Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13117 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13117 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
della Corte di cassazione ex art.391- bis cod. proc. civ.
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 13/02/2025 CC Cron. R.G.N. 20472/2023
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.20472/2023 R.G., proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura a margine del ricorso, con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura allegata al controricorso , con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrenti- per la revocazione dell ‘ ordinanza n. 25121/2023 della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, depositata il 23 agosto 2023; udìta la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13
febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 16 novembre 2009, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la figlia, NOME COGNOME e il genero, NOME COGNOME da cui la prima si era separata, esponendo che:
nel 2002 avevano sottoscritto una proposta irrevocabile di acquisto di una villa per il prezzo di Euro 284.051,00, versando una caparra;
il contratto di compravendita era stato successivamente stipulato dalla figlia e dal genero, che avevano acquistato la proprietà indivisa per la quota del 50% ciascuno della villa, al prezzo di Euro 206.583,00;
il prezzo indicato nel contratto era stato versato per la metà (Euro 103.296,50) dalla figlia e dal genero acquirenti dell’immobile e per l’altra metà (Euro 103.296,50) da loro, che avevano pagato al venditore anche l’ ulteriore somma di Euro 77.468,00, pari alla differenza tra il prezzo concordato con la sottoscrizione della proposta irrevocabile di acquisto e il prezzo (inferiore) indicat o nell’atto di compravendita;
dopo la consegna della villa, essi avevano inoltre fatto eseguire lavori di ristrutturazione per l ‘importo di Euro 28.401,70, arrivando quindi a spendere la somma complessiva di Euro 209.161,70.
Sulla base di queste deduzioni -e premesso altresì che, in seguito alla separazione, pur essendo stato costretto a lasciare la casa coniugale, assegnata alla moglie, NOME COGNOME era rimasto proprietario per la quota indivisa del 50% –NOME COGNOME e NOME COGNOME domandarono: a) in via principale, di essere riconosciuti e dichiarati proprietari per una quota non inferiore ai 2/3 della villa, sul presupposto del carattere soggettivamente simulato della compravendita, per interposizione fittizia di persone; b) in via alternativa, la restituzione della somma di Euro 209.161,00; c) in via subordinata (con domanda aggiunta nella memoria di cui all’art.183,
sesto comma, n. 1, cod. proc. civ.), la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla restituzione della stessa somma per ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 cod. civ..
Il Tribunale i Milano, con sentenza n.17/2012, rigettò la domanda di accertamento dell ‘acquisto della proprietà dell’immobile da parte degli attori per mancata prova della dedotta interposizione fittizia di persona nel contratto di vendita e accolse la domanda alternativa restitutoria, con implicito assorbimento di quella subordinata di ingiustificato arricchimento.
La decisione fu, nella sostanza, confermata dalla Corte d’ appello di Milano che, con sentenza n.2494/2014, riformò parzialmente la pronuncia di primo grado solo in ordine alla statuizione sulle spese.
Con ordinanza n. 30944/2018, per quanto ancora rileva in questa sede, questa Corte accolse il primo motivo di ricorso proposto da NOME COGNOMEcon cui era stata impugnata la statuizione di accoglimento della domanda restitutoria) con assorbimento del secondo (con cui era stata dedotta l’ inammissibilità in rito e l’infondatezza nel m erito della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento).
Nel giudizio di rinvio, celebrato su riassunzione di NOME COGNOME (nel quale si costituirono unicamente i sigg.ri COGNOME dopo aver conciliato la lite con la figlia NOME COGNOME con cessione da parte di quest’ultima ai suoi genitori della quota indivisa di proprie tà sulla villa), la Corte d’appello di Milano , con sentenza n. 3440/2020, in riforma della decisione impugnata, rigettò la domanda restitutoria e accolse parzialmente quella subordinata di arricchimento senza causa, condannando il sig. NOME al pagamento, in favore dei sigg.ri COGNOMECOGNOME, della somma complessiva di Euro 52.934,35.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME propose ricorso per cassazione.
5.a. Il ricorrente, per quanto ancora interessa, denunciò, con il primo motivo, la violazione dell’art . 384, secondo comma, cod. proc. civ., sul postulato che l ‘ ordinanza n. 30944/2018 di questa Corte avesse, nella sostanza, non solo espressamente accolto il primo motivo di ricorso proposto avverso la prima sentenza d’appello del 2014 ( con cui era stata impugnata la statuizione di accoglimento della domanda restitutoria) ma anche implicitamente accolto il secondo motivo (con cui era stata dedotta l’inammissibilità in rito e l’infondatezza nel merito della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento), posto che, in seguito al rigetto della domanda restitutoria, la declaratoria di assorbimento di quella subordinata ex art. 2041 cod. civ. non poteva concretare un assorbimento in senso proprio (il quale ricorrerebbe quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua) ma un assorbimento in senso improprio (ravvisabile , tra l’altro, quando la decisione assorbente comporta un implicito rigetto dalle altre domande); pertanto, nell’ accogliere la domanda ex art. 2041 cod. civ., non ostante la statuizione di implicito accoglimento del motivo che aveva dedotto la sua inammissibilità in rito e la sua infondatezza nel me rito, la Corte territoriale era incorsa nella violazione dell’art. 384 , secondo comma, cod. proc. civ., per non essersi conformata ‘ a quanto statuito ‘ dalla Corte di legittimità con l’ordinanza n. 30944/2018.
5.b. Invece, con il terzo motivo, il ricorrente denunciò la violazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., per insussistenza nella fattispecie dei presupposti di proponibilità della domanda di ingiustificato arricchimento e per l’infondatezza nel m erito della stessa.
5.1. Questa Corte, con ordinanza 23/08/2023 n. 25121, ha reputato infondata la prima doglianza e inammissibile la seconda.
5.1.a. Con riguardo alla prima ha osservato che l’ordinanza n. 30944/2018 non aveva implicitamente accolto il secondo motivo del ricorso proposto avverso la sentenza d’app ello n.2494/2014, ma lo
aveva dichiarato assorbito, reputandone superfluo lo scrutinio, il che voleva dire che il motivo non era stato esaminato.
5.1.b. Con riguardo alla seconda doglianza, questa Corte, per un verso, ha osservato che le ragioni poste a fondamento della deduzione di infondatezza nel merito della domanda ex art. 2041 cod. civ. (ovverosia il rilievo che per la determinazione del valore dell’immobile e dell’ammontare dell’arricchimento il giudice d’appello non avrebbe dovuto tenere conto delle spese per i lavori di ristrutturazione e avrebbe dovuto riferirsi al prezzo di vendita dell’immobile indicato nel contratto definitivo e non a quello fissato nel preliminare) attenevano al giudizio di fatto, riservato al giudice del merito e incensurabile in sede di legittimità; per altro verso, ha rilevato che l ‘omessa considerazione del fatto storico che i sigg.ri COGNOMECOGNOME avevano acquistato l’intera proprietà dell’immobile a partire dall’11 aprile 2017 in sede di esecuzione forzata promossa contro NOME COGNOME sulla base del titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza di primo grado, era stata dedotta in violazione dell’onere di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., « per la mancata specifica indicazione del rituale ingresso nel processo di merito della circostanza di fatto in questione ».
Per la revocazione d ell’ordinanza 23/08/2023, n. 25121 di questa Corte, ricorre NOME COGNOME sulla base di due motivi.
Rispondono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In seguito all’abrogazione del disposto di cui all’art.391 -bis , quarto comma, cod. proc. civ. -ed avuto riguardo alla nuova formulazione dell’art. 375 cod. proc. civ. (che prevede la pubblica udienza nei casi di revocazione di cui all’art. 391 -quater cod. proc. civ., ma non anche nei casi di cui al precedente art. 391bis ) -la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale.
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte. Sia il ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di revocazione il ricorrente deduce che l’ordinanza n. 25121/2023 sarebbe contraria alla precedente ordinanza n.30944/2018 della stessa Corte di legittimità, avente tra le parti autorità di cosa giudicata.
La statuizione coperta da giudicato sarebbe, precisamente, quella di implicito accoglimento del secondo motivo di ricorso proposto avverso la prima sentenza d’ appello n. 2424/2014, la quale avrebbe precluso al giudice del rinvio la possibilità di delibare la domanda di arricchimento, poi invece esaminata ed accolta in violazione dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ..
La Corte di cassazione , nell’ordinanza impugnata per revocazione, rigettando il primo motivo di ricorso contro la seconda sentenza d’a ppello n. 3440 del 2020 ( sull’ erroneo rilievo che la citata censura avverso la precedente sentenza, l ungi dall’esser e stata implicitamente accolta, era stata solo dichiarata assorbita in senso proprio, rendendosene superfl uo l’esame ), avrebbe omesso di sanzionare la violazione dell’art. 384 , secondo comma, cod. proc. civ. in cui era incorsa la Corte di merito, ma in tal modo avrebbe emesso una statuizione contraria al giudicato costituito dalla sua precedente pronuncia.
1.1. Il motivo di revocazione è inammissibile.
Questa Corte, con orientamento risalente, mai smentito e più volte ribadito anche attraverso il suo massimo consenso, ha affermato che avverso i provvedimenti (sentenze od ordinanze) di mera legittimità della Corte di cassazione non è ammissibile l ‘ impugnazione per revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., non essendo tale ipotesi espressamente contemplata nella disciplina anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006, né in quella successiva (artt. 391bis e 391ter cod. proc. civ.), secondo una scelta discrezionale del legislatore -non in contrasto con alcun principio e
norma costituzionale, atteso che il diritto di difesa e altri diritti costituzionalmente garantiti non risultano violati dalla disciplina delle condizioni e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato, la cui stabilità rappresenta un valore costituzionale -condivisibile anche alla luce della circostanza che l ‘ ammissibilità di una consimile impugnazione sarebbe logicamente e giuridicamente incompatibile con la natura delle sentenze di mera legittimità, che danno luogo solo al giudicato in senso formale e non a quello sostanziale (Cass., Sez. Un., n. 10897/2008; Cass. n. 704/2009; Cass., Sez. Un., n. 11058/2012; Cass., Sez. Un., n. 23833/2015).
Tale soluzione è tanto più condivisibile se si considera che il legislatore, nell’ esercizio della sua discrezionalità, ha escluso il rimedio revocatorio per contrarietà a precedente giudicato anche in ordine ai provvedimenti con cui la Corte di cassazione decide la causa nel merito, avuto riguardo al disposto dell’art. 391 -ter cod. proc. civ., che ammette la revocazione di questi provvedimenti per i motivi di cui ai nn. 1), 2) 3) e 6) di cui all’art. 395 cod. proc. civ., in aggiunta a quello di cui al n. 4 di detto articolo, già contemplato in via generale dal precedente art. 391bis , ma non anche nel l’ipotesi di cui al n. 5 dell’ art. 395 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., n. 23833/2015, cit. ).
Al riguardo, questa Corte ha già da tempo chiarito che l’ inammissibilità del rimedio revocatorio non comporta alcuna violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. (Cass. n. 29580/2011; Cass. n. 30245/2011), né si pone in contrasto con il diritto dell’Unione europea, non recando alcun vulnus al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l ‘ importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all ‘ autonomia processuale dei singoli Stati membri (Cass. n. 8630/2019).
Pertanto, deve escludersi la sussistenza dei presupposti per ritenere non manifestamente infondata la relativa questione di legittimità costituzionale.
Ne discende -come detto -l’ inammissibilità del primo motivo di revocazione.
Con il secondo motivo di revocazione il ricorrente deduce che l’ordinanza n. 25121/2023 di questa Corte sarebbe affetta da due distinti errori di fatto, ai sensi degli artt.391bis e 395 n.4 cod. proc. civ..
Tali errori vizierebbero la statuizione di inammissibilità del terzo motivo del ricorso avverso la sentenza n. 3440 del 2020 della Corte d’appello di Milano , con cui era stata denunciata la violazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., per insussistenza nella fattispecie dei presupposti di proponibilità della domanda di ingiustificato arricchimento e per l’infondatezza nel merito della stessa .
2.a. Il primo errore di fatto vizierebbe tale statuizione nella parte in cui il giudice di legittimità ha affermato che le ragioni poste a fondamento della deduzione di infondatezza nel merito della domanda ex art. 2041 cod. civ. (in particolare, il rilievo che per la determinazione del valore dell’immobile e dell’ammontare dell’arricchimento il giudice d’appello non avrebbe dovuto tenere conto delle spese per i lavori di ristrutturazione e avrebbe dovuto riferirsi al prezzo di vendita indicato nel contratto definitivo e non a quello fissato nel preliminare) erano inammissibili poiché attinenti al giudizio di fatto, riservato al giudice del merito e incensurabile in sede di legittimità.
Il ricorrente sostiene, al riguardo, che tale motivazione, liquidando le doglianze come afferenti al giudizio di fatto, per un verso, porrebbe in evidenza la mancata comprensione, da parte della Corte di legittimità, delle censure di diritto invece rivolte alla sentenza impugnata (per averlo vincolato al maggior prezzo convenuto dai coniugi COGNOME con i venditori e per averlo condannato a
rimborsare anche parte dei costi da loro sostenuti ‘ uti domini ‘ pe r ristrutturazione), per altro verso tradirebbe la indebita mancata considerazione di una specifica denuncia del vizio motivazionale della decisione di merito gravata.
2.b. Il secondo errore di fatto vizierebbe la statuizione in esame nella parte in cui il giudice di legittimità avrebbe omesso di pronunciarsi sulla specifica censura di insussistenza dei presupposti di proponibilità della domanda di ingiustificato arricchimento, con particolare riguardo alla dedotta mancanza del presupposto della sussidiarietà di cui all’art.2042 cod. civ., avuto riguardo alla circostanza che, nella fattispecie, i coniugi COGNOME/COGNOME avevano proposto sia la domanda di accertamento dell’ avvenuto acquisto di una quota della proprietà, sia, in via alternativa, la domanda restitutoria.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile.
Questa Corte, nel suo massimo consesso, ha statuito che l ‘ impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell ‘ ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l ‘ esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l ‘ altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l ‘ errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronuncia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un ‘ errata considerazione e interpretazione dell ‘ oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass., Sez. Un., n. 31032/2019).
Nel caso in esame la Corte di cassazione, con la sentenza impugnata, ha pronunciato sul terzo motivo di ricorso con cui era stata dedotta la violazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., non solo, esplicitamente, reputando inammissibili, in quanto attinenti al giudizio di fatto, le censure rivolte alle modalità di determinazione del quantum dell’ arricchimento, ma prima ancora, sia pure implicitamente, risolvendo (peraltro correttamente in senso positivo, alla luce del principio di diritto affermato da Cass., Sez. Un., n. 33954/2023, stante la carenza ab origine del titolo giustificativo delle domande principali proposte in via alternativa dagli attori COGNOME/COGNOME) il preliminare problema della proponibilità dell’azione di arricchimento senza causa, essendo evidente che, intanto possono essere affrontate le questioni sulle modalità di determinazione del quantum di una somma dovuta a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento, in quanto sia preliminarmente risolta in senso positivo la questione dell’ an del diritto allo stesso.
La circostanza che -in thesi -la statuizione della Corte di cassazione non abbia preso specificamente in esame talune delle argomentazioni svolte con il surricordato motivo di censura non è sufficiente per consentire alla parte ricorrente di accedere al rimedio revocatorio, in quanto tale rimedio è deputato a consentire il sindacato degli errori di fatto percettivi in cui sia incorso il giudice di legittimità e non a sollecitare un rinnovato giudizio sui disattesi motivi del ricorso (Cass., Sez. Un., n. 20013/2024).
In definitiva, il ricorso per revocazione proposto da NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A i sensi dell’art. 13 , comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00, alle spese forfetarie e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il