Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27167 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27167 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 16218/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, società che agisce ai fini del presente atto non in proprio ma esclusivamente in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa in virtù di procura speciale formata su foglio separato da intendersi materialmente allegata al controricor so, dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, la quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di PEC indicato
-controricorrente-
e
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore fallimentare; RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore; RAGIONE_SOCIALE, in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE.
– intimati –
avverso l ‘ordinanza della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, n. 166/2023, depositata in data 18 gennaio 2023;
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE) vendeva con la scrittura privata del 31/3/2000 alla società RAGIONE_SOCIALE, poi dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Tempio Pausania n. 26 del 2016, un fondo esteso per ettari 13.60.85, ricadente nel piano regolatore industriale in zona D2.
Si trattava del terreno distinto al catasto di RAGIONE_SOCIALE al foglio 32, mappale 1683, sub 18,478 e 479, originariamente acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE
L’atto di assegnazione-vendita contemplava una serie di obbligazioni, tra cui la realizzazione di un complesso ricettivo, centro congressi, centro sportivo uffici.
In particolare, l’art. 4 del contratto-accordo disciplinava gli aspetti patrimoniali conseguenti all’esercizio del potere di riacquisizione-risoluzione, si prevedeva che «n caso di risoluzione del contratto per i motivi di cui sopra l’acquirente avrà unicamente
diritto, per le opere eseguite, al rimborso della minor somma fra lo speso ed il migliorato, nei limiti della utilizzazione che potrà darne l’ente venditore. L’acquirente dovrà, nella detta ipotesi, risarcire il RAGIONE_SOCIALE degli eventuali danni arrecati al terreno ed obbligarsi ad effettuarne la retrocessione ai sensi dell’art. 2043 del codice civile».
Veniva edificato un compendio alberghiero-turistico.
All’interno di quest’area la RAGIONE_SOCIALE realizzava le opere tranne quelle previste sul lotto di metri quadrati 12.000.
Intesa San Paolo, unitamente a Monte dei Paschi, Bnl e Banco di RAGIONE_SOCIALE, concedeva vari finanziamenti ipotecari per consentire la realizzazione degli immobili.
Il terreno era oggetto di garanzia ipotecaria in favore della società creditrice RAGIONE_SOCIALE che aveva erogato finanziamenti. Successivamente il credito veniva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE NPL.
Gli altri crediti venivano poi ceduti dalla Intesa San Paolo alla RAGIONE_SOCIALE
il RAGIONE_SOCIALE, in ragione dell’inerzia della società, con riferimento al lotto rimasto del tutto inutilizzato, avviava il procedimento di riacquisizione ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 di tutto il complesso ricettivo-alberghiero.
Si stipulava, poi, un accordo tra il RAGIONE_SOCIALE e la curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, diretto a impedire la riacquisizione ‘complessiva’ dell’intero comparto. Tale accordo prevedeva, dunque, l’l’inclusione del solo fondo di 12.000 m² nel procedimento di acquisizione.
Il provvedimento di riacquisizione delle 9/4/2019 concerneva, quindi, la riacquisizione al solo lotto di superficie complessiva di mq 12.000.
La società RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria dei crediti, impugnava il provvedimento di acquisizione del 9/4/2019 dinanzi al Tar RAGIONE_SOCIALE, al fine di tutelare la propria posizione di creditrice, assistita da garanzia ipotecaria nei confronti della società fallita, in quanto l’area oggetto dello speciale provvedimento di riacquisizione faceva parte dell’attivo fallimentare, sicché la sua privazione avrebbe comportato una diminuzione delle possibilità di soddisfacimento del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE.
2.In particolare, la RAGIONE_SOCIALE, con il nono motivo, impugnava dinanzi al Tar RAGIONE_SOCIALE il provvedimento di riacquisizione del 9/4/2019, deducendo che sarebbe spettato al cessionario la corresponsione, a carico del RAGIONE_SOCIALE, del «prezzo attualizzato di acquisto delle aree», come previsto dall’art. 63 della legge n. 448 del 1998.
Il Tar RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 23 del 10/1/2020, rigettava il ricorso della RAGIONE_SOCIALE (al giudizio partecipano anche il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE intervengono in appello), evidenziando, con riferimento al nono motivo, che «visto il contenuto dettagliato della disposizione nessun ‘rimborso’ (sotto varie forme), nel caso di specie, doveva essere corrisposto al privato, in quanto l’acquirente nessuna opera aveva realizzato», aggiungendo che «il rimborso della minor somma fra lo speso ed il migliorato, nei limiti dell’utilizzazione che potrà darne l’ente venditore, non è neppure ipotizzabile come diritto acquisito, stante l’assenza dei presupposti (nessuna ‘opera eseguita’)».
3.Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7251, del 29/10/2021, rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE.
Con il motivo undicesimo la RAGIONE_SOCIALE deduceva che il provvedimento impugnato di riacquisizione del 9/4/2019 era stato emesso in violazione dell’art. 63, comma 3, della legge n. 448 del
1998, non prevedendo il pagamento del «prezzo attualizzato di acquisto delle aree», con conseguente vanificazione della previsione di cui all’art. 25, comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, in base al quale l’effetto estintivo dei diritti reali sull’immobile in conseguenza di una procedura ablativa comporta il diritto del titolare di tali diritti di avvalersi sulle somme pagate a titolo di indennizzo.
Il Consiglio di Stato, dopo aver qualificato il diritto di acquisizione in capo al RAGIONE_SOCIALE come «diritto potestativo, da intendersi come un diritto potestativo pubblico, che si esplica in un’azione di recupero del bene per ripristinare la destinazione istituzionale a mezzo di un atto che ha natura latu sensu espropriativa», chiariva che l’art. 4 dell’accordo del 31/3/2000 prevedeva un’ipotesi alternativa in caso di inadempimenti dell’acquirente dell’immobile.
Vi era, dunque: 1) sia la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. per il caso di mancato utilizzazione del terreno alle finalità indicate, con diritto dell’acquirente per le opere eseguite, in caso di risoluzione, «ad ottenere la minor somma fra lo speso il migliorato, nei limiti della utilizzazione che può trarne l’ente venditore»; 2) sia la facoltà per il RAGIONE_SOCIALE di esercitare il potere di riacquisizione ex art. 63 della legge n. 448 del 1998.
Chiariva il Consiglio di Stato che «la nota con cui il RAGIONE_SOCIALE disponeva la retrocessione indicava chiaramente, ripetendo più volte la fonte normativa del potere all’uopo esercitato, di fare applicazione dell’art. 63 cit. (oltre che degli articoli 2 e 3 della l.r. n. 10/2008), citando l’art. 4 dell’Accordo esclusivamente al fine di richiamare la previsione presente nella stessa clausola della possibilità di esercitare la facoltà di cui all’art. 63».
Si escludeva, allora, che il RAGIONE_SOCIALE avesse fatto applicazione della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., «avendo al contrario optato, a fronte di inutilizzo quinquennale della porzione di
terreno de qua , per l’esercizio del potere autoritativo di retrocessione di cui al citato art. 63 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, cui peraltro fa rinvio in ambito regionale art. 2 della l.r. n. 10/2008».
In risposta all’undicesimo motivo di impugnazione da parte della RAGIONE_SOCIALE il Consiglio di Stato chiariva che «l’interpretazione della censura, anche alla luce di quanto argomentato nel nono motivo del ricorso di primo grado, che la società espressamente ripropone in appello a mezzo di essa, e delle deduzioni della società RAGIONE_SOCIALE, conduce a ritenere, come giustamente colto dal primo giudice, che tale profilo di illegittimità sia stato affrontato, piuttosto che sotto l’aspetto della quantificazione dell’indennità da parte del RAGIONE_SOCIALE con la retrocessione (questione, come detto, la cui cognizione spetterebbe alla giurisdizione del giudice ordinario), al fine di evidenziare l’idoneità della motivazione della retrocessione in punto di giustificazione della mancata corresponsione di rimborso».
Proseguiva il Consiglio di Stato nel senso che la censura era infondata «considerato che il provvedimento motiva chiaramente sul punto, giustificando la mancata restituzione del prezzo corrispettivo in ragione dell’imputabilità colposa dell’inadempimento, causa della retrocessione, in capo alla cessionaria».
Il Consiglio di Stato, con successiva sentenza n. 7436 del 9/11/2021, confermava la sentenza emessa dal Tar RAGIONE_SOCIALE n. 22 del 2020, avverso il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, il Tar RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 22 del 2020 (su ricorso del RAGIONE_SOCIALE), reputava che «la mancata esecuzione delle opere per inerzia/omissione del privato determinava l’assenza di riconoscimento di corrispettivo/rimborso, per converso non essendo ritenuta applicabile la previsione di cui all’art. 63 legge n. 448/98 (secondo cui spetta alla cessionaria ‘il prezzo attualizzato di
acquisto delle aree’) dal rilievo attribuito alla condotta colposa della società inadempiente».
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo, al quinto motivo la «iolazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e difetto di giurisdizione: sarebbe errata la sentenza impugnata nel punto in cui motiva in ordine al mancato riconoscimento di un corrispettivo, atteso che la contestazione in ordine alle questioni indennitarie dell’atto di acquisizione resta sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo sulla base dell’art. 133, lettera g), del c.p.a.».
Sul punto, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7436 del 2021, ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione, affermando che «si rileva infondato anche il quinto motivo d’appello, con cui si solleva l’eccezione di difetto di giurisdizione. Invero, il primo giudice, laddove esclude la illegittimità della mancata previsione in favore dell’assegnatario del ‘prezzo attualizzato di acquisto delle aree’, come indicato dal citato art. 63, si limita ad affrontare tale profilo di legittimità, piuttosto che sotto l’aspetto della quantificazione dell’indennità da parte del RAGIONE_SOCIALE con la retrocessione (questione, come detto, la cui cognizione spetterebbe alla giurisdizione del giudice ordinario), al fine di evidenziare l’idoneità della motivazione della retrocessione in punto di giustificazione della mancata corresponsione di un rimborso».
5.La RAGIONE_SOCIALE con ricorso ex art. 702bis c.p.c. contestava il provvedimento di riacquisizione emesso dal RAGIONE_SOCIALE in data 9/4/2019 (proc. n. 184 del 2019).
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) presentava successivo ricorso in opposizione alla stima di riacquisto, iscritto al n. 192/NUMERO_DOCUMENTO.
Interveniva l’11/11/2019 la RAGIONE_SOCIALE, società di cartolarizzazione creditrice di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE cedeva il credito a RAGIONE_SOCIALE, che interveniva volontariamente in giudizio con comparsa delle 13/7/2000 vendi per il tramite della mandataria RAGIONE_SOCIALE
6. La Corte d’appello Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con ordinanza n. 166 del 2023 delle 18/1/2023, determinava l’indennizzo dovuto in conseguenza dell’acquisto nella somma di euro 43.420,91, oltre interessi al tasso legale. Ordinava al RAGIONE_SOCIALE il deposito nelle forme di legge a disposizione dell’avente diritto.
In motivazione, la Corte territoriale evidenziava che tutti i ricorrenti soggetti intervenuti avevano contestato il provvedimento di riacquisto del 9/4/2019 «facendone valere l’illegittimità, sia per vizi sostanziali nell’an, sia per la mancata liquidazione di alcuna indennità».
La Corte d’appello rilevava che non era «qui necessario riassumere i motivi di impugnazione nell’ an del provvedimento di riacquisto, che il RAGIONE_SOCIALE ha già fatto valere dinanzi al giudice amministrativo che sono stati rigettati con sentenza passata in giudicato».
Aggiungeva la Corte territoriale che iuttosto, quanto alla determinazione dell’indennità di riacquisto i ricorrenti hanno contestato la mancata liquidazione di alcuna indennità da parte dell’ente. Infatti, il RAGIONE_SOCIALE ha riacquisito il terreno avvalendosi di una clausola, contenuta nel contratto di vendita dell’area del 31 marzo 2000 che prevedeva la ‘perdita del prezzo’ in caso di inutilizzo ‘per fatto e colpa dell’assegnatario’».
I ricorrenti, avevano dunque agito in sede giurisdizionale «per la determinazione dell’indennità di riacquisto a norma di legge».
Il RAGIONE_SOCIALE e i creditori sostenevano che la clausola contrattuale non avrebbe disciplinato la fattispecie del riacquisto pubblicistico, ma il regime delle restituzioni dalle parti in caso di risoluzione privatistica per inadempimento del cessionario.
La Corte di merito reputava contraddittorio il ragionamento del RAGIONE_SOCIALE, il quale aveva emesso un provvedimento amministrativo ex art. 63 della legge n. 448 e 1998, invocando, però, nella parte in cui aveva omesso il versamento dell’indennità, la diversa norma di fonte negoziale di cui all’art. 4 del contratto di vendita del 2000, che prevedeva la ‘perdita del prezzo’, dunque «l’acquisizione gratuita del fondo, in caso di suo inutilizzo».
Pertanto, la contraddizione era insita nell’agire dell’ente pubblico che si era avvalso di una clausola contrattuale inerente ad un rapporto paritetico, ma attraverso lo strumento autoritativo del provvedimento ablatorio.
Il RAGIONE_SOCIALE, dunque, aveva liquidato «un’indennità nulla basandosi non sulla legge ma su un contratto».
Per la Corte d’appello il contratto di vendita del 2000 non poteva disciplinare l’esercizio di un potere pubblicistico, quale l’espropriazione per pubblica utilità. Al più, la clausola negoziale avrebbe potuto fondare la facoltà del RAGIONE_SOCIALE di chiedere al giudice la risoluzione del contratto di vendita.
La legge non prevedeva l’ablazione gratuita della proprietà privata, ma imponeva la corresponsione di un’indennità, consistente nel prezzo attualizzato di acquisto del bene.
L’indennità, poi, doveva essere determinata nel prezzo attualizzato, cioè non nel valore venale, ma nel mero prezzo di acquisto rivalutato. Trattavasi, allora, di un indennizzo da corrispondere commisurato «in un valore inferiore rispetto al valore di mercato del bene».
Con riguardo alla controversia insorta tra il RAGIONE_SOCIALE ed i creditori intervenuti per la spettanza delle somme, la Corte territoriale evidenziava che non poteva che «limitarsi a stimare l’indennità e ordinare al RAGIONE_SOCIALE il deposito nelle forme di legge in favore dell’eventuale beneficiario».
Non potevano essere esaminate le pretese di pagamento diretto avanzate dei creditori della fallita (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE).
Pertanto, la Corte territoriale determinava l’indennizzo della complessiva somma di euro 43.420,91, oltre interessi.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), società che agivano in proprio ma esclusivamente in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE.
Restavano intimati il RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Va, preliminarmente, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, per asserita tardività.
Ed infatti, mentre l’ordinanza ex art. 702quater c.p.c. è stata emessa il 18/1/2023 e poi comunicata il 19/1/2023, il ricorso per cassazione di Cipnes è stato spedito per la notifica il 17/7/2023.
1.1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente COGNOME deduce la «violazione dell’art. 360, primo comma, n. 1, c.p.c. in ordine alla giurisdizione».
L’attività del RAGIONE_SOCIALE è stata oggetto di un precedente connesso contenzioso, promosso dinanzi al Tar RAGIONE_SOCIALE sia dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sia dalla creditrice RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto
l’impugnazione del provvedimento di riacquisto ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, del 9/4/2019.
Il Tar RAGIONE_SOCIALE con le sentenze nn. 22 e 23 delle 10/1/2010, rese nei giudizi paralleli avente ad oggetto lo stesso tema, aveva adottato una esplicita motivazione di inquadramento generale sulla questione giuridica.
In particolare, il Tar aveva affermato la piena legittimità del provvedimento di riacquisizione del 9/4/2019, sul presupposto che «il richiamato art. 4 disciplina specificamente anche gli aspetti patrimoniali conseguenti in tema di eventuale corrispettivo, in caso di esercizio del potere di riacquisizione/risoluzione (con attivazione della clausola risolutiva espressa)».
Il Tar respingeva dunque la tesi dei ricorrenti, evidenziando «la piena validità della clausola n. 4 dell’accordo» (cfr. pagina 9 del ricorso per cassazione).
Il Tar RAGIONE_SOCIALE, quindi, aveva ritenuto «non solo legittimo ma anche pienamente efficace il provvedimento impugnato» (cfr. pagina 9 del ricorso per cassazione), reputando legittima la clausola dell’accordo a mente della quale «in caso di risoluzione del contratto per i motivi di cui sopra l’acquirente avrà unicamente diritto, per le opere eseguite, al rimborso della minor somma fra lo speso ed il migliorato, nei limiti della utilizzazione che potrà darne l’ente venditore».
Inoltre, nella clausola si precisava che la parte acquirente «prende espressamente atto che il RAGIONE_SOCIALE si riserva di esercitare le facoltà previste dall’art. 63 della legge 23/12/1998 n. 448».
Il Tar RAGIONE_SOCIALE aveva statuito che «essendo la risoluzione derivata da fatto e colpa del cessionario, non era dovuta la restituzione del prezzo corrispettivo della vendita pagato al RAGIONE_SOCIALE dalla cessionaria del terreno» (pag. 10 del ricorso per cassazione).
Il Consiglio di Stato, con altrettante sentenze parallele nei confronti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, confermava le sentenze del Tar RAGIONE_SOCIALE, rigettando integralmente i rispettivi appelli.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7251 del 2021, in ordine alla sentenza del Tar RAGIONE_SOCIALE n. 23 del 2020 – ricorrente COGNOME -, evidenziava che l’art. 63 della legge n. 448 del 1998 «attribuiva ai consorzi un diritto potestativo, da intendersi come un diritto potestativo pubblico, che si esplica in un’azione di recupero del bene per ripristinarne la destinazione istituzionale a mezzo di un atto che ha natura espropriativa».
Pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, doveva «escludersi che il RAGIONE_SOCIALE fatto applicazione della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., avendo al contrario optato, a fronte dell’inutilizzo quinquennale della porzione di terreno per l’esercizio del potere autoritativo di retrocessione di cui al citato art. 63 della legge 20 dicembre 1998, n. 448, a cui peraltro fa rinvio in ambito regionale art. 2 della legge regionale n. 10/2008».
Per il RAGIONE_SOCIALE ricorrente, allora, «oggetto di impugnazione davanti al Tar è stato l’intero provvedimento di riacquisizione che era ancorato alla convenzione di assegnazione delle aree che ha trovato la sua forma nel contratto accessivo di vendita/assegnazione 31 marzo 2000».
In particolare, nel ricorso deciso con sentenza del Consiglio di Stato n. 7436 del 2021, presentato dal RAGIONE_SOCIALE, al quinto motivo di impugnazione si deduceva il «difetto di giurisdizione nella parte in cui ha statuito anche in materia di riconoscimento del corrispettivo indennitario».
Analogamente, nel ricorso deciso con sentenza del Consiglio di Stato n. 7521 del 2021, ricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’impugnazione
includeva anche la censura relativa al provvedimento impugnato «per insussistenza dei presupposti dell’art. 63 anche per difetto di istruttoria ed avvenuto adempimento della condizione dell’assegnazione (5º motivo)», oltre che «per violazione di legge e contraddittorietà nella parte in cui esclude il pagamento del prezzo come indennità nella parte in cui esclude il pagamento del prezzo come indennità (12º motivo)».
Nel giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Sassari proposto ex art. 702bis c.p.c. RAGIONE_SOCIALE ha chiamato in giudizio il RAGIONE_SOCIALE contestando la legittimità del provvedimento di riacquisizione del 9/4/2019.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con separato ricorso poi riunito, ha richiesto nei confronti del RAGIONE_SOCIALE la determinazione dell’indennità espropriativa, dovuta a seguito del provvedimento ablatorio ex art. 63 della legge n. 448 del 1998.
Nei giudizi sono intervenuti RAGIONE_SOCIALE, società di cartolarizzazione, creditrice nei confronti di NOME, insinuatasi anch’essa al passivo fallimentare, oltre alla società RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti.
Sussisterebbe, dunque, il rilevato difetto di giurisdizione.
L’impugnazione proposta dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE dinanzi al giudice amministrativo «ha riguardato il provvedimento nel suo complesso, ivi compresa la parte in cui il RAGIONE_SOCIALE, avvalendosi della clausola risolutiva espressa dell’art. 4 contenuta nella ‘convenzione-contratto’ 31 marzo 2000 ha deliberato di non riconoscere ai cessionari del suolo alcun prezzo».
Il Tar RAGIONE_SOCIALE «senza che sia mai stato eccepito il difetto di giurisdizione, ha recepito l’impostazione del RAGIONE_SOCIALE e, in adesione alla giurisprudenza amministrativa ha rigettato integralmente i ricorsi così sancendo la piena legittimità ed efficacia dell’art. 4
dell’accordo-contratto 31 marzo 2000 (non debenza della restituzione del prezzo)».
L’atto è stato qualificato come ‘accordo contratto’ assimilabile agli accordi integrativi del provvedimento, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 133, primo comma, lettera a), n. 2, c.p.a. .
Nell’impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato, peraltro, «la questione della giurisdizione non ha trovato alcuna concreta ed effettiva decisione sul punto, nonostante la conferma della sentenza del Tar ed il rigetto integrale dei ricorsi» (pagina 14 del ricorso per cassazione).
Il Consiglio di Stato, dunque, non avrebbe preso posizione sulla statuizione del Tar ove ha escluso l’illegittimità del provvedimento nella parte in cui ha disposto di non corrispondere alcuna indennità in favore dell’assegnatario inadempiente.
Il Consiglio di Stato non avrebbe «affrontato la questione di giurisdizione nei termini di specificità e specialità del caso concreto (nonostante il RAGIONE_SOCIALE abbia sollevato specifica questione con il quinto motivo di ricorso)».
Il giudice amministrativo – ad avviso del RAGIONE_SOCIALE ricorrente non avrebbe «mai statuito sulla giurisdizione e sulla stessa non si è mai formato giudicato (né implicito né esplicito)».
L’omessa statuizione sulla giurisdizione in sede di giustizia amministrativa avrebbe comportato che la contrapposizione tra il RAGIONE_SOCIALE ed i suoi creditori, da un lato, e RAGIONE_SOCIALE, dall’altro, in ordine all’esercizio del potere di acquisto del terreno, si sarebbe trasferita davanti alla Corte d’appello di Sassari.
La questione doveva essere risolta dal giudice adito anche d’ufficio.
La Corte d’appello, invece, si è limitata a recepire il «supposto giudicato» sul punto «senza avvedersi che la conferma della pronuncia del Tar aveva coinvolto anche la parte relativa al contenuto della pattuizione in tema di ‘perdita del prezzo’ per imputabilità colposa dell’inadempimento».
La Corte d’appello di Sassari, dunque, «avrebbe dovuto rilevare d’ufficio il proprio difetto di giurisdizione, aderendo al giudicato amministrativo sul punto, o rivendicandone l’attribuzione con autonomo capo di sentenza».
La Corte territoriale si sarebbe posta «in contrasto con la giurisprudenza amministrativa e delle sezioni unite di questa Corte che hanno dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di accordi integrativi del provvedimento, conclusi dall’amministrazione con i privati per il perseguimento di pubblici interessi».
La Corte di cassazione dovrebbe, comunque, esprimersi in punto di giurisdizione, eventualmente ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c.».
Pertanto, apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo in sede esclusiva la controversia in cui il rapporto tra il RAGIONE_SOCIALE il privato sia disciplinato «da un ‘contratto-accordo pubblico privato’ che non si limita ad assegnare un’area sottoposta al piano regolatore industriale del RAGIONE_SOCIALE, ma contempla anche una serie di obblighi reciproci che si spingono sino a coinvolgere la regolamentazione degli aspetti patrimoniali conseguenti in relazione all’eventuale corrispettivo in caso di esercizio del potere di riacquisizione-risoluzione mediante la clausola risolutiva espressa ed accessiva all’accordo contratto».
Con il secondo motivo di impugnazione il RAGIONE_SOCIALE lamenta la «violazione di legge ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 12 delle preleggi e 1362 e 1371 c.c.: violazione degli articoli 360, primo comma, n. 4, c.p.c., e 112 c.p.c.».
La Corte territoriale avrebbe violato i principi espressi dalla Corte di cassazione in tema di interpretazione della domanda giudiziale ed interpretazione del provvedimento giurisdizionale.
Per la Corte di cassazione il giudice, nell’esercizio del suo potere di interpretazione e qualificazione della domanda giudiziale, deve seguire i criteri degli articoli 1362 e seguenti c.c. e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, con il limite della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. Inoltre, quanto alla interpretazione della sentenza, la stessa deve avvenire secondo regole sue proprie, le quali, se spesso coincidono con i precetti contenuti nell’art. 12 preleggi al codice civile e negli articoli 1362 e 1371 c.c., trovano «la loro essenziale aspirazione – nei canoni della logica formale generale».
Il ricorrente censura «l’interpretazione della sentenza e della ‘supposto’ giudicato resa dalla Corte d’appello di Sassari in merito alla/e sentenza/e del Consiglio di Stato».
La Corte territoriale non avrebbe tenuto minimamente conto che «l’organo di legittimità del giudice amministrativo, a fronte di un dispositivo e della relativa motivazione del Tar RAGIONE_SOCIALE di rigetto totale dell’impugnazione del provvedimento di riacquisizione adottato dal RAGIONE_SOCIALE e della piena legittimità ed operatività della parte del provvedimento concernente l’aspetto patrimoniale, ha rigettato in toto gli appelli e ha confermato la sentenza di primo grado senza alcuna argomentazione o motivazione idonea a modificare la regola e il comando della pronuncia del Tar».
In tal modo, la Corte d’appello avrebbe violato il principio richiamato dalla giurisprudenza di legittimità (si cita Cass. n. 13887 del 2023) in tema di criteri di interpretazione della sentenza.
I primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, per strette ragioni di connessione, sono infondati.
3.1. In realtà, le pronunce rese dal Tar RAGIONE_SOCIALE numeri 22 e 23 del 2020, e dal Consiglio di Stato numeri 7251 e 7436 del 2021 non hanno dato luogo alla formazione di alcun giudicato esterno in ordine alla questione di giurisdizione e neppure con riferimento alla debenza del prezzo di riacquisizione dovuto dal RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Analizzando con attenzione le pronunce del Tar RAGIONE_SOCIALE, in entrambe si riscontra il riconosciuto della piena legittimità del provvedimento di riacquisizione emesso dal RAGIONE_SOCIALE il 9/4/2019, negando, però, il diritto al rimborso in forza dell’applicazione dell’art. 4 del contratto del 31/3/2000, quindi facendo applicazione della clausola di risoluzione contrattuale.
3.3. Al contrario, le sentenze del Consiglio di Stato citate, pur rigettando gli appelli proposti dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, hanno espressamente riconosciuto esclusivamente la piena legittimità del provvedimento di riacquisizione adottato dal RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, senza attingere la questione della giurisdizione in ordine alla determinazione del prezzo di riacquisto.
In particolare, nel ricorso proposto dal RAGIONE_SOCIALE, deciso dal Tar RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 22 del 2020, è stata dedotta come quinto motivo di appello da parte del RAGIONE_SOCIALE la «violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e difetto di giurisdizione», per cui «sarebbe errata la sentenza impugnata nel punto in cui motiva in ordine al mancato riconoscimento di un corrispettivo, atteso che la contestazione in
ordine alle questioni indennitaria dell’atto di acquisizione resta sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo sulla base dell’art. 133, lett. g), del c.p.a.».
Ebbene, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7436 del 2021, proprio in risposta alla censura di cui al quinto motivo di impugnazione, ha ribattuto nel senso che «si rileva infondato anche il quinto motivo d’appello, con cui si solleva l’eccezione di difetto di giurisdizione», con la precisazione per cui «il primo giudice, laddove esclude di legittimità della mancata previsione in favore dell’assegnatario del ‘prezzo attualizzato di acquisto delle aree’, come indicato dal citato art. 63, si limita ad affrontare tale profilo di legittimità, piuttosto che sotto l’aspetto della quantificazione dell’indennità da parte del RAGIONE_SOCIALE con la retrocessione (questione, come detto, la cui cognizione spetterebbe alla giurisdizione del giudice ordinario), al fine di evidenziare l’idoneità della motivazione della retrocessione in punto di giustificazione della mancata corresponsione di un rimborso».
Ci si deve soffermare, quindi, sulla statuizione per cui – ad avviso del Consiglio di Stato – il TAR si è «limita ad affrontare tale profilo di illegittimità» del provvedimento impugnato, senza che il giudice amministrativo d’appello si pronunciasse sulla giurisdizione in ordine alla determinazione del prezzo di riacquisto. Con il rilievo tra parentesi per cui quella sulla quantificazione dell’indennità è «questione, come detto, la cui cognizione spetterebbe alla giurisdizione del giudice ordinario».
Il Consiglio di Stato, dunque, nella predetta sentenza respinge l’appello, ma in motivazione va di contrario avviso rispetto al Tar, laddove reputa applicabile il procedimento di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998, e non la clausola di risoluzione (punto 8.5. «Alla luce di ciò deve escludersi che il RAGIONE_SOCIALE abbia fatto
applicazione della clausola risolutiva espressa ex articolo 1456 c.c., avendo al contrario optato, a fronte dell’inutilizzo quinquennale della porzione di terreno de qua, per l’esercizio del potere autoritativo di retrocessione di cui al citato articolo 68 della legge 23 dicembre 1998, numero 448»).
3.4. In questa controversia le uniche parti contendenti erano il RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Nel ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, poi, il Tar RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 23 del 2020, ha affrontato il nono motivo di impugnazione, relativo alla sussistenza o meno del diritto del cessionario alla corresponsione del prezzo attualizzato di acquisto delle aree.
4.1. Il Tar RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 23 del 2020, ha ritenuto che «le parti hanno espressamente pattuito e disciplinato i rapporti economici conseguenti all’eventuale esercizio del potere-facoltà di riacquisizione per inadempimento, con colpa per condotta negligente dell’originario acquirente», con la precisazione per cui «visto il contenuto dettagliato della disposizione nessun ‘rimborso’ (sotto varie forme), nel caso di specie, doveva essere corrisposto al privato, in quanto l’acquirente nessuna opera aveva realizzato » .
Pertanto, ha aggiunto il Tar, «il ‘rimborso della minor somma fra lo speso ed il migliorato’, nei limiti dell’utilizzazione che potrà darne l’ente venditore, non è neppure ipotizzabile come diritto acquisito, stante l’assenza dei presupposti (nessuna ‘opera eseguita’)».
4.2. Il Consiglio di Stato, dapprima, al punto 10.7. della motivazione afferma che «alla luce di ciò deve escludersi che il RAGIONE_SOCIALE abbia fatto applicazione della clausola risolutiva espressa ex articolo 1456 c.c., avendo al contrario optato, a fronte dell’inutilizzo quinquennale della porzione del terreno de qua, per
l’esercizio del potere autoritativo di retrocessione di cui al citato articolo 63 della legge 23 dicembre 1998, numero 448», con una motivazione contrastante con quella del Tar Lazio n. 23 del 2020 (che ha applicato clausola risolutiva espressa di cui all’art. 4 del contratto).
Inoltre, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7251 del 2021, nel pronunciare sull’appello proposto avverso tale sentenza, e in particolare, sull’undicesimo motivo di appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, nel senso che il provvedimento di riacquisizione, in violazione della lettera e della ratio dell’art. 63, comma 3, della legge n. 448 del 1998 «non prevederebbe il pagamento del ‘prezzo attualizzato di acquisto delle aree’», ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione.
Il Consiglio di Stato ha così ritenuto – punto 16.1. – che «l’interpretazione della censura, anche alla luce di quanto argomentato nel nono motivo del ricorso di primo grado, che la società espressamente ripropone in appello a mezzo di essa, e delle deduzioni della società RAGIONE_SOCIALE, conduce a ritenere, come giustamente colto dal primo giudice, che tale profilo di legittimità sia stato affrontato, piuttosto che sotto l’aspetto della quantificazione dell’indennità da parte del RAGIONE_SOCIALE con la retrocessione (questione, come detto, la cui cognizione spetterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo), al fine di evidenziare l’idoneità della motivazione della retrocessione in punto di giustificazione della mancata corresponsione di un rimborso».
Aggiunge il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7251 del 2021, che la censura è infondata «considerato che il provvedimento motiva chiaramente sul punto, giustificando la mancata restituzione del prezzo corrispettivo in ragione dell’imputabilità colposa
dell’inadempimento, a causa della retrocessione, in capo alla cessionaria» (punto 16.2. della motivazione).
In sostanza, in entrambe le controversie (sia in quella instaurata con ricorso della RAGIONE_SOCIALE, in cui parti processuali sono anche RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE; sia in quella originata dal RAGIONE_SOCIALE avverso il RAGIONE_SOCIALE), non si rinviene mai una statuizione esplicita di riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo estesa alla (non spettanza dell’) indennizzo.
5.1. Nel giudizio dinanzi al TAR e al Consiglio di Stato, ciò di cui si è discusso è esclusivamente la legittimità del provvedimento di riacquisto, frutto dell’esercizio di un diritto potestativo di stampo pubblicistico.
In entrambe le pronunce del Consiglio di Stato si afferma la piena legittimità del provvedimento di riacquisizione adottato dal RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998, senza occuparsi mai della questione di giurisdizione in ordine alla determinazione del prezzo di riacquisto.
In realtà, la legittimità dell’atto di esercizio del potere pubblicistico è venuto in rilievo anche sotto il profilo della mancata previsione di un rimborso. La fonte negoziale, invece, e segnatamente la clausola di risoluzione, è stata richiamata al solo fine di pronunciare sulla legittimità dell’atto.
Non si è formato, dunque, alcun giudicato sulla giurisdizione del giudice amministrativo sulla (non) spettanza del diritto al rimborso, ma solo sulla legittimità del provvedimento autoritativo.
Il giudice ordinario, invece, quale giudice dei diritti di natura patrimoniale, esercita la propria giurisdizione sulle conseguenze del riacquisto ai sensi dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998.
Pertanto, risulta corretta l’affermazione contenuta nel provvedimento della Corte di appello nel giudizio di opposizione alla stima ex art. 702bis c.p.c. introdotto sia dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, per cui «non è qui necessario riassumere i motivi di impugnazione nell’ an del provvedimento di riacquisto, che il RAGIONE_SOCIALE ha già fatto valere dinanzi al giudice amministrativo che sono stati rigettati con sentenza passata in giudicato», piuttosto «quanto alla determinazione dell’indennità di riacquisto, i ricorrenti hanno contestato la mancata liquidazione di alcuna indennità da parte dell’ente».
La Corte territoriale, dunque, ha correttamente ritenuto che si fosse formato il giudicato esclusivamente sulla legittimità del provvedimento di riacquisto, mentre restava devoluta al giudice ordinaria la questione in ordine ai diritti patrimoniali e, quindi, alla determinazione del prezzo di riacquisto.
Non v’è ragione di rimettere la questione di giurisdizione alle sezioni unite di questa Corte, che si è già espressa sul punto.
7.1. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la ratio dell’art. 63 della legge n. 448 del 1998 e quella di «favorire la concreta ripresa dell’attività economico-produttiva negli stabilimenti nei quali essa sia stata dismessa da almeno un triennio» (Cass., sez. 6-1, 23/11/2021, n. 36188, che richiama TAR Lazio,sez. II-bis, 15/5/RAGIONE_SOCIALE, n. 5410).
È vero, dunque, che il procedimento di riacquisto disciplinato dall’art. 63 citato ha «natura espropriativa», ma si discosta dal procedimento ordinario per tutta una serie di peculiarità, giustificate dalla ratio dell’istituto.
In sostanza, già a monte della fase di assegnazione dell’area, la procedura è conformata in senso pubblicistico, in quanto
«l’inclusione di un’area nel piano regolatore territoriale ed il suo conseguente assoggettamento a vincolo per la realizzazione di un insediamento ASI comportano ex lege dichiarazione di pubblica utilità delle opere ivi previste, facendo sorgere, in capo al RAGIONE_SOCIALE, i poteri esecutivi in ordine al procedimento espropriativo» (Cass., n. 36188 del 2021, che cita Cons. Stato, 664 del 2012; Cons. Stato, 47 3/7/2005; Tar Roma, Lazio, sez. I, 12/5/2021, n. 5583; Tar Latina, Lazio, sez. I, 18/4/RAGIONE_SOCIALE, n. 206).
La procedura di «riacquisizione», dunque, concerne un tipico procedimento amministrativo finalizzato alla tutela di un interesse di natura pubblicistica, ossia volto alla reindustrializzazione delle aree oggetto di acquisto.
Trattasi di un diritto potestativo attribuito ai consorzi che deve intendersi come un diritto potestativo pubblico (Cass., n. 36188 del 2021, che richiama Cass., Sez. U., 3763 del 2009).
8. Di particolare rilievo e, poi, l’affermazione per cui «quella delineata dall’art. 63 sopra citato costituisce una complessa vicenda, all’interno della quale non è consentito distinguere fra risoluzione e riacquisto, in quanto la prima non rappresenta un antecedente autonomo del secondo, ma integra soltanto uno dei passaggi di una fattispecie unitaria, così che non può essere contestato in maniera separata e davanti ad un giudice diverso da quello amministrativo» (Cass., n. 36188 del 2021, che richiama Cass., Sez. U., n. 4462 del 2011; Cass. nn. 22809 e 22810 del 2010)
Pertanto, le controversie relative al procedimento discrezionale che porta alla riacquisizione dei beni ceduti ai privati, inadempienti agli obblighi imposti dalla legge o dal contratto, devono essere trattate dal giudice amministrativo.
Al contrario, la domanda relativa al prezzo il riacquisto, integrando una questione di tipo meramente patrimoniale deve
essere conosciuta dal giudice ordinario (in tal senso anche Cons. Stato, sez. IV, 5/5/2016, n. 1800).
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione dell’art. 360, primo comma, n. 2, c.p.c., per violazione delle norme sulla competenza».
La procedura di riacquisizione del bene di cui all’art. 63 della legge n. 448 del 1998 è conformata in senso pubblicistico. Le modalità della fase espropriativa di cui al d.P .R. n. 327 del 2001 devono essere adeguate alla tipologia di intervento previsto dalla normativa, sicché le norme sul procedimento espropriativo possono trovare applicazione solo se e nella misura in cui esse siano compatibili con la disciplina speciale di cui all’art. 63 citato. Pertanto, la Corte di cassazione ha ritenuto (si cita Cass. n. 36188 del 2021) che tali giudizi devono essere conosciuti dal tribunale ordinario, e non dalla Corte d’appello in unico grado, non essendo applicabile la disciplina processuale dei ricorsi di opposizione alla stima delle espropriazioni per pubblica utilità di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011.
Trattasi di incompetenza funzionale per materia della Corte d’appello.
Pertanto, la controversia deve essere devoluta al tribunale di Tempio Pausania.
5. Il motivo è infondato.
Invero, il procedimento di opposizione alla stima è disciplinato dall’art. 702bis c.p.c., richiamato dall’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011.
Tale rito è stato utilizzato anche per il procedimento di riacquisizione dei beni ex art. 63 della legge n. 448 del 1998, pur se il ritualmente, come ritenuto da questa Corte (Cass., 23/11/2021, n. 36188).
L’art. 702bis c.p.c., al quarto comma, prevede che «il convenuto a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio».
In dottrina, si è condivisibilmente ritenuto che la barriera preclusiva per l’esercizio di determinate attività processuali sussiste per le parti fin dai primi atti difensivi, analogamente a quanto previsto nel rito ordinario di cognizione.
Dall’integrale richiamo alla fase introduttiva dell’rito ordinario ex articoli 163 e 167 c.p.c., si deduce infatti che il convenuto deve proporre a pena di decadenza nella propria comparsa di risposta le eccezioni in senso stretto, le domande riconvenzionali, la chiamata in causa del terzo in garanzia e l’eccezione di incompetenza ex art. 38 c.p.c.
Tanto è vero che l’art. 702ter c.p.c., al comma 1, stabilisce che «il giudice, se ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza». Pertanto, il giudice che rilevi d’ufficio o su istanza di parte, la propria incompetenza per materia, valore o territorio, la deve dichiarare con ordinanza, impugnabile con regolamento necessario di competenza ovvero con regolamento facoltativo quando l’ordinanza pronuncia anche sul merito ex art. 43 c.p.c., analogamente a quanto previsto per il rito ordinario.
Nella specie, dunque, l’incompetenza funzionale della Corte d’appello in unico grado doveva essere eccepita o rilevata d’ufficio dal giudice tempestivamente.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, in ossequio al principio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024