
3.1. Eos RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per irriducibile contraddittorietà intrinseca della motivazione, tale da precludere ogni possibilità di ricostruzione logico-giuridica del percorso argomentativo seguìto dal giudice di merito.
Lamenta che la Corte d’Appello, da un lato, avrebbe escluso la natura negoziale della ricognizione di debito con contestuale promessa di pagamento sottoscritta dal Ponzi il 27.07.2007, qualificandola ‘atto unilaterale privo di effetti dispositivi’; dall’altro, avrebbe riconosciuto a tale atto la funzione di surrogare gli effetti previsti dall’art. 1264 c.c., in ordine all’opponibilità della cessione
del credito, affermando che esso sarebbe idoneo a sostituire sia l’accettazione espressa del debitore, sia la notificazione della cessione, espressamente menzionati all’art. 1264 c.c.
Tale duplice qualificazione (i.e.: da un lato, atto unilaterale privo di natura negoziale; dall’altro, strumento idoneo a produrre effetti propri dell’accettazione o notificazione della cessione del credito) integrerebbe, ad avviso del ricorrente, una motivazione logicamente incoerente e ‘giuridicamente incompatibile’, tale da determinare la nullità della sentenza per carenza assoluta dei requisiti essenziali di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1988, 1260, 1262 e 1264 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., poiché la Corte d’Appello avrebbe erroneamente attribuito alla ricognizione di debito sottoscritta dal Ponzi il 27.07.2007 efficacia sostitutiva degli specifici adempimenti richiesti dall’art. 1264 c.c., ritenendola idonea a spiegare gli effetti propri della notificazione o della accettazione della cessione del credito da parte del debitore.
Ritiene il ricorrente che una simile ricostruzione si ponga in contrasto con la disciplina codicistica della circolazione del credito, che subordina l’opponibilità della cessione al debitore ceduto all’esclusivo compimento di atti negoziali formali (i.e., soltanto la notifica o l’accettazione), non surrogabili da una mera dichiarazione unilaterale di scienza, qual è la ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c.
La Corte avrebbe, così, indebitamente attribuito alla scrittura privata, qualificata ‘ricognizione di debito’, un’efficacia probatoria e sostanziale eccedente la sua natura, confondendo il piano della presunzione processuale di esistenza del rapporto obbligatorio (ex art. 1988 c.c.) con quello della legittimazione sostanziale
all’esercizio del credito (ex art. 1264 c.c.), che richiede la prova della validità e continuità delle cessioni.
COGNOME si duole, anche, della omessa valutazione, da parte della Corte di merito, circa la mancanza di prova della cessione originaria da Credit Suisse a Bank Now AG, che determina un’interruzione nella catena traslativa del credito e preclude, in assenza di idonea documentazione, il riconoscimento della legittimazione attiva in capo all’odierno cessionario.
Tale circostanza, ad avviso del ricorrente, evidenzierebbe un errore di sussunzione, avendo la Corte d’Appello applicato l’art. 1988 c.c. oltre il suo ambito applicativo, utilizzandolo indebitamente per colmare la mancanza degli elementi previsti dagli artt. 1260 ss. c.c., necessari ai fini dell’opponibilità della cessione e della prova della titolarità del credito.
4.3. Con il terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente reitera la censura di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1988, 1260, 1262 e 1264 c.c.
Asserisce, di nuovo, che la Corte di merito avrebbe omesso di valutare l’inesistenza di prova della cessione da Credit Suisse a Bank Now AG. Ciò avrebbe determinato, per l’effetto, un vizio di sussunzione, avendo la Corte indebitamente utilizzato l’art. 1988 c.c. per supplire alla carenza dei presupposti richiesti dalla normativa in tema di circolazione del credito.
I motivi, congiuntamente esaminati per l’evidente connessione, sono infondati.
5.1. La Corte è qui chiamata a verificare se la ricognizione di debito sottoscritta dal debitore ceduto, ancorché atto unilaterale di natura dichiarativa, possa considerarsi idonea a integrare gli effetti dell’accettazione della cessione ai sensi dell’art. 1264 c.c., legittimando il cessionario all’esercizio dell’azione di recupero del credito.
Orbene, in ordine agli effetti della cessione del credito, l’art. 1264 c.c. prevede che questa sia efficace verso il debitore ceduto solo quando costui l’abbia accettata o ne abbia ricevuto notificazione.
Sul punto, questa Corte, pronunciando sui rapporti tra la richiamata disciplina generale e l’istituto della ricognizione di debito, nonché sul suo essere eventualmente succedanea alla notifica o all’accettazione ex art. 1264 c.c., ha ribadito anzitutto che la promessa di pagamento e la ricognizione di debito (art. 1988 c.c.) hanno mero effetto confermativo in ambito probatorio di un rapporto di debito preesistente, risultando inidonee a costituire nuove obbligazioni. Si tratta di atti unilaterali che dispensano il creditore dall’onere di provare il rapporto sottostante (operando come relevatio ab onere probandi fino a prova contraria), ma non sostituiscono il rapporto stesso né sanano eventuali vizi sostanziali della cessione (v., ex multis , Sez. U, Sentenza n. 6459 del 06/03/2020).
In particolare, la ricognizione del debito, prevista dall’art. 1988 c.c., costituisce una dichiarazione unilaterale recettizia che, in virtù di astrazione meramente processuale, esonera dall’onere di provare il rapporto fondamentale soltanto il soggetto al quale essa è stata indirizzata, a meno che non contenga l’indicazione della causa debendi : in tal caso, anche il cessionario del credito, quale successore a titolo particolare nel rapporto obbligatorio oggetto della scrittura ricognitiva, può avvalersi della presunzione correlata alla sua sottoscrizione (Sez. 1, Sentenza n. 26334 del 20/12/2016; Sez. 3, Sentenza n. 7787 del 31/03/2010; Sez. 3, Sentenza n. 15575 del 11/12/2000).
Pertanto, ove il debitore ceduto riconosca per iscritto il debito direttamente, in modo espresso e inequivoco, in favore del nuovo creditore cessionario, tale condotta implica invariabilmente la piena, precipua conoscenza e la contestuale accettazione della cessione da parte sua. Ciò implica, per l’effetto, che, in siffatta
evenienza, la formale notificazione ex art. 1264 c.c. può considerarsi superflua, poiché l’accettazione del debitore – anche se manifestata con atto unilaterale di ricognizione, non espressamente citato dall’art. 1264 c.c. tra gli atti idonei a conseguire lo scopo -rende comunque la cessione opponibile al debitore stesso e radica la legittimazione attiva del cessionario.
Questa Corte ha altresì affermato che, in caso di contestazione sulla titolarità del credito, grava sul cessionario l’onere di provare la cessione, ‘a meno che il debitore resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta’. Il disconoscimento della propria sottoscrizione, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., deve avvenire in modo formale ed inequivoco, essendo, a tal fine, inidonea una contestazione generica oppure implicita, perché frammista ad altre difese o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti; inoltre, la relativa eccezione deve contenere specifico riferimento al documento e al profilo di esso che viene contestato, sicché non vale, ove venga dedotta preventivamente, a fini solo esplorativi e senza riferimento circoscritto al determinato documento, ma con riguardo ad ogni eventuale produzione in copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte (Sez. 5, Ordinanza n. 17313 del 17/06/2021).
Ne discende che una chiara ricognizione di debito effettuata dal debitore in favore del cessionario vale sostanzialmente quale accettazione della cessione (soddisfacendo la ratio sottesa all’art. 1264 c.c.). Al contempo, giova però ribadire che tale riconoscimento attiene unicamente alla conferma dell’obbligazione preesistente e non esonera il cessionario dalla prova dell’esistenza e validità originaria del credito ceduto, qualora vengano sollevate contestazioni sul rapporto obbligatorio fondamentale.
Pertanto, la radicata giurisprudenza di legittimità riconosce efficacia all’atto di ricognizione del debitore ai fini dell’opponibilità della cessione (funzione equiparabile all’accettazione del debitore), pur
precisando che esso non crea un nuovo titolo di credito, ma conferma solo quello già ceduto.
In tali ipotesi, la dichiarazione, pur non essendo un atto formale di cessione, contiene un riconoscimento dell’obbligo verso il nuovo creditore (i.e., il cessionario) e può assumere valore di accettazione sostanziale della cessione.
In proposito, la Cassazione ha riconosciuto che solo in taluni casi particolari la mera dichiarazione di scienza del debitore può rilevare in guisa di riconoscimento del debito. Ad esempio, se il debitore formula una proposta di pagamento al cessionario o firma un accordo di saldo a stralcio con questi, egli di fatto accetta la nuova titolarità del credito in capo al cessionario. In termini di effetti, ciò rende la cessione efficace verso il debitore (soddisfacendo la ratio dell’art. 1264), pur in mancanza di notifica formale (del resto, l’accettazione – nella sua più ampia accezione, qui ribadita – o la notificazione sono richieste dall’art. 1264 c.c. alternativamente e non congiuntamente: in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 2375 del 30/06/1969).
Resta inteso, comunque, come già ribadito, che tale equipollenza opera sul piano dell’opponibilità della cessione, mentre non elimina eventuali eccezioni circa il rapporto originario: il debitore che abbia riconosciuto il credito potrà ancora opporre, ad esempio, l’inesistenza, la nullità o l’avvenuta estinzione del rapporto fondamentale, dovendo in tal caso il cessionario fornire prova della validità sostanziale della propria pretesa.
In definitiva, la giurisprudenza più recente considera le dichiarazioni unilaterali del debitore (i.e., ricognizioni, promesse di pagamento) come atti equipollenti all’accettazione ai fini della notificazione ex art.1264 c.c., purché siano chiare ed esplicite, ribadendo però che esse non sanano eventuali difetti sostanziali del credito ceduto.
In proposito, risulta destituito di fondamento l’assunto sostenuto dal ricorrente, secondo cui la notifica e, alternativamente, l’accettazione integrerebbero atti negoziali, perciò non surrogabili dalla ricognizione di debito ex art. 1988 c.c., quale – invece – mera dichiarazione unilaterale non avente natura negoziale.
Ed invero, questa Corte, a partire dalla Sentenza n. 26664 del 18/12/2007, ha precisato, sul punto, che l’accettazione della cessione da parte del debitore è dichiarazione di scienza, priva di contenuto negoziale, e non vale in sé quale ricognizione tacita del debito (eppure, preme qui osservare che non può predicarsi il contrario, valendo invece la ricognizione di debito in guisa di accettazione ex art. 1264 c.c., pur se alle condizioni sopra illustrate).
E ciò atteso il fermo principio per cui il contratto di cessione di credito ha natura consensuale, di modo che il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest’ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c.; questa, a sua volta, è necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario, nonché, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra più cessionari, trovando applicazione in tal caso il principio della priorità temporale riconosciuta al primo notificante (v. Sez. 2, Ordinanza n. 23257 del 20/08/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 4713 del 19/02/2019; Sez. 1, Sentenza n. 6969 del 25/07/1997; in applicazione di tali principî, v. anche Sez. 3, Ordinanza n. 8829 del 03/04/2024).
In questo solco si colloca, peraltro, la tesi per cui, anche in presenza di una clausola contrattuale che preveda il pactum de non cedendo (quale limite eventuale al trasferimento del credito ex art.
1260 c.c.), l’eventuale consenso del debitore alla cessione non integra accettazione in un contratto trilatero, ma piuttosto costituisce un atto di (preventiva) autorizzazione privata, tale da rimuovere un ostacolo posto dalle parti alla cedibilità del credito con un patto che spiega una efficacia più ampia di quella propria dei divieti convenzionali di alienazione che, ai sensi dell’art. 1379 c.c., hanno efficacia solo tra le parti.
Posto, dunque, che per la conclusione della cessione non è necessario da parte del debitore ceduto (e l’accettazione non integra) un atto negoziale, volta che la fattispecie traslativa si intende perfezionata in forza del solo consenso del cedente e del cessionario (art. 1376 c.c.), l’accettazione da parte del debitore è funzionale, anzitutto, a rendere opponibile la cessione stessa al debitore (rilevando quale atto di scienza da parte di quest’ultimo dell’avvenuta cessione) al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario. Lo è, a più forte ragione, l’eventuale ricognizione del debito (parimenti integrante una dichiarazione non avente natura negoziale: in tal senso , ex multis , Sez. 3, Ordinanza n. 22948 del 20/08/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 9097 del 12/04/2018; Sez. L, Sentenza n. 15353 del 30/10/2002) ove proveniente dal debitore e destinata direttamente nei confronti dell’inequivocamente menzionato cessionario.
Va infatti ribadita la natura non negoziale della ricognizione di debito, avente efficacia meramente confermativa: in effetti, colui che riconosce il proprio debito – come suggerisce già solo il nomen iuris dell’istituto – non modifica, né (a più forte ragione) estingue, né (soprattutto) costituisce alcunché, limitandosi a riconoscere l’esistenza di un debito pregresso, già esistente, ciò esonerando il creditore, destinatario della detta dichiarazione, dalla prova in giudizio del rapporto sottostante (v. anche Sez. 3, Ordinanza n.
31818 del 10/12/2024). Né la ricognizione di debito integra un addendo necessario al perfezionamento di una più complessa fattispecie, non potendosi neanche accogliere la tesi del negozio di accertamento, pur di individuare una pretesa natura negoziale dell’istituto in esame.
Di talché -sebbene, contrariamente a quanto riportato dal ricorrente, il Giudice d’appello rievochi proprio la diversa tesi della natura negoziale della ricognizione di debito, a pag. 11 della sentenza impugnata (il che, tuttavia, non vale in sé ad infirmare la corretta argomentazione su cui complessivamente poggia la sentenza impugnata e le relative conclusioni) – la statuizione in diritto resa dalla Corte territoriale è comunque immune da vizi, e lo stesso vale per l’intero impianto motivazionale che regge la sentenza impugnata, scevro da quella ‘irriducibile contraddittorietà intrinseca’ asserita dal ricorrente.
Costituisce, infatti, enunciazione in sé priva di incongruenza alcuna (sul piano logico e giuridico) quella in cui la Corte d’Appello, pur ammettendone la natura negoziale, ha ciononostante riconosciuto la idoneità della ricognizione di debito, contenente la precisa indicazione della causa debendi e indirizzata espressamente al cessionario, a spiegare gli effetti di cui all’art. 1264 c.c. (questa, in estrema sintesi, la corretta ratio decidendi illustrata alle pagg. 1112 della sentenza impugnata).
Per le esposte ragioni, la Corte rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 14 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME