Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22106 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22106 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 33267/23, depositata il 29 novembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11918/2024 R.G. proposto da COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: e
;
-ricorrente –
Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il fallimento dell’RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME già presidente del consiglio di amministrazione della società fallita, e NOME COGNOME già componente del medesimo consiglio, nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME già componenti del collegio sindacale, per sentirne accertare la responsabilità per atti di mala gestio , con la condanna al risarcimento dei danni.
Si costituirono i convenuti, tranne la COGNOME, ed eccepirono la prescrizione e l’infondatezza delle domande. Il COGNOME chiese, in subordine, l’accertamento della responsabilità solidale degli altri convenuti nei confronti del fallimento e della responsabilità esclusiva degli stessi nei suoi confronti, con il suo diritto all’integrale regresso.
Il fallimento chiamò in causa NOME COGNOME già commissario giudiziale del concordato preventivo dell’RAGIONE_SOCIALE e curatore del fallimento della società fino al 30 novembre 2005, sostenendo che l’eventuale prescrizione dell’azione era addebitabile all’inerzia dello stesso, con ogni conseguenza in termini di responsabilità per il mancato risarcimento dei danni rivendicati verso gli stessi dal fallimento.
Si costituì anche il COGNOME che resistette alle domande proposte nei suoi confronti, negando la prescrizione delle azioni proposte nei confronti degli altri convenuti, in quanto fondate su condotte qualificabili come reati.
1.1. Con sentenza del 1° agosto 2012, il Tribunale di Roma a ) dichiarò la contumacia della COGNOME, considerando rituale la rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione in rinnovazione effettuata nei suoi confronti in Londra, ai sensi dell’art. 142 cod. proc. civ., il 29 aprile 2011 e della seconda istanza di cui all’art. 8 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, come da nota del Consolato Generale d’Italia a Londra del 24 ottobre 2011, b ) dichiarò prescritta l’azione di responsabilità nei confronti del COGNOME, della COGNOME, del COGNOME e del COGNOME, e c ) accolse la domanda proposta nei confronti della COGNOME condannandola al pagamento, in favore del fallimento, della som-
ma di Euro 1.704.307,74 oltre accessori, a titolo di risarcimento dei danni per la mala gestio .
Il gravame interposto dalla COGNOME fu parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 14 novembre 2019 condannò l’appellante al pagamento, in favore del Fallimento, della minor somma di Euro 774.683,34, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento dei soli danni cagionati dal mancato recupero di un credito di Lire 1.500.000.000 vantato dalla società fallita nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Avverso la predetta sentenza la COGNOME propose ricorso per cassazione, rigettato da questa Corte con ordinanza del 29 novembre 2023.
A fondamento della decisione, questa Corte ha confermato la corretta rinnovazione della notificazione dell’atto di citazione, effettuata, ai sensi dello art. 142 cod. proc. civ. e del Regolamento CE n. 1393/2007, mediante l’inserimento dell’atto nella cassetta postale del luogo di residenza della convenuta ad opera dell’Ufficiale giudiziario di Londra, su richiesta dell’Ufficiale giudiziario di Roma, e mediante la successiva notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza tramite il Consolato generale d’Italia a Londra, con la restituzione di copia dell’atto recante la dicitura « delivered », apposta il 29 luglio 2011, ritenendo irrilevante, in contrario, la comunicazione della Royal Mail di non essere in grado di fornire la prova dell’avvenuta consegna dell’atto all’interessata, poiché il sistema applicato era quello della « recorded delivery », in virtù del quale la mancata restituzione dell’atto equivaleva all’avvenuta consegna.
Premesso che la notifica al destinatario non residente in Italia va effettuata in base alle convenzioni internazionali o della legge consolare, dovendosi attribuire carattere residuale alla procedura di cui all’art. 142 cod. proc. civ., e precisato che incombe all’istante la prova dell’impossibilità di eseguire la notifica nei modi previsti dalle convenzioni internazionali o dalla legge consolare, questa Corte ha rilevato che gli artt. 14 e 15 del Regolamento CE n. 1393/2007, direttamente efficaci nell’ordinamento interno e prevalenti sulle relative disposizioni, prevedono la facoltà di notificare gli atti giudiziari a persone residenti in un altro Stato membro direttamente tramite il servizio postale o a mezzo degli ufficiali giudiziari competenti dello Stato membro richiesto. Ha aggiunto che, in virtù dei principi di semplificazione e di reciproco
affidamento degli ordinamenti degli Stati membri, tale facoltà si pone su un piano di perfetta equivalenza rispetto alle altre, e non può soffrire limitazioni tali da comportarne la vanificazione: ha quindi escluso la possibilità di subordinare la validità della notifica ad ulteriori requisiti previsti dalle leggi nazionali in materia di notifiche a mezzo posta, ritenendo applicabili solo le disposizioni dello Stato membro in cui la notificazione dev’essere eseguita.
Rilevato inoltre che era stato prodotto il Certificate of service da cui risultava la corretta effettuazione della notifica in rinnovazione, ha ritenuto che la Corte d’appello avesse adeguatamente spiegato le ragioni per cui aveva ritenuto valida anche la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, nonostante l’illeggibilità della sottoscrizione apposta sulla relativa attestazione elettronica e la mancanza di qualsiasi ulteriore specificazione in ordine alla sua provenienza. Ha escluso la configurabilità del vizio di omessa pronuncia oppure di una violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., rilevando che la Corte d’appello si era espressa in ordine a tutti i motivi di gravame sottoposti alla sua cognizione, e concludendo quindi che le doglianze proposte al riguardo si risolvevano nella sollecitazione di una diversa valutazione del significato attribuito alla nota trasmessa dal Consolato generale alla Corte territoriale il 24 ottobre 2011.
Questa Corte ha dichiarato poi inammissibili le censure riguardanti l’ammissibilità della querela di falso proposta dalla ricorrente avverso i documenti provenienti dal Consolato generale e dalla Royal Mail, rilevando che la Corte d’appello aveva ritenuto irrilevanti gli elementi addotti a sostegno della falsità, in virtù del richiamo al meccanismo di perfezionamento della notificazione concretamente applicato, ed osservando che, nell’accertamento preliminare volto a verificare la sussistenza dei presupposti per la proposizione della querela di falso, il giudice di merito ben può dichiararne la manifesta infondatezza, al fine di evitare la dilatazione dei tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio di ragionevole durata di cui allo art. 111, secondo comma, Cost.
Ha ritenuto infine inammissibili le censure concernenti l’accertamento della responsabilità della COGNOME per il mancato recupero del credito nei confronti della Cost. Gen., rilevando che la Corte d’appello aveva ritenuto non
provati i fatti dedotti al fine di giustificare l’inerzia della società, con motivazione censurabile esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., escludendo quindi la configurabilità dei vizi di omessa pronuncia o difetto di motivazione, nonché l’inversione dell’onere della prova, e concludendo quindi che, anche a questo riguardo, le doglianze proposte miravano a sollecitare una diversa valutazione dei fatti.
Avverso la predetta ordinanza la COGNOME ha proposto ricorso per revocazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’avvenuto ritrovamento di documenti decisivi, ai sensi dell’art. 395 n. 3 cod. proc. civ., sostenendo di aver appreso dell’esistenza di un giudizio svoltosi tra il fallimento dell’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il medesimo credito il cui mancato recupero è stato ascritto dall’ordinanza impugnata all’inerzia di essa ricorrente, e conclusosi con la condanna della società convenuta al pagamento della somma di Euro 774.685,00, oltre interessi. Premesso che tale condanna, pronunciata dal Tribunale di Roma con sentenza n. 4058/07 e confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 873/ 14, è divenuta definitiva a seguito dell’ordinanza del 14 marzo 2022, n. 8120, con cui questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione, afferma che dalla relativa documentazione emerge l’insussistenza dell’inerzia allegata a sostegno dell’azione di responsabilità promossa nei suoi confronti. Riferisce infatti che nel predetto giudizio è stato accertato che, a seguito della costituzione della RAGIONE_SOCIALE, nata dalla scissione dell’RAGIONE_SOCIALE, si era proceduto ad una revisione delle poste attive e passive, conclusasi con il riconoscimento del predetto credito e la cessione pro solvendo di un credito nei confronti della Autostrade Torino Savona S.p.a., in virtù dei quali erano stati emessi, nell’anno 2002, due decreti ingiuntivi nei confronti della società cedente e di quella ceduta. Precisato che a seguito dei predetti atti essa ricorrente non aveva più potuto operare come amministratrice, essendo intervenuta dapprima l’apertura della procedura di concordato preventivo della so-
cietà, in data 28 luglio 1999, e successivamente la dichiarazione di fallimento, in data 4 agosto 2000, osserva che nel presente giudizio, iniziato nell’anno 2009, la sentenza di condanna, passata in giudicato, avrebbe potuto essere prodotta dal fallimento fin dal primo grado. Aggiunge che con l’atto di scissione erano stati trasferiti alla RAGIONE_SOCIALE tutti i crediti fiscali vantati dall’RAGIONE_SOCIALE in Italia, il cui pagamento era stato richiesto all’Agenzia delle entrate, senza che ciò trovasse ostacolo nel trasferimento all’estero della sede della società cessionaria, la quale aveva vanamente invitato il fallimento a restituire le somme pagate, erroneamente corrisposte alla società fallita. Precisa che da tale documentazione emergeva anche la falsità dell’assunto del fallimento, secondo cui il trasferimento all’estero della sede della CostRAGIONE_SOCIALE aveva impedito il recupero del credito vantato nei confronti della stessa dalla società fallita, sostenendo infine che, per effetto delle condanne pronunciate nei confronti della predetta società e di essa ricorrente, il fallimento ha ottenuto una duplicazione del titolo esecutivo.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la contrarietà dell’ordinanza impugnata ad un precedente giudicato, ai sensi dell’art. 395 n. 5 cod. proc. civ., rilevando che questa Corte ha omesso di estendere ad essa ricorrente la dichiarazione di prescrizione dell’azione di responsabilità, pronunciata dalla sentenza di primo grado nei confronti degli altri convenuti, e rimasta incensurata in sede di gravame. Premesso di non aver potuto proporre tempestivamente la relativa eccezione, essendo rimasta contumace in primo grado, sostiene di aver chiesto l’estensione della prescrizione nell’atto di appello, precisando che la stessa poteva aver luogo anche d’ufficio, indipendentemente dalla mancata costituzione nella precedente fase, ed affermando comunque che la relativa omissione determina un contrasto tra la decisione adottata nei suoi confronti e il giudicato formatosi nei confronti degli altri convenuti coobbligati in solido al risarcimento dei danni.
Il primo motivo, avente ad oggetto il rinvenimento, dopo la pronuncia dell’ordinanza impugnata, di documenti decisivi che la ricorrente non avrebbe potuto produrre in giudizio per fatto dell’avversario, è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 391ter cod. proc. civ., l’impugnazione per revocazione dei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione è ammessa, per i mo-
tivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell’art. 395, soltanto nel caso in cui si tratti di provvedimenti che hanno deciso la causa nel merito, mentre nei casi di rigetto del ricorso per cassazione o in quelli di cassazione del provvedimento impugnato, con o senza rinvio, l’impugnazione per revocazione è consentita, ai sensi dell’art. 391bis cod. proc. civ., soltanto per il motivo di cui all’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., ovverosia per errore di fatto (cfr. Cass., Sez. VI, 4/12/2018, n. 31265; 27/10/2015, n. 21912). Tale limitazione non consente di ravvisare nella disciplina in esame alcun vizio di legittimità costituzionale, sia perché l’ampliamento dei casi di revocazione dei provvedimenti della Corte di cassazione può essere disposta solo dal legislatore, nell’ambito di una valutazione discrezionale alla quale non resta estranea l’esigenza, costituzionalizzata nell’art. 111 Cost., di evitare che i giudizi si protraggano allo infinito, sia perché un’eventuale difforme interpretazione della norma comporterebbe un’inammissibile addizione, traducendosi in un significativo mutamento dell’intero sistema processuale vigente (cfr. Cass., Sez. II, 14/01/ 2011, n. 862).
Per analoghe ragioni, è inammissibile il secondo motivo, riflettente la contrarietà dell’ordinanza impugnata ad una precedente sentenza avente fra le parti autorità di cosa giudicata.
Tale vizio non costituisce infatti neanch’esso motivo di revocazione dei provvedimenti della Corte di cassazione, essendo previsto dall’art. 395 n. 5 cod. proc. civ., non richiamato né dall’art. 391bis , né dall’art. 391ter cod. proc. civ., e non potendo quindi essere dedotto neppure nei confronti dei provvedimenti di questa Corte che abbiano deciso la causa nel merito (cfr. Cass., Sez. Un., 23/11/2015, n. 23833; 18/07/2013, n. 17557). Allo stesso modo della mancata previsione dell’impugnabilità per revocazione nell’ipotesi di ritrovamento di documenti decisivi, anche quella relativa all’ipotesi in esame non dà luogo ad alcun dubbio di legittimità costituzionale, giacché l’esclusione di tale rimedio attiene ai limiti ed alle condizioni di operatività del giudicato, la cui individuazione è rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore, anche in considerazione del fatto che la stabilità del giudicato rappresenta anch’essa un valore costituzionale, al pari dell’uguaglianza e della tutela del diritto di difesa (cfr. Cass., Sez. Un., 30/04/2008, n. 10867; Cass.,
Sez. VI, 30/12/2011, n. 30245; Cass., Sez. V, 29/12/2011, n. 29580; 14/01/ 2009, n. 704).
5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’8/04/2024