Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27494 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22090/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei Commissari Straordinari p.t. , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso
-ricorrente principale e controricorrente successivocontro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura a margine del ricorso
-ricorrente successiva e controricorrente principale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1361/2016 depositata il 21/07/2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
– Il Tribunale di Rimini, in accoglimento della domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione straordinaria (di seguito GS) contro Banca Carige s.p.aRAGIONE_SOCIALE -Cassa di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE (di seguito Banca), dichiarò inefficaci, ex art. 67, comma 2, l.fall. le rimesse solutorie, pari ad € 530.912,04, affluite nel cd. periodo sospetto sul conto corrente ordinario intrattenuto da RAGIONE_SOCIALE in bonis presso gli sportelli della convenuta e condannò quest’ultima a restituire alla procedura la somma predetta, oltre interessi e spese.
1.1. – La decisione fu appellata in via principale dalla Banca, per aver il tribunale ritenuto provata la sua scientia decoctionis sulla base di meri dati presuntivi (analisi dei bilanci di esercizio e consolidati relativi all’anno 2002; operazione di acquisizione Longoni e reazioni dei mercati finanziari, articoli di stampa e altro), e per avere escluso la sussistenza di un’apertura di credito e di un affidamento a valere sul conto corrente su cui erano confluite le rimesse revocabili, e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, per ottenere la declaratoria di inefficacia di rimesse per un importo complessivo di € 741.554,56.
– La Corte d’appello di Bologna con sentenza del 21 luglio 2016, ha rigettato entrambi gli appelli.
2.1. – In particolare, con riguardo all’appello principale della Banca in punto di scientia decoctionis , ha ritenuto che gli elementi indiziari e probatori indicassero coerentemente e nel loro complesso una crisi irreversibile del gruppo RAGIONE_SOCIALE, e facessero ritenere provato che la Banca, a far tempo dal luglio 2002, fosse a conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava GS.
2.2. – Con riguardo invece all’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE in A.S. sul criterio applicato per l’individuazione delle somme revocabili (il cd. ‘saldo giornaliero’ finale, piuttosto che il cd. ‘saldo infra -giornaliero, che avrebbe portato alla revoca di rimesse per un maggiore importo), ha osservato: i) che il tribunale, nel ricostruire le operazioni con segno opposto realizzate in pari data, aveva tenuto conto correttamene dei criteri indicati dalla giurisprudenza
di legittimità, senza incorrere in alcun vizio di motivazione e dando rilievo all’onere della prova gravante sulla procedura che invochi il criterio del saldo infra -giornaliero di dare la dimostrazione della cronologia dei singoli movimenti, verificatisi in uno stesso giorno (Cass. 6042/2016), cronologia non desumibile dall’andamento delle operazioni in base alla registrazione nell’estratto conto, il cui ordine non corrisponde necessariamente all’ordine effettivo delle operazioni, poiché sconta il momento in cui viene effettuata la singola registrazione; ii) che il tribunale, tenendo conto della ricostruzione operata dal CTU (il quale aveva prospettato entrambi i metodi), non aveva ritenuto applicabile il criterio del saldo infra giornaliero per l’assenza di idoneo supporto probatorio da parte della procedura, che non aveva dimostrato l’esatto ordine cronologico delle operazioni compiute sul conto corrente.
– La decisione è stata impugnata dapprima da RAGIONE_SOCIALE, con ricorso per cassazione in due mezzi notificato il 19.9.2017, poi dalla Banca, con analogo ricorso in cinque mezzi notificato il 25.9.2017.
– Entrambe le parti hanno replicato con controricorso e depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
4.1. -Con il primo motivo del ricorso principale, GS in A.S. denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. ed errata qualificazione della domanda (art. 360, n. 4 c.p.c.) per avere la corte rigettato la sua domanda di determinazione delle rimesse revocabili secondo il criterio cd. del saldo infra-giornaliero.
Deduce, in particolare, che con la domanda aveva dato atto: i) di avere individuato le rimesse revocabili con esclusivo riferimento a quelle affluite sul conto ‘scoperto’ (in assenza di fido o per importi cd. sconfinati), previa ricostruzione dei saldi con applicazione del cd. saldo disponibile; ii) di avere riordinato le operazioni di segno opposto registrate nella medesima giornata considerando prima tutti gli accrediti e solo successivamente gli addebiti, secondo il criterio più favorevole alle banche.
Allega che il suddetto operato, che individuava rimesse revocabili per € 741.554,56 , aveva trovato conferma nella CTU.
Osserva , contestando la motivazione della corte d’appello, di non aver mai chiesto di individuare le rimesse revocabili ricostruendo il saldo di riferimento con riordino delle operazioni avvenute nella stessa giornata secondo l’ordine di contabilizzazione, né secondo l’esatta cronologia .
4.2. – Con il secondo mezzo, GS in A.S. denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 67 l.fall., 112 e 113 c.p.c. (art. 360, n.3 c.p.c.) per avere la corte d’appello disatteso i calcoli conformi della procedura e del CTU ed applicato il criterio alternativo, pure indicato dal CTU, che individua l’importo revocabile nella eventuale differenza positiva tra accrediti e addebiti.
Deduce che applicare il cd. saldo giornaliero (differenza contabile tra accrediti e addebiti nella stessa giornata) sarebbe incompatibile con la norma che assoggetta a revocatoria i singoli atti estintivi, e non una somma, e renderebbe operante la compensazione all’interno del conto corrente, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale che la rende applicabile solo quando le reciproche ragioni di credito derivino da rapporti negoziali diversi, e non dall’unico rapporto di conto corrente bancario.
Osserva che l’applicazione del criterio del ‘saldo di fine giornata’ porterebbe a conseguenze aberranti quando si fa riferimento al saldo disponibile, rendendo compensabili operazioni avvenute in giorni diversi, come di regola accade tra addebiti (data contabile) e accrediti (data valuta) recanti la stessa data disponibile.
4.3. – I due motivi, esaminabili congiuntamene in quanto connessi, sono infondati.
4.4. – E’ sufficiente al riguardo richiamare l’orientamento di questa Corte, anche di recente ribadito e al quale il Collegio intende dare continuità, sulla legittimità del criterio del cd. ‘saldo di fine giornata’, nel senso che, «ove la valutazione del carattere solutorio o ripristinatorio della singola rimessa non sia possibile (…) appare errata la metodologia ordinativa che ponga in mera sequenza
cronologica le operazioni in dare e in avere: non solo perché essa supplisce a un onere della prova cedente a carico di chi agisce in revocatoria, ma anche in quanto confonde le annotazioni dell’estratto conto bancario, per come affluite e registrate, con l’effettività storica di quelle operazioni. Questa la ragione per cui, provate le operazioni nel periodo sospetto e con riguardo a quelle condotte nello stesso giorno, dovrebbe applicarsi il diverso criterio del c.d. saldo di giornata» (Cass. 6042/2016, 15796/2018, 13063/2023).
Tale orientamento si fonda sul principio per cui, «in tema di revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario effettuate da un imprenditore poi dichiarato fallito, nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata in cui appaia uno scoperto di conto, il fallimento che chieda la revoca di rimesse aventi carattere solutorio in relazione al saldo infragiornaliero e non al saldo della giornata, ha l’onere di dimostrare la cronologia dei singoli movimenti, cronologia che non può essere desunta dall’ordine delle operazioni risultante dall’estratto conto ovvero dalla scheda di registrazione contabile, in quanto tale ordine non corrisponde necessariamente alla realtà e sconta i diversi momenti in cui, secondo le tipologie delle operazioni, vengono effettuate le registrazioni sul conto. Di conseguenza, è onere del curatore provare la cronologia dei singoli movimenti, quale circostanza che incide sulla prova dell’esistenza di uno degli elementi costitutivi della domanda, vale a dire l’esistenza di un atto avente carattere solutorio, sicché in mancanza di prova devono intendersi effettuati prima gli accrediti e poi gli addebiti» (Cass. 7158/2012, che ha giudicato erronea la decisione di merito che aveva anteposto le operazioni di segno negativo a quelle di segno positivo).
– Con il primo motivo del ricorso incidentale, la Banca lamenta l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, anche sotto il profilo dell’inesistenza e/o mera apparenza della motivazione (art. 360 n. 4 e 5 c.p.c.), sull’assunto che la corte d’appello avrebbe dovuto approfondire l’analisi di tutti gli elementi indiziari emersi (tra cui l’assenza di protesti e di procedure esecutive nel periodo sospetto, le risultanze
positive dell’ultimo bilancio conosciuto, la mancanza di segnalazioni in RAGIONE_SOCIALE, gli affidamenti concessi anche da altre banche) per verificare se le presunzioni ipoteticamente sussistenti a favore di parte attrice non fossero controbilanciate da altre presunzioni a suo favore, fornendo altresì adeguata motivazione in ordine al criterio adottato per desumere la prevalenza delle prime sulle seconde, piuttosto che limitarsi a menzionare due indizi (il bilancio al 31/12/2001 e l’assenza di protesti), trascurando completamente le altre.
5.1. – Il motivo presenta profili di inammissibilità e di manifesta infondatezza.
5.2. – Per un verso, infatti, si è di fronte ad un duplice accertamento conforme dei giudici di entrambi i gradi di merito, con conseguente inammissibilità, ai sensi dell’art. 348 ter u. comma c.p.c., della censura concernente l’omesso esame di fatti decisivi; per altro verso la motivazione che sorregge il capo della sentenza impugnato è chiara ed esaustiva -avendo la corte d’appello proceduto ad un esame complessivo dei singoli indizi dedotti per valutare se gli stessi fossero in grado di fornire una solida prova presuntiva -e dunque ben superiore al cd. minimo costituzionale, né risulta afflitta dai gravi vizi che, soli, potrebbero comportarne la nullità (cfr. Cass. Sez. U, 8053/2014),.
-Il secondo mezzo del ricorso incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., con riguardo al l’affermazione del giudice d’appello secondo cui «è principio consolidato che la prova della scientia decoctionis in capo all’ accipiens che sia a conoscenza, come nel caso di specie, dell’appartenenza della società debitrice ad un gruppo, ben può desumersi presuntivamente dalla dimostrazione della consapevolezza, da parte del creditore, della crisi del gruppo al quale appartiene l’impresa, essendo ragionevole ritenere, in considerazione degli stretti rapporti commerciali e finanziari che normalmente si instaurano tra soggetti giuridici collegati, che le rispettive condizioni economiche risultino reciprocamente influenzate, e ciò particolarmente quando il dissesto riguardi l’impresa holding (Cass. 10115/06, 11059/11, 4473/97)», con la
quale, a suo dire, sarebbe stato violato il divieto di praesumptio de praesumpto (Cass. 12866/15, 1278/19), dal momento che la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza di NOME è stata ritenuta sussistente sulla base della presunzione che essa avesse avuto conoscenza dei bilanci consolidati del RAGIONE_SOCIALE.
6.1. – Il motivo presenta profili di inammissibilità analoghi a quelli già rilevati per il mezzo che lo precede, in quanto aspira ad una rilettura degli atti istruttori orientata ad un esito diverso della decisione, passando però attraverso apprezzamenti di fatto indiscutibilmente riservati ai giudici di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019).
6.2 . -A ciò si aggiunga che questa Corte va da tempo affermando che «nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma, ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto; ne consegue che, qualora si giunga a stabilire, anche a mezzo di presunzioni semplici, che un fatto secondario è vero, ciò può costituire la premessa di un’ulteriore inferenza presuntiva, volta a confermare l’ipotesi che riguarda un fatto principale o la verità di un altro fatto secondario» (da ultimo, Cass. 14788/2024; cfr. Cass. 23860/2020, 27982/2020, 20748/2019).
7 . -Con il terzo mezzo del ricorso incidentale si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. nonché nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dato rilevanza decisiva ad un documento mai prodotto in giudizio, e cioè la relazione trimestrale al 31.3.2002 del RAGIONE_SOCIALE, e fatto riferimento a bilanci dei quali non v’era prova che essa avesse avuto conoscenza effettiva, risultando del tutto tautologica l’affermazione secondo cui il bilancio 28.2.2002 avrebbe dovuto essere «noto a tutti gli operatori economici, in particolare alle banche che avevano rapporti in essere con le società del gruppo»; inoltre il bilancio di GS del 2001 presentava un utile, mentre quello del 2002 era stato
depositato successivamente alle rimesse in contestazione; infine, le richiamate deduzioni del CTU erano state confutate.
7.1. -Anche la censura in esame è affetta dai profili di inammissibilità evidenziati per quelle precedenti, in quanto sotto l’apparente denuncia di un vizio di violazione di legge, illustra censure di natura prettamente ‘meritale’ , inammissibili ai sensi del già citato art. 348 bis u. comma c.p.c.
7.2. -Invero, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, non integra violazione né falsa applicazione di norme di diritto la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, che si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge (Cass. 4784/2023).
7.3. -Ancora, ricorre la violazione dell’art. 2697 c.c. quando il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo -cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni -e non anche ove si contesti, come è con il motivo in esame, il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Cass. Sez. U, 16598/2016; Cass. 26366/2017, 13395/2018, 26769/2018, 1634/2020, 17313/2020, 11362/2024).
7.4. -Non emerge nemmeno la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. che sussiste solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023, 9351/2022, 20553/2021, 22397/2019);
-Con il quarto mezzo la Banca denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67, comma 2, l.fall., per avere i giudici di secondo grado dato rilievo a circostanze (quali il deficit di bilancio o lo sbilancio patrimoniale) che non avrebbero nulla a che vedere con lo stato di insolvenza (ed a fortiori con la sua conoscenza, nemmeno sotto il profilo dell’astratta conoscibilità).
8.1. -L’inammissibilità della censura deriva dalle argomentazioni già ampiamente svolte sopra con riguardo alla adeguatezza della motivazione ed alla impossibilità di dare ingresso in questa sede ad un diverso vaglio del materiale istruttorio.
-Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso incidentale la Banca lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 67, comma 2, l.fall., 2710 c.c. e 117 d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB), per avere la corte d’appello « ritenuto inopponibile all’attrice l’affidamento di € 200.000 ,00 concesso in data 23/5/96 (per l’ammontare di £ 200.000.000) ed aumentato in data 24/1/02 sino ad € 200.000 ,00 (produz. nn. 1-4 di primo grado) », per mancanza di data certa sull’erroneo assunto che essa avesse fondato la prova dell’affidamento “sulle sole risultanze dell’estratto del libro fidi”, e non anche sulle prove testimoniali in primo grado, illegittimamente trascurate dalla corte territoriale, anche per l’erroneo rilievo della terzietà del curatore.
9.1. -La censura è inammissibile poiché, per un verso, sembra non cogliere l’effettiva ratio decidendi , sul punto, della sentenza impugnata, e, per altro verso, viene a contrapporre una diversa lettura della prova testimoniale rispetto alla valutazione che ne hanno dato i giudici di appello.
9.2. – Invero, la corte territoriale ha osservato: i) che è da escludere l’idoneità del libro fidi, pur vidimato e timbrato in epoca anteriore alla procedura, a fornire prova idonea circa l’esistenza di un contratto di apertura di credito, poiché ” in tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario dell’imprenditore poi fallito, la banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa, per l’esistenza alla data delle stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole risultanze dell’estratto del libro fidi, il quale, al più attesta
l’esistenza della delibera della banca alla concessione di un finanziamento; né tale conclusione viola l’art 2710 cc -il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa -presupponendo l’applicazione della norma in parola che le risultanze delle quali la parte intende avvalersi siano contenute in uno dei libri contabili obbligatori ” (Cass. 13455/2011, 19941/2006, 28299/2005); ii) che la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito la terzietà del curatore del fallimento o del commissario giudiziale rispetto alle obbligazioni assunte dal fallito o dalla società insolvente e che spetta al creditore che intenda provare il contratto di apertura di credito dare prova della sua sottoscrizione per iscritto con documento munito di data certa, in epoca anteriore alla procedura, prova che non può essere fornita in via testimoniale, con riferimento alla data in cui sia intervenuto l’accordo negoziale; iii) che non rileva che per i fatti anteriori alla applicazione dell’art. 3 L. 1992/154 trovi applicazione la deroga al requisito della forma scritta ex art. 17 TULB e disposizioni adottate dal CICR e dalla Banca d’Italia, poiché la possibilità della banca di dimostrare l’esistenza per ” facta concludentia ” di un apertura di credito (in assenza di un contratto in forma scritta) è ammissibile nei casi in cui sia applicabile la normativa sopra indicata, purché l’apertura di credito sia già prevista e disciplinata dal contratto di conto corrente redatto per iscritto tra le parti (Cass. 19941/2006); iv) che la documentazione prodotta è del tutto inidonea a comprovare l’accordo intervenuto tra le parti relativo ad un contratto di apertura di credito, poiché gli argomenti proposti a tal fine dalla Banca non tengono conto dell’oggetto della prova a tal fine richiesta e della natura del contratto di apertura di credito, che non costituisce un effetto naturale del contratto di cono corrente, ma un negozio accessorio ed eventuale, che perciò necessita di una specifica pattuizione tra le parti; v) che la necessità della prova scritta del contratto importa l’inammissibilità della prova testimoniale, erroneamente ammessa dal giudice di primo grado proprio con riferimento alla data della prova documentale ed all’ esistenza delle prove documentali prodotte in giudizio.
9.3. -Orbene, al netto della valutazione dei documenti di causa, non ripetibile in questa sede, la motivazione appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la quale di recente ha avuto modo di chiarire che, in tema di apertura di credito in conto corrente, stipulata prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 della l. n. 154 del 1992, la prova dell’affidamento può essere fornita per facta concludentia , purché emerga almeno l’ammontare accordato al correntista, essendo invece insufficiente la sola dimostrazione della tolleranza della banca in ordine a sconfinamenti del cliente rispetto al tetto massimo riconosciuto (Cass. 11016/2024).
In particolare -si è detto -non è in discussione che, nel regime previgente, fosse consentita la conclusione per fatti concludenti di un contratto di apertura di credito (cfr. Cass. 17090/2008); tuttavia, occorreva allora che i ‘fatti’ deponessero, ratione temporis , per la avvenuta stipulazione di quel contratto specifico, rispondente, cioè, al regime degli artt. 1842 e 1852 c.c., nel senso che la banca si fosse obbligata a tenere una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato a disposizione del cliente, con diritto di questi di disporre della stessa in più volte, secondo le forme d’uso (salva diversa convenzione) ovvero in qualsiasi momento, e quindi anche subito dopo l’apertura del credito (v. Cass. 1225/2000, 8662/1997, 5389/1998).
Si è poi sottolineato che ( ratione temporis) la prova della esistenza di un contratto di apertura di credito alla data della rimessa, cui correlare la sua natura non solutoria, poteva essere assolta anche per facta concludentia , nel caso in cui risultasse applicabile la deroga del requisito della forma scritta prevista nelle disposizioni adottate dal Cicr e dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 117 TUB e, anteriormente, ex art. 3 della legge n. 154 del 1992, purché il contratto risultasse essere stato in qualche modo previsto e disciplinato da quello di conto corrente stipulato per iscritto (Cass. 14470/2005, 19941/2006); e quindi a condizione che emergesse per lo meno l’ammontare dell’affidamento accordato al correntista.
Risulta infatti intuitivo che una cosa è l’affidamento in apertura di credito in conto corrente, tutt’altra cosa la mera esistenza eventualmente desunta da un atteggiamento tollerante della banca
– di una linea di credito attivabile dal cliente mediante distinte pratiche di sconfinamento.
Ecco perché la stessa annotazione nel libro fidi di una banca degli estremi di un affidamento, con riferimento sia al limite dello scoperto sia alla delibera interna di concessione, ancorché corrisposta da una situazione di fatto caratterizzata dallo svolgimento di un conto passivo con adempimenti reiterati da parte della banca di ordini di pagamento del correntista, in assenza di provvista e nell’ambito dei limiti di rischio dalla stessa banca preventivamente valutati, è stata sempre normalmente ritenuta non dimostrativa -in sé -della stipulazione per fatti concludenti di un contratto di apertura di credito in conto corrente, per l’appunto in quanto una tale situazione di fatto può trovare fondamento in una posizione di mera tolleranza da parte della banca; la quale ha la possibilità di controllare la situazione patrimoniale e finanziaria del correntista e fare immediato ricorso a forme sollecite di copertura e tutela (così testualmente Cass. 11016/2024; ma vedi già Cass. 12947/1992, 9018/1998, 686/1999).
10. -Stante l ‘esito negativo di entrambi i ricorsi, le spese del presente giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che di quella incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis , se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13/06/2024.