Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26815 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26815 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/10/2025
LA FORNARA NOME
intimata avverso la sentenza n. 1286/2020 della Corte d’ appello di Catania, depositata il 18-7-2020,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23-92025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 7877/2017 il Tribunale di Catania ha disposto lo scioglimento della comunione relativa all’ eredità di NOME
OGGETTO:
scioglimento comunione ereditaria
RG. 31176/2020
C.C. 23-9-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 31176/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO controricorrenti
nonché contro
COGNOME, deceduto ab intestato il 28-5-1995, assegnando alla moglie NOME COGNOME e ai figli NOME, NOME e NOME COGNOME distinti immobili, nonché ponendo a carico di NOME COGNOME i relativi conguagli.
Avverso la sentenza NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME hanno proposto appello, che la Corte d’appello di Catania ha accolto con sentenza n. 1286/2020 pubblicata il 18-7-2020.
La sentenza ha accolto il primo motivo di appello, relativo al mancato riconoscimento nell’attivo ereditario del credito di lire 150.000.000 vantato dal de cuius nei confronti del figlio NOME, per il quale il Tribunale aveva ritenuta raggiunta la prova dell’avvenuto pagamento. Ha dichiarato che l’eccezione di prescrizione del credito era stata tardivamente sollevata, a fronte della proposizione nella comparsa di risposta della domanda riconvenzionale relativa all’accertamento dell’esistenza del credito del de cuius nei confronti del figlio per un ammontare di almeno Euro 77.400,00 per la costruzione di fabbricato in Fiumefreddo di Sicilia e all’esplicita richiesta di imputazione a lla quota dell’erede debitore. Ha rilevato che le appellanti avevano tempestivamente prodotto in primo grado la dichiarazione di NOME COGNOME, il quale riconosceva di avere ricevuto dal padre prestito di lire 150.000.000 utilizzato per la costruzione di casa a Fiumefreddo; la dichiarazione costituiva ricognizione di debito ex art. 1988 cod. civ., che poneva a carico del dichiarante l’onere della prova contraria; ha dichiarato che la prova contraria non era stata fornita, perché NOME COGNOME aveva chiesto solo la testimonianza della moglie e le dichiarazioni della testimone erano risultate assolutamente generiche, attenendo a una sua non meglio precisata partecipazione alle spese per la costruzione dell’immobile, che non escludeva il prestito del suocero. Quindi ha concluso che sussisteva il debito di Euro 77.400,00 di NOME COGNOME nei confronti del de cuius e perciò
dell’asse ereditario e di conseguenza, ai sensi degli artt. 724 e 725 cod. civ., dovendo egli imputare alla sua quota il debito e avendo gli altri coeredi dichiarato di avere raggiunto accordo in forza del quale volevano rimanere in comunione, ha assegnato tutti gli immobili alla madre e alle due figlie, con conguaglio di Euro 31.654,91 a carico di NOME COGNOME.
La sentenza ha accolto anche il secondo motivo di appello, relativo al rimborso richiesto da NOME COGNOME delle spese da lei anticipate, relativamente alle spese per le onoranze funebri di cui alla fattura per Euro 1.497,72, alla spesa per imposta di successione per Euro 604,00, alla metà della spesa per i lavori relativi al sepolcro per Euro 4.002,54; ha dichiarato che le spese funerarie erano da comprendere tra i pesi ereditari e ciò valeva anche per la metà dell’ammontare delle spese del sepolcro, c osì come era stato richiesto considerando che l’altra titolare della concessione era la moglie del de cuius .
Infine la sentenza ha regolamentato le spese di lite di entrambi i gradi, dichiarando che la soccombenza di NOME COGNOME con riferimento all’esistenza del suo debito nei confronti dell’eredità e la sua totale soccombenza in appello ne imponevano la condanna al pagamento a favore delle controparti di due terzi delle spese di entrambi i gradi, mentre per il restante terzo le spese processuali e quelle di consulenza tecnica d’ufficio dovevano essere poste a carico della massa in proporzione delle quote, in quanto dirette a sciogliere la comunione nell’interesse di tutti gli eredi.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
NOME e NOME COGNOME hanno resistito con unico controricorso.
NOME COGNOME è rimasta intimata.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio , rifissata per motivi di ufficio, entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 23-9-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalle controricorrenti, perché l’assenza di indice analitico dei documenti e l’omessa attestazione del deposito della sentenza impugnata, di cui si dolgono le controricorrenti, costituiscono mere irregolarità inidonee a comportare l’inammissibilità del ricorso. Non si pone neppure questione di improcedibilità per il fatto che il ricorrente dichiara che la sentenza impugnata è stata notificata ma non produce la relativa relata di notifica, perché la relata di notifica è stata depositata dalle controricorrenti (loro doc. C); quindi ricorrono i presupposti per applicare il principio secondo il quale deve escludersi la possibilità di applicare la sanzione dell’improcedibilità ex art. 369 co. 2 n. 2 cod. proc. civ. ove la relata di notifica della sentenza impugnata risulti nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente (Cass. Sez. U 2-5-2017 n. 10648 Rv. 643945-01).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, c on il primo di essi proposto ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. per violazione degli artt. 167 co. 2, 163 co. 3 n. 3 e 4, 164 co.5 e 88 cod. proc. civ. il ricorrente sostiene la nullità rilevabile d’ufficio della domanda riconvenzionale proposta dalle convenute nella comparsa di risposta, per mancata indicazione della causa petendi. Sostiene che nella fattispecie sussisteva l’incertezza oggettiva della domanda riconvenzionale, in quanto in comparsa di costituzione non era stata indicata la fonte ma solo l’importo del debito in Euro, senza previa specificazione di alcuna conversione e con la causale riferita alla costruzione della casa risalente
al 1995; aggiunge che la cognizione piena della causa petendi è avvenuta con la produzione della dichiarazione datata 15-11-1979 eseguita con la prima memoria istruttoria e rileva che ciò ha menomato gravemente la difesa della controparte, con riguardo alla proposizione dell’eccezione di prescrizione.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha accertato (pag.4) che tempestivamente nella comparsa di costituzione era stata proposta la domanda riconvenzionale con la quale si era affermata l’esistenza del credito del de cuius nei confronti del figlio per un ammontare di almeno Euro 77.000,00 ed era stata indicata anche ‘la motivazione’, relativa alla costruzione di fabbricato in Fiumefreddo. Di seguito ha aggiunto che, a fronte della precisa indicazione del credito, dell’ammontare e della causa, era onere della controparte eccepire tempestivamente la prescrizione del diritto. In questo modo, la sentenza ha eseguito l’interpretazione del contenuto della domanda in termini che si sottraggono a tutte le censure, in quanto l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito (Cass. Sez. 3 10-6-2020 n. 11103 Rv. 658078-01, Cass. Sez. L 5-2-2004 n. 2148 Rv. 56989401) e nella fattispecie la Corte d’appello ha interpretato il contenuto della comparsa di risposta, così come aveva già fatto il giudice di primo grado, nel senso che la stessa conteneva il contenuto sufficiente a individuare non solo l’importo della somma versata dal padre al figlio, ma anche il titolo del versamento, consistito in un accordo che comportava l’obbligo del figlio alla restituzione. Quindi, non ha fondamento l’affermazione del ricorrente secondo la quale il titolo dell’obbligazione è stato dedotto solo tardivamente, nella prima memoria istruttoria allorché è stata prodotta la scrittura di riconoscimento di debito. Infatti, la promessa di pagamento e la ricognizione di debito non costituiscono neppure autonoma fonte di
obbligazione, ma hanno soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo a operarsi, in forza dell’art. 1988 cod. civ., un’astrazione meramente processuale della causa debendi che comporta una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria (Cass. Sez. 3 25-1-2022 n. 2091 Rv. 663945-01, Cass. Sez. 3 6-32006 n. 4804 Rv. 587489-01).
2 .Con il secondo motivo, intitolato ‘nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 comma 1 n.3 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 1988 c.c.’, il ricorrente sostiene l’inesistenza del credito del de cuius per estinzione del debito, lamentando l’omesso esame di fatto decisivo; evidenzia che la ricognizione di debito ex art. 1988 cod. civ. ammette la prova contraria con qualsiasi mezzo e sostiene che nella fattispecie la prova contraria è stata data attraverso la deposizione della testimone NOME COGNOME; dichiara che la deposizione della teste è assolutamente attendibile, in quanto rispondente ai canoni di veridicità, precisione e completezza del narrato e rileva che ciò comportava l’onere per la Corte d’appello di dare conto del ragionamento svol to a fondamento dell’assunto dell’inattendibilità della testimone; quindi sostiene che il vizio di carenza assoluta di esame del fatto processuale decisivo per il giudizio sia causa di nullità della sentenza. Aggiunge che sussistono elementi di natura oggettiva, rilevanti ai fini di ritenere l’attendibilità della deposizione, dei quali è stato omesso l’esame, riferiti alla mancanza di richieste di denaro dal padre al figlio, per il lungo periodo di ventisei anni dalla data della scrittura fino al decesso del padre; sostiene altresì l’a ssenza di elementi probatori dai quali trarre la capacità economica del padre di elargire somma così ingente, nonché l’assenza di elementi dai quali trarre le modalità di dazione della somma e del suo prelievo. Quindi dichiara che
la prova dell’estinzione del debito abbia comportato la falsa applicazione dell’art. 1988 cod. civ.
Il motivo è inammissibile laddove deduce violazione di legge, perché nessuno degli argomenti del ricorrente è volto a fare emergere l’erronea ricognizione della fattispecie astratta, necessaria per la configurabilità di tale vizio; tutti gli argomenti sono finalizzati a sostenere l’erronea ricostruzione dei fatti, e perciò l’erronea ricognizione della fattispecie concreta, in quanto tale estranea al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 5-2-2019 n. 3340 Rv. 65254902, Cass. Sez. 1 13-10-2017 n. 24155 Rv. 645538-03, Cass. Sez. L 11-1-2016 n. 195 Rv. 638425-01).
In ordine al motivo proposto ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., si rileva come l’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. nella formulazione attuale preveda il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, quando il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, anche se la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01, Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01). Nella fattispecie la sentenza impugnata ha esaminato le prove offerte dal figlio al fine di dimostrare la restituzione dell’importo ricevuto in prestito dal padre, giungendo alla conclusione che la testimonianza assunta sul punto non forniva la prova necessaria; quindi, non si pone questione di omesso esame di fatti decisivi, perché nessuno degli altri dati ai quali fa riferimento il ricorrente integra in sé
fatto decisivo, e cioè fatto che, se esaminato, avrebbe comportato una diversa soluzione alla controversia.
Inoltre, sono riservate al giudice di merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove e la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; è insindacabile in sede di legittimità il peso probatorio di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, anche diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. Sez. 2 8-82019 n. 21187 Rv. 655229-01, Cass. Sez. L 10-6-2014 n. 13054 Rv. 631274-01, Cass. Sez. 2 28-1-2004 n. 1554 Rv. 569765-01). Nella fattispecie il ricorrente in sostanza censura la valutazione delle dichiarazioni della testimone data dalla sentenza impugnata, ma si rimane al di fuori dell’ambito del sindacato di legittimità, in quanto la sentenza (pag.6) ha esposto in modo logico la lettura data alle dichiarazioni della testimone e le ragioni per le quali le ha ritenute generiche, con riguardo al fatto che tali dichiarazioni attestavano una ‘non meglio precisata partecipazione alle spese per la costruzione dell’immobile, che, comunque non esclude il prestito da parte del suocero’; si tratta di apprezzamento in fatto, riservato al giudice di merito e che erroneamente il ricorrente vorrebbe fosse nuovamente svolto, come se il giudizio di legittimità fosse il terzo grado del giudizio di merito.
3 .Con il terzo motivo, riferito nell’intitolazione alla nullità della sentenza per violazione degli artt. 752 e 754 cod. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta che siano stati compresi tra i debiti dell’eredità le s pese per il sepolcro, seppure in relazione alla metà, e le spese di successione. Sostiene che le spese
di sepolcro debbano rimanere a carico di chi le sostiene, in quanto di natura diversa dalle spese funerarie, essendo attinenti a ‘ ragioni monumentali ed estetiche ‘ estranee alle spese funerarie; aggiunge che le spese di successione sono a carico solidale dei coeredi e che la sentenza non ha neppure dato giustificazione del riconoscimento delle spese a favore di NOME COGNOME.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui contesta che le spese dovessero essere riconosciute a favore della moglie del de cuius NOME COGNOME, in quanto la sentenza ha accertato in fatto che ella aveva dimostrato di avere anticipato le spese di cui chiedeva ai coeredi il rimborso pro quota.
Per il resto il motivo è infondato, perché è acquisito che le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell’apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 cod. civ., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto a ottenerne il rimborso da parte dei coeredi, sempre che non si tratti di spese eccessive, sostenute contro la loro volontà (Cass. Sez. 2 2-22016 n. 1994 Rv. 638787-01, Cass. Sez. 2 12 maggio 2017 n. 11971, non massimata, per tutte). Nella fattispecie la sentenza ha valutato non eccessive anche le spese relative al sepolcro ed effettivamente il relativo apprezzamento in fatto risulta immune da vizi logici e giuridici; infatti, si deve considerare che la Corte d’appello ha eseguito tale apprezzamento in relazione alla metà delle spese relative al sepolcro e al dato che nelle spese funerarie vanno ricomprese non solo le spese per la tumulazione in senso stretto, ma anche le spese per il loculo e perciò, nella fattispecie, le spese per la costruzione della tomba.
Il motivo è infondato anche con riguardo al l’imposta di successione, in quanto tale imposta ai sensi dell’art. 36 d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 costituisce debito della massa ereditaria al cui
pagamento i coeredi sono tenuti in proporzione delle rispettive quote ereditarie (Cass. 11971/2017 già citata). Si tratta cioè di onere che sorge in conseguenza dell’apertura della successione, pur dovendo essere distinto dai debiti ereditari -e cioè dai debiti esistenti in capo al de cuius e che si trasmettono con il patrimonio del medesimo a coloro che gli succedono-; tale onere grava sugli eredi per effetto dell’acquisto dell’eredità, concorrendo a costituire il passivo ereditario, che è composto sia dai debiti del defunto sia dai debiti dell’eredità; quindi, colui che ha anticipato l’intera spesa, in ragione della relativa responsabilità solidale tra i coeredi, ha diritto di ottenerne il relativo rimborso pro quota.
4.Con il quarto motivo, intitolato deducendo ex art. 360 co. 1 n. 3 e 4 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., del D.M. 55/2014 e dell’art. 92 co.1 cod. proc. civ. in relazione all’art. 88 cod. proc. civ., il ricorrente censura la statuizione sulle spese di lite, dichiarando che nessun addebito di eccessive pretese o inutili resistenze sia imputabile al ricorrente, neppure con riguardo al debito nei confronti del padre, stante la prova raggiunta con la testimonianza; quindi sostiene che l’esito del giudizio ‘rientra nell’ambito dello scioglimento della comunione’ e che le spese debbano essere poste interamente a carico della massa ereditaria; aggiunge che il conteggio delle spese e dei compensi sia stato abnorme e che i calcoli ineriscano ai cinque terzi, in contrasto con quanto affermato nella parte motiva di suddivisione di compensi e spese in tre terzi e lamenta che il giudice abbia omesso di applicare l’art. 92 in relazione all’art. 88 cod. proc. civ.
Il motivo è infondato laddove deduce la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. nei giudizi di divisione, perché la sentenza ha esposto e applicato il principio corretto e consolidato, secondo il quale nei procedimenti di divisione giudiziale le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate
nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite a eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione (Cass. Sez. 2 3-5-2024 n. 12068 Rv. 671485-02, Cass. Sez. 2 24-1-2020 n. 1635 Rv. 65684801, Cass. Sez. 2 8-10-2013 n. 22903 Rv. 62829501). L’affermazione del ricorrente secondo la quale egli non avrebbe avanzato pretese eccessive o inutili resistenze in quanto la testimone aveva dimostrato che il debito era stato pagato è evidentemente basata su quella convinzione che è risultata erronea anche all’esito del giudizio di legittimità.
Per il resto, tutte le deduzioni del ricorrente sono inammissibili.
Con riguardo alla doglianza in ordine alla mancata compensazione delle spese si deve dare continuità all’indirizzo secondo il quale, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare le spese in tutto o in p arte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri motivi che giustifichino la compensazione (Cass. Sez. 6-3 17-10-2017 n. 24502 Rv. 646335-01, Cass. Sez. 5 31-3-2017 n. 8421 Rv. 643477-02, Cass. Sez. 5 19-6-2013 n. 15317 Rv. 62718301).
La doglianza in ordine al mancato rispetto del D.M. 55/2014 è inammissibile per l’assoluta genericità, non indicando il ricorrente quali parametri sarebbero stati violati e con riguardo a quali importi e non essendo ipotizzabile riversare sulla Suprema Corte un controllo complessivo su tutte le voci dei compensi per accertarne la conformità al D.M. 55/2014. Ugualmente rimane estraneo al sindacato di
legittimità il dato che, nell’eseguire il conteggio dei singoli importi per le quote alle quali ha affermato di fare riferimento, la Corte d’appello possa essere incorsa in errori materiali; il ricorrente non individua tali errori materiali che, comunque, se esistenti, trovano la sede di correzione nel relativo procedimento ex artt. 287 e ss. cod. proc. civ.
In conclusione il ricorso è integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il 23-9-2025
Il Presidente
NOME COGNOME