Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27137 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27137 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 22436/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso per procura speciale del 29 gennaio 2024 dall’AVV_NOTAIO di Suni il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, il quale chiede di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
– controricorrente –
avverso l ‘ordinanza della Corte di appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, depositata in data 20 gennaio 2020;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME acquistava il 10/7/2002 dal RAGIONE_SOCIALE i mappali numeri 1630 e 1632, della superficie complessiva di mq 2000 (sui quali era costruito un capannone), con l’obbligo di presentare entro il termine di un anno il progetto esecutivo di ampliamento del preesistente insediamento produttivo in fase di attuazione nel lotto già di sua proprietà, prevedendosi comunque l’obbligo di realizzare l’ampliamento entro il termine di tre anni.
Nella scrittura privata si prevedeva all’art. 8 che «l’ampliamento dell’investimento produttivo di cui all’art. 7 deve intendersi quale evento condizionante dell’efficacia della presente vendita» (così si legge nella sentenza TAR RAGIONE_SOCIALE, Cagliari, 5/5/2017, n. 294).
L’altra porzione di terreno (di complessivi mq 3436) di cui al mappale 1868 del foglio 32, della superficie di mq 3586 era pervenuta al COGNOME da acquisti in libero mercato con atti del 6/12/1994 e del 9/2/1996, per i 2/3, oltre che per donazione del 20/3/1997, per il residuo terzo.
Il terreno complessivo di proprietà dell’attore, sito interamente all’interno del perimetro del RAGIONE_SOCIALE, era di mq 5436 (mq 2000 + ma 3436).
Con la nota delle 10/12/2003 il RAGIONE_SOCIALE rilevava la mancata presentazione nei termini del progetto di ampliamento.
Successivamente il RAGIONE_SOCIALE comunicava che la «pratica rimane sospesa fino al compimento delle indagini» da parte della Guardia di Finanza.
Il COGNOME, allora, inoltrava istanza di sollecito.
Il RAGIONE_SOCIALE, con ricorso del 7/5/2013, agiva dinanzi al tribunale di Tempio Pausania per l’accertamento del mancato avveramento dell’evento condizionante di cui all’art. 8 del contratto di vendita il 10/7/2002, oltre che per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto.
Nelle more di tale giudizio il RAGIONE_SOCIALE con il provvedimento n. 3292 del 23/7/2015 disponeva l’acquisizione, ai sensi dell’art. 63 della legge 23/12/1988, n. 448, di entrambi i lotti. Si trattava in questo caso della residua area, distinta da quella occupata dal capannone, oggetto peraltro di autonomo ricorso.
Con nota n. 5234 del 27/11/2015 il RAGIONE_SOCIALE disponeva l’acquisizione, ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 23/12/1998, di entrambi i lotti sopra descritti.
Con nota del 27/11/2015 il RAGIONE_SOCIALE comunicava al ricorrente l’avvio del procedimento in via di autotutela per la convalida del provvedimento impugnato n. 3292 del 2015, con rideterminazione in riduzione della superficie di esproprio.
3.1. Successivamente, con provvedimento n. 49 del 11/1/2016, il RAGIONE_SOCIALE convalidava, ai sensi dell’art. 21nonies , comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento di acquisizione immobiliare n. 3292 del 23/7/2015, con rideterminazione della superficie di acquisizione in proprietà.
Avverso tale ultimo provvedimento presentava opposizione alla stima il ricorrente dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.
Si costituiva il RAGIONE_SOCIALE eccependo la decadenza del ricorrente dall’azione rispetto al primo provvedimento n. 3292 del 23/7/2015, con il quale si erano definitivamente prodotti gli effetti del riacquisto,
confermato e convalidato con il successivo provvedimento del 11/1/2016, che ne aveva modificato soltanto l’estensione.
Inoltre, il RAGIONE_SOCIALE eccepiva l’inammissibilità dell’opposizione per essere stata proposta dinanzi alla Corte d’appello in unico grado, rimedio applicabile al solo procedimento di espropriazione.
Si deduceva anche il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo.
Nel merito, si chiedeva il rigetto dell’opposizione in quanto l’area era stata correttamente stimata in base al criterio legale del valore attualizzato d’acquisto previsto dall’art. 63 della legge n. 448 del 1998.
6. La Corte d’appello di Cagliari, dopo l’espletamento della CTU, con ordinanza n. 182/2020 del 20/1/2020, determinava il valore dell’area oggetto di riacquisto da parte del RAGIONE_SOCIALE in complessivi euro 42.546,43. Compensava le spese di lite, ponendo quelle di CTU interamente a carico del RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alle eccezioni preliminari, la Corte territoriale rilevava che, ove dovesse trovare applicazione al caso di specie il ristretto termine di decadenza di 30 giorni previsto per l’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, tale termine non era stato superato, in quanto il COGNOME aveva depositato il ricorso il 10/2/2016, dunque nel termine di 30 giorni rispetto al provvedimento di convalida n. 49 del 11/1/2016, con il quale il RAGIONE_SOCIALE, nel rideterminare la superficie da acquisire, aveva anche liquidato una diversa indennità.
L’opposizione era stata poi legittimamente proposta dinanzi alla Corte d’appello in unico grado, nelle forme del rito sommario di cognizione, in attuazione del principio generale di attrazione alla giurisdizione della Corte d’appello in unico grado di tutte le cause in
cui si faccia questione dell’indennità dovute in conseguenza di provvedimenti ablatori.
Nel merito, la Corte territoriale rilevava che la particolare disciplina di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 trovava applicazione «anche nel caso in cui l’acquisto sia avvenuto direttamente da parte del privato».
Del resto, la norma, nel suo dettato letterale, faceva riferimento al «prezzo di acquisto delle aree», senza distinguere il soggetto al quale tale prezzo era stato corrisposto e con quali modalità.
La ratio della norma era poi quella di riferirsi ad aree comunque sottoposte a vincolo derivante dalla destinazione RAGIONE_SOCIALE, «dove l’acquisto diretto dell’area dall’imprenditore cui il lotto sia stato preassegnato dal RAGIONE_SOCIALE rappresenta solo un modo per accelerare la procedura ed evitare il rischio di contenzioso sulla fase di espropriazione, non già un’espressione tipica di libera contrattazione tra le parti poste in situazione di parità oggettiva».
Per tale ragione, «ai fini dell’esercizio della facoltà di riacquisto per la mancata attivazione del progetto RAGIONE_SOCIALE, non appare rilevante se l’area fosse stata ceduta dal RAGIONE_SOCIALE o dall’originario proprietario, quello che conta è che l’area fosse inclusa nel piano di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Vi era, poi, altro procedimento di riacquisto, anch’esso opposto dal COGNOME, con diverso procedimento di opposizione alla stima, in relazione alla superficie di 2000 m² sul quale insisteva il capannone.
Il CTU aveva proceduto alla stima secondo il criterio legale del «prezzo d’acquisto attualizzato», da considerarsi quale norma speciale rispetto al criterio del «valore venale» applicabile invece in tema di espropriazione.
Da ciò conseguiva che l’indennizzo da corrispondere era commisurato in un valore inferiore rispetto al valore di mercato del bene.
Il CTU aveva dunque stimato il valore in complessivi euro 40.057,43, tenendo conto dell’intera estensione dell’area oggetto del provvedimento RAGIONE_SOCIALE, acquistata dal COGNOME in distinti momenti («1/3 di 2090 m² con la scrittura privata autenticata nelle firme dal AVV_NOTAIO in RAGIONE_SOCIALE il 6/12/1994 al prezzo di lire 12.273,07 mq (6,34€/mq) per un totale di lire 8.850.239; 1/3 di 1346 mq il 12/2/996 al prezzo di 1500 lire/mq (0,77 €/mq) per un totale di 673.000 lire; mentre i 2000 mq dei mappali 1630 e 1632 sono stati acquistati il 10/7/2002 al prezzo di 19.831,94 euro, di cui risultano effettivamente versati soltanto euro 13.221,30»).
Il totale era mq 5436 (mq 2090 + mq 1346 + mq 2000). Per l’importo complessivo di euro 40.057,43, dovendosi tenere conto anche della porzione della superficie pervenuta al COGNOME per donazione il 20/3/1997 (i 2/3 dei beni).
Veniva poi riconosciuta l’indennizzabilità della sola recinzione del mappale 1211, unica opera risultata fornita di titolo edilizio conforme ai progetti, stimata dal CTU in euro 2489,00.
Il prezzo complessivo attualizzato era allora di euro 42.546,43.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta, con il deposito di due sentenze del giudice amministrativo pronunciate dopo la proposizione del controricorso avvenuta il 24 settembre 2020.
CONSIDERATO CHE:
Anzitutto, deve essere ammessa la produzione delle due sentenze del giudice amministrativo (TAR RAGIONE_SOCIALE, n. 553 del
28/5/2021 e Cons. Stato, n. 5805 del 18/1/2022) passate in giudicato dopo la presentazione del ricorso per cassazione e della predisposizione del controricorso contenente ricorso incidentale.
Infatti, il giudicato cosiddetto esterno può essere dedotto e provato anche per la prima volta in sede di legittimità, purché, però, esso si sia formato dopo la conclusione del giudizio di merito o dopo il deposito del ricorso per cassazione (Cass., sez. 5, 18/10/2017, n. 24531; anche Cass., sez. 2, 222/1/2018, n. 1534; Cass., sez., 6-5, 1/6/2015, n. 11365, che consente la produzione dei documenti giustificatici del giudicato fino all’udienza di discussione; Cass., sez. 5, 7/5/2008, n. 11112).
Si è, infatti, ritenuto che nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata; tale elemento non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando, quindi, della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ” ne bis in idem “, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che
potevano essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato, i quali, comprovando la sopravvenuta formazione di una ” regula iuris ” cui il giudice ha il dovere di conformarsi, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso (Cass., sez. 1, 23/12/2010, n. 26041; Cass., Sez.U., 12/6/2006, n. 13916).
1.1. Con il primo motivo di impugnazione principale il ricorrente COGNOME deduce la «violazione e falsa applicazione, in parte qua , dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 e di conseguenza violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001. Violazione, con riferimento alla procedura ex art. 63, gli articoli 7 ed 8 della legge n. 241 del 1990».
In particolare, la previsione di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 – ad avviso del ricorrente – non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame, in quanto il RAGIONE_SOCIALE, avvalendosi della sua potestà di amministrazione pubblica, ha inteso acquisire aree di proprietà di terzi ricadenti nel perimetro RAGIONE_SOCIALE, «di cui il RAGIONE_SOCIALE non è mai stato proprietario».
L’art. 63 della legge n. 448 del 1998 disegnerebbe, allora, una procedura speciale, volta a semplificare la retrocessione di beni «già di proprietà dei consorzi e da questi ceduti per essere utilizzati a fini produttivi».
Ma per tale ragione l’art. 63 citato, trattandosi di retrocessione di un bene avente un prezzo già definito ed accettato dalle stesse parti in sede di vendita, prevede che il prezzo da restituire dovrà essere pari a quello ricevuto, salva l’attualizzazione dello stesso a causa della svalutazione monetaria.
Pertanto, l’art. 63 della legge n. 448 del 1998 troverebbe applicazione solo alla retrocessione di beni ceduti dei consorzi (già proprietari degli stessi per precedenti acquisti o espropriazioni), stabilendo la condizione (mancato adempimento dell’assegnatario nel termine previsto) per il riacquisto ed il quantum da restituire.
Tale articolo di legge, però, non sarebbe applicabile all’acquisizione, da parte dei consorzi, «di beni di proprietà di terzi, di cui i consorzi e segnatamente i RAGIONE_SOCIALE, non hanno mai avuto la proprietà e, per l’effetto, non essendo stati oggetto di cessione da parte degli stessi, non possono essere riacquistati».
Il RAGIONE_SOCIALE potrebbe divenirne proprietario, ma «con regolare procedimento di espropriazione ex d.P.R. n. 327/2001».
Tra l’altro, in caso di donazione per i 2/3 dell’area, come avvenuto nella specie, non sussisterebbe un prezzo pagato al RAGIONE_SOCIALE, da restituire.
L’art. 63 della legge n. 448 del 1998 «non è assimilabile, come vorrebbe taluna superficiale giurisprudenza amministrativa, ad esproprio di aree di proprietà di terzi ricadenti nell’ambito della zona consortile e, come tali, assoggettate a vincolo espropriativo».
Mancherebbe, semmai, nella procedura espropriativa ex d.P.R. n. 327 del 2001, «la fase del procedimento relativa alla dichiarazione della pubblica utilità, essendo questa insita nella inclusione delle aree nel perimetro RAGIONE_SOCIALE».
Nella specie, la superficie di terreno di mq 3436 che il RAGIONE_SOCIALE ha inteso acquisire con una semplice determina (unitamente a quella di metri quadri 2000 rientrante, invece, nella disciplina di cui alla legge 448/98) era stata acquistata per una quota pari ad 1/3 dalla COGNOME in libero mercato e, per le restanti quote, ricevuta in donazione, per cui «non avrebbe potuto essere riacquistat dal RAGIONE_SOCIALE, con
ricorso alla procedura specifica ex art. 63 della menzionata legge, ma solo espropriato».
Venivano citate, poi, sentenze del giudice amministrativo che, invece, riconoscevano l’applicazione dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 anche al riacquisto, o meglio all’acquisto di aree che il privato aveva acquisito sul libero mercato.
In tal caso, si attribuiva il medesimo valore alle parole «riacquistare» ed «acquistare».
Con il secondo motivo di impugnazione principale il ricorrente lamenta la «violazione degli articoli 16,20,21,26 e 27 del d.P.R. n. 327 del 2001 nel caso in cui codesta Ecc.ma Corte, accogliendo la nostra tesi, ritenesse applicabile, al caso di specie, la procedura espropriativa ex d.P.R. n. 327 del 2001. Inammissibilità o improponibilità del ricorso ex art. 702bis c.p.c.».
In sostanza, per il ricorrente il RAGIONE_SOCIALE ha instaurato un procedimento ablativo di beni di proprietà di terzi, ricorrendo però «ad una procedura errata: determina di acquisizione».
Il RAGIONE_SOCIALE, invece, avrebbe dovuto avvalersi, nel caso specifico, delle norme di legge sulle espropriazioni per pubblica utilità e notificare al COGNOME l’avvio del procedimento espropriativo previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 327 del 2001, con l’indicazione del responsabile del procedimento e avrebbe dovuto attivare, al fine della determinazione dell’indennità di esproprio, quanto previsto dagli articoli 20 e 21 del d.P.R. n. 327 del 2001. Solo successivamente avrebbe potuto adire la Corte d’appello per la giusta quantificazione dell’indennità di esproprio.
Il RAGIONE_SOCIALE, dunque, avrebbe «emesso un abnorme provvedimento di acquisizione dei beni di proprietà di terzi, saltando tutta la procedura espropriativa».
La Corte territoriale non ha rilevato alcunché circa la mancanza dei presupposti (avvio del procedimento, determinazione e deposito dell’indennità, provvedimento di esproprio) per dare ingresso al ricorso ex art. 702bis volto alla determinazione dell’indennità dovuta.
Il ricorso ex art. 702bis c.p.c. – ad avviso del ricorrente – doveva essere dichiarato d’ufficio improponibile od inammissibile «per mancato rispetto del procedimento espropriativo e segnatamente degli articoli citati, che ne costituiscono presupposto legittimante».
A nulla rileverebbe il fatto che «sia stato il COGNOME a ricorrere impropriamente alla Corte d’appello e che, al riguardo, il RAGIONE_SOCIALE nulla abbia rilevato».
Con il primo motivo di impugnazione incidentale il RAGIONE_SOCIALE deduce «art. 360, primo comma n. 3, c.p.c. Violazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 e dell’art. 21nonies , comma 2, legge n. 241 del 1990, in ordine alla eccezione preliminare della RAGIONE_SOCIALE di inammissibilità del ricorso in opposizione alla stima».
La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere tempestivo il ricorso di primo grado. Infatti, il dies a quo per il computo del termine perentorio di opposizione alla stima ex art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 non può decorrere, come ritenuto dal primo giudice, dalla notifica di un provvedimento di convalida (n. 49 del 2016), che abbia lasciato del tutto inalterato ed abbia anzi espressamente «confermato negli effetti» la stima già notificata, avendo disposto solo una piccolissima rettifica in diminuzione della superficie espropriata.
La determinazione di esproprio e di stima definitiva è stata notificata al COGNOME sin dal 17/8/2015, come dimostrato dal fatto che egli ha impugnato tempestivamente tale atto con ricorso al Tar del
21/10/2015, senza però interporre opposizione alla stima di esproprio.
Il successivo atto n. 49 del 2016 non poteva restituire nei termini il ricorrente per il giudizio di opposizione contro la stima.
Quest’ultimo, infatti, era soltanto un atto di convalida, ex art. 21nonies della legge n. 241 del 1990, essendosi avveduto il RAGIONE_SOCIALE che per soli 150 m² l’estensione della superficie espropriata riduceva il lotto residuo (cioè la parte non espropriata con il provvedimento n. 3292 del 2015) al di sotto della misura di mq 2000 che, per norma urbanistica, costituiva il «lotto minimo» per l’insediamento del capannone già esistente. Infatti, la differenza tra mq complessivi 5436 e mq 3586, oggetto del provvedimento del 23/7/2015 del RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dato come risultato mq 1850, mentre il lotto minimo era di mq 2000, ove era stato realizzato il capannone. Il provvedimento del 2016, allora, aveva inciso solo sull’estensione fisica dell’area espropriata, senza in alcun modo rimettere in discussione la determinazione della stima di esproprio, che restava confermata sia relativamente al criterio (attualizzazione del prezzo di acquisto) sia relativamente all’accertato valore unitario di euro 10/mq.
La Corte d’appello, dunque, ha errato nel considerare tale provvedimento come «novativo» quanto alla stima di esproprio.
Del resto, l’art. 21nonies della legge n. 241 del 1990 prevede un potere discrezionale della pubblica amministrazione di convalidare il provvedimento risultante in tutto o in parte illegittimo, qualora ragioni di pubblico interesse «consiglino di mantenerne gli effetti rimuovendo solo il vizio, anziché tutto il provvedimento». Il provvedimento resta, per tutto il resto, efficace ab origine e non sostituito.
La convalida è dunque un mezzo preordinato esattamente alla conservazione degli effetti dell’atto convalidato, e non certo «alla sua sostituzione mediante un nuovo provvedimento dell’amministrazione attiva».
Tale seconda possibilità (sostituzione degli effetti ex novo ed ex nunc ) presupponeva, non la convalida del provvedimento, ma la sua rimozione e successiva costituzione, ossia «l’annullamento d’ufficio con conseguente riedizione dell’iter procedimentale».
La Corte d’appello, invece, non ha considerato l’art. 21nonies , della legge n. 241 del 1990, facendo riferimento al «carattere innegabilmente innovativo» anche sulla parte non emendata dalla convalida.
Nella specie, dopo la notifica del provvedimento NUMERO_DOCUMENTO del 2015 il COGNOME ha interposto ricorso al Tar contro l’esproprio, ma non opposizione alla stima.
Con il secondo motivo di impugnazione incidentale il RAGIONE_SOCIALE deduce «art. 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c. Violazione dell’art. 63, comma 3, della legge n. 448 del 1998 e dell’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia e motivazione illogica in ordine a un fatto decisivo oggetto del contraddittorio in relazione alla decorrenza temporale dell’attualizzazione del prezzo di acquisto».
La Corte d’appello non si è pronunciata sulla «corretta decorrenza temporale del calcolo di attualizzazione del prezzo di acquisto previsto come criterio indennitaria dall’art. 63, comma 3, legge n. 448 del 1998».
La questione è stata affrontata nel contraddittorio tra le parti nel corso dell’espletamento della CTU, e segnatamente nelle osservazioni del RAGIONE_SOCIALE del 1/4/2019 (atto di valutazione e risposta della CTU alle osservazioni di parte 15/4/2019).
Il CTU ha operato la rivalutazione del prezzo di acquisto fino alla data del 31/1/2019, mentre il RAGIONE_SOCIALE ha contestato tale assunto perché la stima doveva essere fatta al momento dell’esproprio, avvenuto per effetto del provvedimento n. 3292 del 23/7/2015.
Ad avviso del ricorrente incidentale, «non è corretto continuare ad attualizzare il prezzo di acquisto durante il tempo in cui il bene appartiene già alla mano pubblica per effetto dell’esproprio stesso».
Il CTU, in risposta a tale obiezione, ha riferito di aver operato la rivalutazione fino alla data delle operazioni «per difetto di indicazioni normative precise sulle decorrenze da applicare», ed ha quindi rimesso la valutazione conclusiva giudice «demandando alla Ecc.ma Corte d’appello ogni decisione in merito».
Il RAGIONE_SOCIALE, con la memoria conclusionale depositata il 2/2/2019, ha sollecitato nuovamente la decisione del giudicante, ma senza esito, avendo la Corte «omesso di pronunciare sul punto controverso, decisivo almeno rispetto al valore dell’attualizzazione incorrendo nel vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.», ma anche in violazione di legge «ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per la violazione dell’obbligo ex art. 112 c.p.c di pronunciarsi su tutto quanto demandatole e falsa applicazione dell’art. 63, comma 3, della legge n. 448 del 1998, perché la stima dell’indennità deve essere riferita al momento dell’esproprio resta insensibile all’ulteriore decorso temporale, salva l’eventuale corresponsione di interessi legali in caso di ingiustificato ritardo nella corresponsione».
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente incidentale lamenta «art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ultrapetizione. Omessa pronuncia. Motivazione illogica e contraddittoria in ordine a un fatto decisivo oggetto del
contraddittorio in relazione alla estensione dell’area espropriata e alla conseguente misura dell’indennità».
La Corte d’appello ha quantificato l’indennità usando come moltiplicatore una superficie molto maggiore di quella oggetto di causa.
Nel dispositivo, infatti, è inclusa l’indennità di «euro 40.057,43 per prezzo attualizzato da acquisto del terreno», che chiaramente corrisponde all’estensione totale del compendio della COGNOME di mq 5436, comprensiva anche dei mappali 1630 e 1632 di metri quadri 2000 «a ben vedere estranei all’esproprio, alla domanda giudiziale, all’oggetto stesso della stima demandata dalla Corte al CTU».
Infatti, l’accertamento peritale era stato disposto dalla Corte sulla porzione corretta, ossia sull’estensione di mq 3436, facente parte del mappale 1868, pacificamente unico oggetto di esproprio in base agli atti n. 3292 del 2015 e n. 49 del 2016.
Il CTU ha distinto la parte espropriata in forza dei citati provvedimenti all’interno della maggiore superficie, rilevando che sulla superficie complessiva di mq 5436, l’oggetto del giudizio ricomprendeva esclusivamente mq 3436, ricadenti nella particella di cui all’mappale 1868 del foglio 32. I residui 2000 m² erano formati dalla somma delle superfici dei mappali 1630 e 1632 del foglio 32, e sugli stessi era stato edificato il capannone.
Pertanto, il CTU aveva distinto graficamente l’area inedificata, oggetto di esproprio e di causa, di mq 3436 facenti capo al mappale 1868, dal lotto che ospitava lo stabilimento «ivi colorato in giallo ed estraneo all’esproprio per cui è causa».
La Corte d’appello ha mostrato di aver compreso che l’oggetto del giudizio era esclusivamente il valore dell’area di 3436 m² «riacquistata dal RAGIONE_SOCIALE in forza dell’art. 63 legge 448 del 1998», oggetto dei provvedimenti n. 3292 del 2015 e n. 49 del 2016.
La Corte territoriale aveva anche fatto riferimento alla circostanza che i restanti 2000 m² «su qual insiste il capannone» erano oggetto «di un diverso provvedimento di riacquisto, anch’esso opposto dall’COGNOME con diverso procedimento di oppositore alla stima».
Ciononostante, la Corte ha infine disatteso le premesse ed ha indicato nella parte espositiva la stima riguardante l’intera superficie originariamente intesa dall’COGNOME, pari a mq 5436.
Ed infatti, l’importo di euro 40.057,43, indicato dalla Corte come stima accertata, si riferisce «a tale maggiore estensione e non a quelle espropriata oggetto della causa di 3436 m²».
Con il quarto motivo di impugnazione incidentale il ricorrente deduce «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione degli articoli 91-92 c.p.c. e del canone della soccombenza in relazione alla pronuncia sulle spese».
La Corte d’appello ha ritenuto che, trattandosi di giudizio di accertamento del giusto valore di acquisto del complesso immobiliare, rispetto al quale non era ravvisabile una parte soccombente, le spese della CTU erano definitivamente poste a carico del RAGIONE_SOCIALE, mentre quelle di lite erano interamente compensate tra le parti.
La Corte territoriale avrebbe dunque, ad avviso della ricorrente incidentale, posto a carico del RAGIONE_SOCIALE le spese di CTU, compensando le spese di lite, mentre «il giudizio di opposizione era stato promosso dal COGNOME, che ha visto rigettate sul piano sostanziale pressoché tutte le istanze di riforma della stima operata in via amministrativa dal RAGIONE_SOCIALE».
Infatti, il criterio del prezzo attualizzato da acquisto, già utilizzato dal RAGIONE_SOCIALE in sede amministrativa, era stato confermato dalla Corte.
Il valore unitario tratto dagli atti di acquisto, indicato dal RAGIONE_SOCIALE in euro 10 al metro quadrato, è stato ridotto dal CTU a euro 7,33 m². Il COGNOME aveva chiesto accertamento di un valore di euro 75 al metro quadrato.
Il valore dei soprassuoli indicato nella somma di euro 130.000,00 è stato escluso dalla stima di esproprio.
La domanda di risarcimento per la pretesa perdita di valore della residua porzione di opera COGNOME, non espropriata con gli atti n. 3292 del 2015 e n. 49 del 2016, è stata rigettata.
I primi due motivi di ricorso principale, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
7.1. Invero, questi in sintesi sono i fatti di causa.
NOME COGNOME ha acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE con atto del 10/7/2002 il compendio di cui è mappali 1630 e 1632, nella misura di mq 2000, ove ha edificato il capannone, con l’impegno di redigere il progetto esecutivo entro un anno.
Nel frattempo, al COGNOME sono pervenuti i terreni, per mq 3586, identificati nel mappale 1868 del foglio 32, di cui agli atti del 6/12/1994 e 9/2/1996, acquistati nel libero mercato da privati, per una parte, pari ad 1/3, oltre che per la donazione del 20/3/1997, per la residua parte, pari a 2/3.
In totale, il COGNOME aveva la proprietà di mq 5436, di cui mq 2000 acquistati dal RAGIONE_SOCIALE e mq 3436 acquistati da privati.
Il RAGIONE_SOCIALE con provvedimento n. 3292 del 23/7/2015 ha disposto l’acquisizione solo dell’area acquistata in libero mercato, ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, indicando però la superficie errata di mq 3586.
Al contrario, la residua area, di mq 2000, sulla quale era stato edificato il capannone, è stata oggetto di altro ricorso per opposizione alla stima.
Successivamente, con una nota del 27/11/2015 il RAGIONE_SOCIALE ha dato comunicazione alla COGNOME dell’avvio del procedimento di autotutela, per la riduzione della superficie riacquistata da mq 3586 a mq 3436, in modo che l’area di pertinenza del capannone non scendesse sotto il limite minimo di mq 2000.
Con provvedimento n. 49 del 11/12/2016 il RAGIONE_SOCIALE provvedeva alla convalida del precedente provvedimento.
Il provvedimento n. 3292 del 23/7/2015 è stato impugnato dal COGNOME dinanzi al Tar RAGIONE_SOCIALE, che con la sentenza del 5/5/2017, n. 294, ha respinto il giudizio, dichiarando inammissibile in parte per difetto di giurisdizione con riguardo all’ultimo motivo di ricorso del primo ricorso per motivi aggiunti relativi ad «una violazione procedimentale nel modo con cui si è pervenuti alla stima del valore dell’area».
Con cinque motivi di impugnazione dinanzi al Tar il ricorrente ha dedotto: 1) assenza del presupposto dell’inattività dell’attività imprenditoriale; 2) il RAGIONE_SOCIALE avrebbe utilizzato poteri pubblicistici per il conseguimento di un risultato che avrebbe dovuto conseguire attraverso un giudizio civile; 3) l’irrilevanza dell’intervenuta cancellazione del ricorrente dal registro delle imprese; 4) l’irrilevanza del cambio di destinazione d’uso da servizi nautici a deposito merci del preesistente insediamento edilizio; 5) mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
Il ricorrente ha poi proposto motivi aggiunti avverso il successivo provvedimento del RAGIONE_SOCIALE n. 49 del 11/11/2016: 1) scadenza del termine decennale di pubblica utilità decorrente dall’approvazione del PRI; 2) nell’edificio già realizzato il ricorrente avrebbe continuato ad esercitare l’attività di impresa; 3) «nuove argomentazioni addotte dal RAGIONE_SOCIALE a sostegno del provvedimento impugnato»; 4) l’amministrazione consortile intenderebbe mettere a disposizione le
aree a favore di altri soggetti dopo aver impedito al ricorrente l’investimento programmato; 5) il RAGIONE_SOCIALE avrebbe emendato il provvedimento originariamente impugnato solo per quanto riguarda la determinazione della superficie, mentre sarebbero restate confermate le altre illegittimità denunciate; 6) criterio di determinazione del valore dell’area seguito al RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti depositato il 16/3/2016 il ricorrente ha impugnato anche le delibere con le quali il RAGIONE_SOCIALE ha prorogato i vincoli di destinazione a carattere espropriativo.
Il Tar RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 294 del 2017, ha dichiarato il difetto di giurisdizione esclusivamente sull’ultimo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti, rigettando per il resto.
Il quadro normativo è rappresentato dall’art. 63 della legge 23/12/1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo RAGIONE_SOCIALE).
Al primo comma dell’art. 63 suddetto si prevede che « consorzi RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, nonché quelli costituiti ai sensi della vigente legislazione delle regioni a statuto speciale, hanno la facoltà di riacquistare la proprietà delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali nell’ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione».
Il secondo comma dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 dispone che «li stessi consorzi di cui al comma 1 hanno altresì la facoltà di riacquistare unitamente alle aree cedute anche gli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati nell’ipotesi in cui sia cessata l’attività RAGIONE_SOCIALE o artigianale da più di tre anni».
Al terzo comma si chiarisce che «ell’ipotesi di esercizio delle facoltà di cui al presente articolo i consorzi dovranno corrispondere al cessionario il prezzo attualizzato di acquisto delle aree e, per
quanto riguarda gli stabilimenti, il valore di questi ultimi come determinato da un perito nominato dal presidente del tribunale competente per territorio, decurtato dei contributi pubblici attualizzati ricevuti dal cessionario per la realizzazione dello stabilimento»
Inoltre, si prevede al quarto comma dell’art. 63 citato che «e facoltà di cui al presente articolo possono essere esercitate anche in presenza di procedure concorsuali» ed al quinto comma del medesimo articolo che «a Cassa depositi e prestiti è autorizzata a concedere mutui ai consorzi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione di infrastrutture industriali e per l’acquisizione di aree e di immobili da destinare agli insediamenti produttivi».
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la ratio dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 e quella di «favorire la concreta ripresa dell’attività economico-produttiva negli stabilimenti nei quali essa sia stata dismessa da almeno un triennio» (Cass., sez. 6-1, 23/11/2021, n. 36188, che richiama TAR Lazio, sez. IIbis , 15/5/2018, n. 5410).
È vero, dunque, che il procedimento di riacquisto disciplinato dall’art. 63 citato ha «natura espropriativa», ma si discosta dal procedimento ordinario per tutta una serie di peculiarità, giustificate dalla ratio dell’istituto.
In sostanza, già a monte della fase di assegnazione dell’area, la procedura è conformata in senso pubblicistico, in quanto «l’inclusione di un’area nel piano regolatore territoriale ed il suo conseguente assoggettamento a vincolo per la realizzazione di un insediamento ASI comportano ex lege dichiarazione di pubblica utilità delle opere ivi previste, facendo sorgere, in capo al RAGIONE_SOCIALE, i poteri esecutivi in ordine al procedimento espropriativo» (Cass., n. 36188 del 2021, che cita Cons. Stato, 664 del 2012; Cons. Stato, 47
3/7/2005; Tar Roma, Lazio, sez. I, 12/5/2021, n. 5583; Tar Latina, Lazio, sez. I, 18/4/2018, n. 206).
La procedura di «riacquisizione», dunque, concerne un tipico procedimento amministrativo finalizzato alla tutela di un interesse di natura pubblicistica, ossia volto alla reindustrializzazione delle aree oggetto di acquisto.
Trattasi di un diritto potestativo attribuito ai consorzi che deve intendersi come un diritto potestativo pubblico (Cass., n. 36188 del 2021, che richiama Cass., Sez. U., 3763 del 2009).
Di particolare rilievo e, poi, l’affermazione per cui «quella delineata dall’art. 63 sopra citato costituisce una complessa vicenda, all’interno della quale non è consentito distinguere fra risoluzione e riacquisto, in quanto la prima non rappresenta un antecedente autonomo del secondo, ma integra soltanto uno dei passaggi di una fattispecie unitaria, così che non può essere contestato in maniera separata e davanti ad un giudice diverso da quello amministrativo» (Cass., n. 36188 del 2021, che richiama Cass., Sez. U., n. 4462 del 2011; Cass. nn. 22809 e 22810 del 2010)
Pertanto, le controversie relative al procedimento discrezionale che porta alla riacquisizione dei beni ceduti ai privati, inadempienti agli obblighi imposti dalla legge o dal contratto, devono essere trattate dal giudice amministrativo.
Al contrario, la domanda relativa al prezzo il riacquisto, integrando una questione di tipo meramente patrimoniale deve essere conosciuta dal giudice ordinario (in tal senso anche Cons. Stato, sez. IV, 5/5/2016, n. 1800).
È stato anche chiarito che per individuare la disciplina specifica, con la quale integrare l’art. 63 della legge n. 448 del 1998, va individuata la natura giuridica del potere di riacquistare i cespiti.
Ed infatti, il potere di riacquistare beni produce, in maniera unilaterale, l’effetto privativo di un diritto reale altrui, la sottrazione dello stesso al titolare e il suo trasferimento un altro soggetto.
Elementi sintomatici della connotazione in senso pubblicistico della facoltà di riacquisto, ad opera dei consorzi, sono rappresentati dalla determinazione autoritativa o comunque unilaterale del prezzo di acquisto dell’area e, eventualmente, anche dello stabilimento RAGIONE_SOCIALE o artigianale dismesso (previa stima ad opera di perito nominato dal presidente del tribunale), in base a quanto stabilito dall’art. 63, comma 3, della legge n. 448 del 1998, nonché dalla decurtazione, del prezzo da corrispondere, dell’ammontare dei contributi pubblici, eventualmente ricevuti dal concessionario per la realizzazione dello stabilimento e, infine, dalla possibilità di procedere alla riacquisizione anche se sia in corso una procedura fallimentare» (Cass., n. 36188 del 2021).
Si è, poi, chiarito che la controversia che sorge a seguito dell’esercizio da parte del RAGIONE_SOCIALE del potere di riacquisizione dei cespiti in precedenza ceduti, è contraddistinta da talune peculiarità, evidenziate anche dalla giurisprudenza amministrativa, «essendo l’istituto subordinato a presupposti, modalità e termini propri, non sovrapponibili al procedimento espropriativo delineato dal d.P.R. 327/2001» (Cass. n. 36188 del 2021).
Si è ritenuto, allora, non sussistente la competenza della Corte d’appello in unico grado a decidere la controversia di tipo meramente patrimoniale in ordine alla determinazione del prezzo per il riacquisto del bene originariamente ceduto da parte del RAGIONE_SOCIALE.
Ciò, in quanto l’estensione della competenza in unico grado della Corte d’appello opera solo in tutti i casi di determinazione giudiziale dell’indennità di esproprio nell’ambito di un «procedimento
espropriativo promosso secondo il modello delineato dalla citata legge (la l. del 1971)» (Cass., Sez.U., n. 7191 del 1997).
La procedura prevista dall’art. 63 della legge n. 448 del 1998, però, non contiene alcun rinvio alla normativa sull’esproprio all’epoca vigente e non è stata contemplata dal d.P.R. n. 327 del 2001, successivamente emanato.
Inoltre, si è aggiunto che, anche se non può fondatamente opporsi il rispetto del doppio grado di giurisdizione sul merito, avendone la Consulta escluso più volte la copertura costituzionale, tuttavia la competenza oggi contemplata dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 deve comunque essere definita speciale e quindi limitata solo alle controversie in tema di indennità ed in materia stricto sensu espropriativa quali disciplinate dal d.P.R. 327/2001 (Cass., n. 36188 del 2021).
Con la precisazione che, trovando il procedimento in oggetto, in difetto di specifica e diversa disposizione normativa, la sua disciplina nelle norme codicistiche ordinariamente applicabili, non vi sono gli estremi per un ricorso all’applicazione per analogia di una normativa speciale (Cass., n. 361 8/8/2021).
Ciò detto, si conclude nel senso che per le controversie aventi ad oggetto le questioni patrimoniali correlate al procedimento dettato dalla legge n. 448 del 1998, l’art. 63, non trova applicazione il procedimento di opposizione alla stima di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, che consente di proporre avanti la Corte d’appello nel cui distretto si trova il bene oggetto di acquisizione impugnazione degli «atti di determinazione dell’indennità» e comunque di «chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità», oggi in base al rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702bis ss. c.p.c. (ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, a cui il citato art. 54 TU espropri fa espresso rinvio)» (Cass., n. 36188 del 2021).
La questione sollevata con il ricorso principale da parte del COGNOME attiene alla asserita inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 in caso di acquisto delle aree nel libero mercato nella contrattazione tra privati.
Infatti, nella specie, la controversia attiene esclusivamente a mq 3436, relativi al mappale n. 1868 del foglio 32, con riferimento a terreni acquistati dal COGNOME (per 1/3) con atti del 6/12/1994 e delle 9/2/1996 da privati, oltre che oggetto di donazione del 20/3/1997 (per i 2/3).
La controversia non concerne, invece, la superficie di mq 2000, acquistata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE il 10/7/2002, riguardante i mappali 1630 e 1632, con l’impegno entro un anno di depositare il progetto esecutivo.
10.1. Parte della dottrina, optando per un perimetro limitato del concetto di «riacquisizione», ritiene che, nel caso in cui il RAGIONE_SOCIALE eserciti il diritto potestativo di riacquisto nei confronti di terreni acquistati dal privato sul libero mercato, non sia possibile applicare la disciplina di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998.
Tra gli elementi costitutivi della fattispecie, infatti, si colloca il presupposto rappresentato dalla cessione delle aree da parte del RAGIONE_SOCIALE al cessionario. Si può, dunque, riacquistare – da parte del RAGIONE_SOCIALE -solo ciò di cui si è già stati titolari.
Il riacquisto implica che a monte vi sia stato un precedente atto di acquisto o, comunque, un’originaria titolarità e una successiva cessione.
Da ciò, la conclusione per cui il legislatore utilizza espressioni che presuppongono l’originaria titolarità del bene da parte del RAGIONE_SOCIALE, tant’è vero che per la determinazione del prezzo di acquisto si fa riferimento al «prezzo attualizzato di acquisto» ossia al prezzo pagato al RAGIONE_SOCIALE dal concessionario.
Si ritiene che sarebbe illogico fare riferimento ad un prezzo diverso, quale, ad esempio, quello relativo all’alienazione intercorsa tra privati.
Si fa, dunque, l’ipotesi in cui il RAGIONE_SOCIALE non ha mai acquistato le aree in questione, non ne è mai stato titolare, ed è stato sempre estraneo agli atti di acquisto.
In tal caso, per la dottrina, non sussisterebbero presupposti richiamati dalla norma in quanto, innanzitutto, manca l’originaria titolarità del bene da parte del RAGIONE_SOCIALE; inoltre, difetterebbe il requisito della cessione, richiesto dalla norma con l’espressione «aree cedute per intrapresi industriali e artigianali».
In tale ipotesi vanno inclusi il caso in cui il soggetto, nei cui confronti si pretende di svolgere la procedura di acquisizione, sia l’originario proprietario dei suoli, come quello in cui le aree sono pervenute al cessionario per mezzo di un atto di acquisto, in regime di libero mercato, con l’originario provvedano del suolo.
10.1.1. Per tale dottrina – fautrice di un orientamento restrittivo – non può allora essere condivisa la tesi per cui l’esercizio del potere in esame sussisterebbe anche nel caso in cui il RAGIONE_SOCIALE non abbia compiuto alcuna alienazione di aree, sul presupposto che l’aggettivo «cedute», in relazione alle aree da riacquistare, vada «riferito anche a terzi, ovvero a soggetti diversi dai consorzi, che abbiano venduto o, comunque, alienato direttamente all’imprenditore».
A tale inquadramento osterebbe l’inequivocabile portata esegetica dell’espressione «facoltà di riacquistare». Tra l’altro in caso di diversa interpretazione, che consentisse il procedimento di acquisizione anche nei confronti dei privati che hanno acquistato i terreni da terzi, vi sarebbe una disparità di trattamento irragionevole nel consentire al RAGIONE_SOCIALE di sottrarre il bene al proprietario che lo abbia acquistato per impiantarvi un’impresa RAGIONE_SOCIALE o artigianale
e non, invece, al proprietario che originariamente, ossia prima del costituirsi del RAGIONE_SOCIALE stesso, ne sia il titolare.
10.2. Altra parte della dottrina opta, invece, per una tesi condivisa da questo Collegio -che amplia il perimetro della riacquisizione, nel senso che il diritto potestativo pubblico dei consorzi si estende anche ai terreni, inseriti nell’ambito dei progetti consortili, ma acquistati dai privati in via derivativa da terzi, e non dal RAGIONE_SOCIALE.
Ciò, in quanto gli imprenditori preassegnatari hanno acquistato le aree dei proprietari, godendo di contributi pubblici anche per l’acquisto.
L’intento del legislatore, al di là dell’espressione letterale usata, è stato palesemente quello di consentire ai consorzi di recuperare al fine di poterle riutilizzare – tutte le aree industriali e gli stabilimenti su esse sorti, nei quali sia cessata da tempo l’attività produttiva, senza distinguere tra aree espropriate dei consorzi stessi, e poi cedute alle imprese, ed aree che sono state acquistate direttamente dalle imprese preassegnatarie dei lotti.
10.3. Analoga contrapposizione si è constatata nella giurisprudenza amministrativa. Si è ritenuto, dunque, con una interpretazione restrittiva della norma, che il termine riacquisto indica chiaramente che il soggetto che acquisisce la proprietà delle aree è soggetto che ritorna ad essere titolare delle stesse, riferendosi etimologicamente all’atto della riacquistare al recupero di ciò che in precedenza si era perduto e che dunque apparteneva al soggetto medesimo (TAR Salerno, 22/12/2005, n. 3040). Si è affermato che la facoltà di riacquisto sussiste sicuramente per le aree cedute dal RAGIONE_SOCIALE, ma non per quelle cedute da terzi privati (TAR Salerno, n. 7 8/7/2005).
10.4. Altra giurisprudenza amministrativa, in realtà, – attraverso un’interpretazione estensiva -è andata di contrario avviso, reputando che la disciplina di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 si applica anche nel caso di terreni che il privato non ha acquistato dal RAGIONE_SOCIALE, ma nel libero mercato da terzi (Cons. Stato, 18/12/2009 e 7/2/2012, n. 664).
Nella specie – come osserva il Cipnes nella memoria depositata – la questione è già stata affrontata dalla sentenza del Tar RAGIONE_SOCIALE, Cagliari, 5/5/2017, n. 294, sul ricorso presentato dal COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
Si legge, in motivazione che «preliminarmente, peraltro, non è superfluo ricordare che, come già precisato dal tribunale (Tar RAGIONE_SOCIALE, sez. II, n. 1122 del 23/12/2014), la potestà di riacquisto di cui al predetto art. 63 della legge n. 448/1998 azionata dal RAGIONE_SOCIALE, costituendo espressione di un potere ablatorio speciale rispetto al più generale potere espropriativo, può legittimamente esercitarsi anche su aree acquistate in via negoziale da privati».
Tale sentenza concerne la piena legittimità del provvedimento di riacquisizione adottato dal Cipnes, in tutte le sue esplicazioni di legittimità dello stesso.
Ciò vale anche con riferimento alle due sentenze amministrative prodotte in sede di memoria (TAR RAGIONE_SOCIALE n. 553 del 28/5/2021 e Cons. Stato, n. 5805 del 18/1/2022) ove si è affermato – nel giudizio vertente tra le stesse parti ed avente ad oggetto il provvedimento di riacquisizione del terreno su cui è stato realizzato il capannone, della estensione di mq. 2000 – che il diritto potestativo pubblico può essere esercitato anche sugli immobili acquistati da privati e non direttamente dal RAGIONE_SOCIALE.
Il Consiglio di Stato ha osservato sul punto che «lo scopo è consentire che le zone industriali siano sempre soggette allo spedito
ed effettivo uso produttivo», sicché «per raggiungere tale finalità, nei casi in cui si rende necessario il riacquisto, non ha nessun rilievo che l’utilizzazione produttiva sia venuta meno per la condotta del soggetto cui è stata attribuita originariamente la titolarità dell’area o di un suo avente causa: il legislatore ha inteso evitare un vuoto fisico nel tessuto urbanistico RAGIONE_SOCIALE, che potrebbe avvilirne la vitalità economica complessiva a scapito del territorio dell’economia locale o nazionale, oltre evitare condotte di tipo speculativo che si limitino ad attendere una rivalutazione dell’area assegnata per effetto dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE delle zone circostanti» (cfr. Cons. Stato, 18/1/2022, n. 5805).
Il Consiglio di Stato ha parametrato la sua decisione alla verifica della legittimità del provvedimento adottato dal Cipnes.
Risulta, pertanto, condivisibile l’affermazione della Corte territoriale che ha ritenuto che il provvedimento di riacquisizione di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 ha ad oggetto tutte le aree comunque sottoposte a vincolo derivante dalla destinazione RAGIONE_SOCIALE, anche quelle acquistate da privati e non cedute dal RAGIONE_SOCIALE.
Ciò, del resto, risulta del tutto coerente con la destinazione RAGIONE_SOCIALE dei terreni rientranti nell’area perimetrata dal RAGIONE_SOCIALE e, dunque, «conformati» alle esigenze pubblicistiche sottese al piano di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
12. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
La doglianza del RAGIONE_SOCIALE muove dall’assunto che sarebbe decorso il termine di 30 giorni cui all’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011, richiamato dall’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001.
Ad avviso della ricorrente incidentale la Corte territoriale avrebbe errato nel reputare rispettato il termine, in quanto avrebbe considerato esclusivamente il provvedimento di convalida n. 49
dell’11/11/2016, mentre avrebbe dovuto appuntare la sua attenzione sul precedente provvedimento del RAGIONE_SOCIALE n. 3292 del 23/7/2015.
Come detto in precedenza, per questa Corte alle questioni correlate al procedimento di cui alla legge n. 448 del 1998, art. 63, non può trovare applicazione il procedimento di opposizione alla stima di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 che consente di produrre in unico grado, la Corte d’appello nel cui distretto si trova il bene oggetto di acquisizione, l’opposizione agli atti di determinazione dell’indennità, e comunque di chiederne la determina se giudiziale (Cass., 23/11/2021, n. 36188).
Va, invece, accolto il secondo motivo di ricorso incidentale.
In effetti, la questione in ordine al momento in cui computare il prezzo di acquisto, attraverso l’attualizzazione del prezzo di cessione, è stata trattata nel corso del processo.
Il CTU ha rimesso ogni decisione alla Corte d’appello, evidenziando «di avere operato la rivalutazione fino alla data delle operazioni per difetto di indicazioni normative precise sulle decorrenze da applicare», demandando, dunque, «alla Ecc.ma Corte d’Appello ogni decisione in merito».
Tuttavia, la Corte territoriale ha omesso di pronunciare sul punto controverso, incorrendo effettivamente nel vizio di omessa pronuncia.
Peraltro, il computo dell’indennizzo deve essere effettuato al momento del trasferimento della proprietà del bene in capo alla pubblica amministrazione, attraverso l’emissione del provvedimento di riacquisizione.
È fondato anche il terzo motivo di ricorso incidentale.
In effetti, erroneamente la Corte d’appello ha quantificato il prezzo di acquisto nella somma di euro 42.546,43, di cui euro
40.057,43 per prezzo attualizzato da acquisto del terreno ed euro 2489,00 per la recinzione del mappale 1211.
In tal modo, però, la Corte d’appello ha reputato che il procedimento di riacquisizione di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 si riferisse ad una superficie complessiva di mq 5436.
Al contrario, oggetto del procedimento di riacquisizione era esclusivamente il mappale n. 1868 del foglio 32, oggetto degli atti di acquisto della 6/12/1994 e del 9/2/1996, per 1/3, e di donazione del 20/3/1997, per i residui 2/3, per la superficie complessiva di mq 3436.
Del resto, in motivazione la Corte territoriale aveva ben compreso che l’oggetto della controversia era limitato alla superficie scoperta di mq 3436, non interessando la superficie coperta, occupata dal capannone, di mq 2000, di cui all’atto da acquisto del 10/7/2002, concernente i mappali n. 1630 e 1632 («trattandosi nel caso in oggetto di area innegabilmente inedificata – seppure a seguito di un precedente scorporo operato dallo stesso RAGIONE_SOCIALE dei restanti 2000 mq sul quale insiste il capannone, oggetto di un diverso provvedimento di riacquisto, anch’esso opposto dal COGNOME con il diverso procedimento di opposizione alla stima -, il consulente tecnico ha proceduto alla stima secondo il criterio legale del prezzo da queste attualizzato»).
Nello stesso quesito impartito al CTU all’udienza del 12/10/2018, si fa riferimento esclusivamente alla riacquisizione del terreno ex art. 63 della legge n. 448 del 1998 «in forza dei provvedimenti RAGIONE_SOCIALE nn. 3292 e 49 rispettivamente del 23/7/2015 e 11/1/2016».
Lo stesso CTU ha distinto la parte espropriata in forza dei citati provvedimenti all’interno della maggiore superficie (CTU «identificazione catastale – i 5436 m quadri dell’area oggetto di causa sono composti da 3436 m² della maggiore superficie di 5436
m² mappale 1868 del foglio 32 del catasto terreni del Comune di RAGIONE_SOCIALE e da 2000 m² formati dalla somma delle superfici dei mappali 1630 e 1632 del foglio 32»).
La Corte d’appello ha anche aggiunto, in motivazione, che «nel merito la controversia ha ad oggetto la determinazione del giusto valore dell’area di 3436 mq riacquistata dalle RAGIONE_SOCIALE in forza dell’art. 63 legge 448/1998».
Tuttavia, nel dispositivo la Corte territoriale ha determinato la stima riguardante l’intera superficie originariamente intestata al COGNOME, pari a mq 5436.
Ciò emerge proprio dalla lettura della CTU dove l’importo di euro 40.057,43, poi richiamato dalla Corte territoriale, si riferisce alla maggiore estensione di mq 5436 e non a quella espropriata oggetto della causa pari a mq 3436.
Infatti, per il CTU il prezzo attualizzato è pari ad euro 40.057,43, di cui euro 6866,62, pari a 1/3 di mq 2090, euro 508,51, pari a 1/3 di mq 1346,00 e euro 15.838,36 pari a 2/3 di mq 3436, oltre ad euro 16.843,94 pari a mq 2000.
15. Il quarto motivo di ricorso incidentale è assorbito, in ragione dell’accoglimento dei motivi secondo e terzo, che comportano un nuovo esame nel merito da parte del giudice del rinvio, con riferimento alla determinazione del momento di attualizzazione del prezzo d’acquisto ed alla individuazione della superficie espropriata.
16. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, che provvederà anche sulla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso incidentale; rigetta il primo motivo di ricorso incidentale; dichiara assorbito il quarto motivo di ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024