Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14007 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14007 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3602/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in FIRENZE, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che li rappresenta e difende.
-RICORRENTE- contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECOGNOME -CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1477/2023, depositata il 06/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 17670/2022, questa Corte di legittimità ha parzialmente riformato la pronuncia della Corte d’appello di Firenze , che aveva ritenuto legittima la delibera Consob con cui era stata
contestato ai reclamanti l ‘illecito di cui all’art. 187 ter, commi 1 e 3 lett. c) d.lgs. n. 58/1998, con applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per complessivi € 150.000 ne i confronti NOME COGNOME ed € 300.000 ,00 nei confronti di NOME COGNOME oltre alla misura interdittiva accessoria di cui all’art. 187 quater del d.lgs. n. 58/1998.
La pronuncia di legittimità ha ritenuto fondato il sesto motivo di ricorso concernente la quantificazione della sanzione, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 21 marzo 2019, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, nella parte in cui escludeva l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dal comma 3 dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui all’art. 187 ter del d.lgs. n. 58 del 1998, occorrendo tener conto dei nuovi limiti edittali, ridotti per i minimi da €. 100,000 ad € 20.000,00 e per i massimi da € 25.000.000,00 ad € 5.000.000,00 , ai sensi dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015.
Riassunta tempestivamente la causa, la Corte distrettuale ha quantificato la sanzione pecuniaria applicata a NOME COGNOME NOME in € 60.000,00, e quella applicata a NOME COGNOME in complessivi € 120.000,00, confermando la misura interdittiva e regolando le spese processuali.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato ad un unico motivo.
Il Consigliere delegato ha proposto la definizione accelerata del ricorso ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. , ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso.
Su istanza dei ricorrenti, che hanno chiesto la decisione, è stata fissata l’adunanza camerale, in prossimità della quale sono state depositate memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 384 c.p.c. , lamentando che la Corte distrettuale abbia violato i principi stabiliti dalla pronuncia di cassazione poiché, nel rideterminare la sanzione, avrebbe proceduto ad una nuova valutazione degli elementi in fatto, sposando un principio utilizzato alla giurisprudenza penale in occasione delle modifiche in tema di reati in materia di stupefacenti. Si evidenzia che i nuovi minimi e massimi non sono fissati in modo indipendente gli uni dagli altri e che il legislatore ha operato una riduzione proporzionale di entrambi, per cui i valori medi rispetterebbero la gradualità prevista dalla precedente disciplina. L’intervento no rmativo imporrebbe di applicare in via automatica la de-quintuplicazione della sanzione media originariamente irrogata, essendo ingiustificata la triplicazione del minimo disposta dalla Corte di merito, considerato lo scopo perseguito dal legislatore di mitigare il trattamento sanzionatorio.
Si afferma che la COGNOME aveva riportato in sede penale una pena inferiore al minimo edittale, e che, per giunta, non sussisteva la manipolazione informativa o era comunque di minima gravità.
I ricorrenti espongono che i comunicati non erano né falsi, né facoltativi, e che non rispondeva al vero che le comunicazioni intendevano rassicurare il mercato sul fatto che nulla fosse mutato quanto al controllo della CHL, mancando inoltre prova del carattere fittizio dell’acquisto delle azioni.
Negano che l’operazione avesse lo scopo di rendere pubbliche le vendite delle azioni e che il COGNOME fosse stato incaricato da terzi di operare sul titolo in modo che non si riducesse il prezzo delle partecipazioni.
Si assume che il fatto che i mercati fossero stati edotti della volontà di NOME COGNOME di cedere le azioni non aveva avuto alcun impatto.
Anche le contestazioni mosse al COGNOME sarebbero infondate, non avendo questi immesso ordini di acquisto su incarico di terzi in
attuazione di un progetto comune e non essendosi avverato alcun impatto significativo sulle valutazioni delle azioni.
2. Il motivo è infondato.
Non è dato porre in discussione i fatti definitivamente accertati e posti a fondamento della pronuncia di legittimità e dunque la consumazione degli illeciti così come contestati, dovendo il giudice di rinvio semplicemente ricalcolare la sanzione alla luce del mutato quadro normativo.
Appare, inoltre, coerente con la pronuncia di legittimità il metodo che ha condotto alla nuova quantificazione della sanzione all’esito della complessiva rivalutazione delle circostanze di fatto definitivamente acquisite.
Non può sostenersi, infatti, che il giudice di rinvio avrebbe dovuto limitarsi ad applicare un criterio proporzionale di tipo aritmetico, attenendosi alla medesima proporzione originariamente stabilita dall’organo di controllo per stabilire l’importo della sanzione (una volta e mezzo il minimo edittale): nella sentenza di legittimità era stato precisato che, ancorché la misura della sanzione pecuniaria concretamente irrogata dalla Consob – e confermata dalla sentenza impugnata -fosse contenuta all’interno della forbice edittale mitior introdotta dal decreto legislativo 72/2015, il mutamento normativo imponeva una ‘ riconsiderazione del ragionamento svolto in sede di merito ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio ‘ , con ciò volendosi affermare che occorreva appunto rivalutare i fatti accertati al solo scopo di pervenire alla giusta sanzione nel mutato quadro normativo secondo gli ordinari criteri previsti dall’art. 133 c.p., senza che alcun condizionamento potesse discendere dalla misura della pena calcolata prima della declaratoria di incostituzionalità.
Tale compito è stato compiutamente svolto, avendo la pronuncia affermato che l’adozion e del criterio proporzionale aritmetico rispetto al precedente calcolo avrebbe condotto ad un risultato
insoddisfacente sotto il profilo sanzionatorio, privo di afflittività, in considerazione della durata dell’il lecito e della portata e degli scopi dell’operazione, apprezzamento che giustifica la quantificazione operata secondo le indicazione somministrate dalla pronuncia di legittimità.
Il ricorso è quindi respinto, con aggravio delle spese processuali. Poiché l’impugnazione è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis, cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell ‘art. 96, c.p.c., con conseguente condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass. S.u. 27433/2023; Cass. s.u. 27195/2023; Cass. s.u. 27947/2023).
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad € 7.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%, nonché di € 3.500 ,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.; e dell’ulteriore importo di € 3.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione