Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25605 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25605 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30024/2022 R.G., proposto da
COGNOME rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrente –
contro
FALLIMENTO della società RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore fallimentare NOME COGNOME rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
–
contro
ricorrente – per la cassazione della sentenza n. 2201/2022 della CORTE d’APPELLO di Bologna pubblicata il 27.10.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 4.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Revocatoria ordinaria -Contratto di locazione ultranovennale Azione esercitata dal curatore Ammissibilità
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicato come il Fallimento) conveniva dinanzi al Tribunale di Ravenna NOME COGNOME, chiedendo in via principale che fosse dichiarata ex artt. 66 L.F. e 2901 cod. civ. l’inefficacia del contratto di locazione concluso in data 7.6.2012 per la durata della vita della conduttrice e per i due anni successivi, con conseguente condanna al rilascio delle unità immobiliari (abitazione, posto auto e garage) site in Rimini zona INDIRIZZO.
La convenuta eccepiva la prescrizione dell’azione per essersi perfezionata la notifica dell’atto di citazione successivamente al maturare del quinquennio, e contestava la domanda, nonché l’inammissibilità e l’improcedibilità della domanda per decorso del termine di un anno ex art. 80 L.F. entro il quale il curatore avrebbe potuto esercitare il recesso dal contratto di locazione.
Con sentenza n. 490/2020, pubblicata il 23.6.2020, il Tribunale di Ravenna accoglieva la domanda svolta e, per l’effetto, dichiarava l’inefficacia nei confronti del Fallimento del contratto , condannando la convenuta al rilascio delle unità immobiliari.
Con sentenza pubblicata il 27.10.2022 a Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello proposto da lla conduttrice.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso il FALLIMENTO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 2, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 24, 66 L.F. e 2901 cod. civ.
La ricorrente lamenta che, nonostante che nella stessa sentenza l’azione esercitata dal curatore sia stata qualificata di massa e recuperatoria, la Corte d’appello, in violazione dell’art. 24 L.F., ha omesso il rilievo d’ufficio dell’incompeten za funzionale del Tribunale di Ravenna in favore del Tribunale Fallimentare.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente si duole per l’omesso rilievo da parte della Corte d’appello dell’incompetenza, funzionale ed inderogabile, del primo giudice in relazione alla svolta domanda ex art. 66 L.F., che, quale azione «derivante» dal fallimento, sarebbe spettata al Tribunale che ha dichiarato il fallimento. Rimane, pertanto, estraneo al tema posto quello relativo alla competenza alla pronuncia sul rilascio delle unità immobiliari. Profilo, quest’ultimo, esaminato dalla Corte d’appello nello scrutinio del terzo motivo di appello.
Sennonché, anche a prescindere dal fatto che la sentenza del primo grado è stata resa dal Tribunale che ha dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE, e non è stato adeguatamente puntualizzato che la pronuncia di primo grado sia stata resa da una sezione «ordinaria», quand’anche l’azione fosse stat a decisa da quest’ultima essa, non essendo il Tribunale ordinario e quello fallimentare territorialmente diversi, l’aver adito il primo in luogo del secondo non fa sorgere una questione di competenza, ma integra un caso d’improcedibilità della domanda, denunciabile in sede di gravame ordinario (v. Cass. civ., sez. I, 23 gennaio 1997, n. 702; sez. lav., 26 luglio 2004, n. 14028; sez. I, 14 ottobre 2005, n. 19984), tenuto conto del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ex art. 161 cod. proc. civ. e in armonia con il principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. (v. Cass., sez. III, 4 ottobre 2018, n. 24156).
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2903 cod. civ. e 140 e ss. cod. proc. civ.
La ricorrente osserva che il rigetto dell’eccezione di prescrizione del diritto azionato, per essere intervenuta la notifica dell’atto di citazione solamente il 15.6.201 7, mentre l’atto revocato era del 7.6.2012 , è in contrasto con la natura recettizia dell’atto di interruzione della prescrizione , il cui effetto si produce solo al momento dell’arrivo nella sfera giuridica del destinatario. La scissione degli effetti della notifica dell’atto attiene al solo piano processuale, tanto più che, discutendosi di prescrizione e non di decadenza, è necessario che il destinatario della notifica abbia conoscenza (legale anche se non effettiva) dell’atto del creditore , ma non a quello sostanziale, stante la natura di atto recettizio.
2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ. N ell’impugnata sentenza la Corte territoriale in relazione al tema della scissione degli effetti della notificazione, anche sul piano sostanziale, dell’atto di citazione di esercizio dell’azione revocatoria, rilevan te quanto all’eccezione di prescrizione, ha risolto la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, e l’esame del motivo n on offre elementi per confermare o mutare detto orientamento.
Infatti, la Corte d’appello ha richiamato il principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24822, in base al quale ‘ La regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario ‘ , da ciò derivando che quando il diritto non può essere esercitato se non attraverso l’inizio del giudizio, la prescrizione dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. è interrotta dalla consegna dell’atto (introduttivo del relativo giudizio) all’ufficiale giudiziario per la notifica.
La Corte d’appello facendo applicazione del principio di ragionevolezza, del l’esclusività del mezzo processuale in tema di revocatoria anche ai fini dell’interruzione della prescrizione, della necessità di bilanciamento degli interessi in gioco e della temporaneità dello spazio di scissione, i quali imponevano il superamento della regola ‘ordinaria civilistica e sostanziale’ dell’atto recettizio , ha poi concluso con il rigetto dell’eccezione di prescrizione.
La ricorrente nella formulazione del motivo in opposizione alla pronuncia delle Sezioni Unite ribadisce la tesi che sul piano sostanziale la natura recettizia dell’atto di interruzione della prescrizione fa sì che l’effetto interruttivo della prescrizione si produce solo al momento dell’arrivo nella sfera giuridica del destinatario in base all’art. 1 334 cod. civ., che, tuttavia, non è estensibile agli atti processuali, né è applicabile per via analogica, poiché ‘ c’è la ratio contraria: il principio fissato dalla Corte costituzionale tutela il diritto di agire e -prima ancora- il principio di ragionevolezza ‘ (v. Cass. , Sez. Un., 24822/2015, cit.).
Aspetto , quest’ultimo, sul quale la ricorrente, come detto, non offre elementi per mutare l’orientamento seguito dalla Corte d’appello , che, sulla base degli indicati principi e mediante una interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 2943 cod. civ., permette di estendere nel caso di diritto esercitabile solo con un atto processuale, come l’ azione revocatoria, l ‘applicazione della scissione degli effetti della notifica tra notificante e notificato.
Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente ed incomprensibile.
La ricorrente, in relazione al rigetto del primo motivo d’appello rileva l’assenza di ‘motivazione reale’ , in quanto non in grado di descrivere l’ iter logico seguito, là dove è stata ritenuta l’estensibilità alla revocatoria ordinaria della giurisprudenza formatasi in materia di revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F. Del pari, riguardo al rapporto tra il rimedio ex
art. 80 L.F. e gli altri, del tutto inespressi sono rimasti i presupposti alla base della libertà di scelta da parte del curatore.
3.1. Il motivo è infondato.
Il difetto di motivazione è ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti ‘meramente apparente’, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di ‘carenza grafica’ della stessa, quando essa, ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (v., Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; nonché, più di recente, Cass., sez. 6-V, 23 maggio 2019, n. 13977), o perché non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (v., Cass. 30 giugno 2020, n. 13248; Cass. del 7 aprile 2017, n. 9105), o perché affetta da ‘irriducibile contraddittorietà’ (v., Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; sez. 6III, 25 settembre 2018), ovvero connotata da ‘affermazioni inconc iliabili’ (v., da ultimo, Cass., sez. 6 -lav., 25 giugno 2018, n. 16111; sez. III, 25 settembre 2018; sez. I, 25 giugno 2021, n. 18311; sez. III, 6 novembre 2023, n. 30579), mentre ‘resta irrilevante il semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ ( Cass., sez. II, 13 agosto 2018, n. 20721). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass., Sez. U n., 8053/2014 cit.), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le ris ultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass., sez. I, 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, da ultimo, Cass., sez., 3 marzo 2022, n. 7090).
La Corte d’appello ha esplicitato in modo chiaramente percepibile il ragionamento svolto rappresentando, sulla premessa della natura di massa e recuperatoria dell’azione revocatoria ordinaria (come di quella fallimentare), al cui esercizio è legittimato il solo curatore ex art. 66 L.F., una
volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, con effetti a vantaggio della massa dei creditori, là dove si legge ‘ Non è pertanto rilevante il fatto che il curatore sia ex lege (art. 80 L.F.) parte del contratto revocando e al contempo rappresentante della massa dei creditori; non potendo del resto porsi in dubbio neppure il fatto che sotto questo profilo sia indiscutibile – e condivisibile l’orientamento della S.C. in materia- la possibilità per lo stesso di proporre revocatoria fallimentare nonostante il subentro automatico nella locazione, anche in ragione dell’automatismo dello stesso … giurisprudenza che va ritenuta applicabile anche alla revocatoria ex art. 66 L.F., e 2901 c.c,, ferma la necessaria ricorrenza dei presupposti civilistici oggettivo e soggettivo richiesti da quest’ultima norma ‘ (pagina 7 e s.).
Affermazione, quest’ultima, basata sul rilievo che il curatore con l’esercizio dell’azione revocatoria è soggetto terzo che interviene per elidere il pregiudizio al patrimonio del fallito da atti da questo compiuti, quali i contratti di locazione ultranovennali, che fa il paio con la rilevazione dell’interesse ad agire ‘ in quanto, pur non essendo traslativi del bene, ne limitano, anche indirettamente, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore. E nel caso concreto l’interesse consiste … nella possibilità di realizzare un maggiore importo dalla vendita, rimosso il vincolo sul bene ‘ .
La c orte d’appello ha spiegato che l’ art. 80 L.F. , ‘ non va inteso in senso obbligato o escludente un diverso rimedio, ma appare in effetti riservato ai casi ‘fisiologici’ in cui il rapporto non sia in alcun modo censurabile da parte del curatore, fermo restando che a questi spetterebbe alternativamente la facoltà di considerare la convenienza e l’opportunità di esperire l’uno o l’altro procedimento, se vi sono anche i presupposti per la revocatoria ordinaria o fallimentare (o ad es. dell’inefficacia ex art. 44 o 45 L.F., o della nullità) a seconda dei costi presumibili, e comunque delle circostanze del caso concreto’ (pagine 8 e 9 della sentenza).
Rispetto a tale ultima affermazione la ricorrente, là dove lamenta la mancata illustrazione del fondamento dell’affermata libertà di scelta del
curatore circa il «sacrificio» del rimedio ex art. 80 L.F., tende a traslare in sede di giudizio di merito una questione che attiene al programma di liquidazione ex art. 104ter L.F. oggetto di approvazione nell’ambito della procedura concorsuale.
Emerge pertanto evidente come proponga al riguardo un’inidonea censura della ratio decidendi dell’impugnata sentenza.
Con il quarto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 80 L.F. in relazione agli artt. 66 e 67 L.F.
La ricorrente si duole per l’affermata equiparazione dell’azione ex artt. 66 L.F. e 2901 cod. civ. a quella ex art. 67 L.F.: le due azioni hanno una comune natura (costitutiva), ma restano distinte sul piano funzionale (indennitaria quella ordinaria, antindennitaria quella fallimentare). Da tanto deriva, la non estensibilità all’azione ex art. 66 L.F. de lle regole pretorie applicabili a quella ex art. 67 L.F. e, quindi, alla preferenza di quest’ultima rispetto al rimedio ex art. 80 L.F.
4.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente declina in termini di violazione d ell’art. 80 L.F. , in relazione agli artt. 66 e 67 L.F., le stesse doglianze prospettate nel terzo motivo assumendo che la Corte d’appello abbia impropriamente applicato all’azione revocatoria ordinaria le regole che la giurisprudenza ha elaborato per quella ex art. 67 L.F.
La Corte d’appello là dove ha affermato il carattere non ‘ obbligato o escludente ‘ del rimedio previsto dall’art. 80 L.F. ha valorizzato: le analogie tra le due azioni revocatorie sul piano della qualificazione, della competenza, della legittimazione e degli effetti; la legittimazione esclusiva del curatore alla proposizione dell’azione ex art. 66 L.F. che trasla in sede fallimentare l’azione ex art. 2901 cod. civ.; la specificità dei presupposti delle due azioni e la pacifica revocabilità dei contratti di locazione ultranovennali . Per poi concludere che l’art. 80 L.F. non osta alla revocabilità dei contratti di locazione, per essere il primo ‘ riservato ai casi «fisiologici»
in cui il rapporto non sia in alcun modo censurabile da parte del curatore, fermo restando che a questi spetterebbe alternativamente la facoltà di considerare la convenienza e l’opportunità di esperire l’uno o l’altro procedimento, se vi sono anche i presupposti per la revocatoria ordinaria o fallimentare (o ad es. dell’inefficacia ex art. 44 o 45 L.F., o della nullità) a seconda dei costi presumibili, e comunque delle circostanze del caso concreto’ .
La decisione assunta è del tutto corretta, poiché ragionando a contrario , i contratti di locazione ultranovennali stipulati dal fallito, sarebbero assoggettati alla sola disciplina dell’art. 80 L.F. in contrasto con la loro pacifica revocabilità con l’azione ordinaria prevista dall’art. 66 L.F. Limitazione, quest’ultima, non prevista che finirebbe per generare paradossalmente una zona franca atta a depotenziare il ricorso alla procedura concorsuale a tutto beneficio del debitore e a scapito dei creditori concorsuali.
Va ancora osservato che l’innesto dell’azione revocatoria ordinaria in una procedura fallimentare ne determina la trasformazione da strumento di tutela individuale del singolo creditore a strumento di tutela collettiva della massa, comportando, pur nel silenzio della legge, un diverso atteggiarsi sia dei presupposti sia degli effetti dell’azione. In particolare muta il presupposto oggettivo, che va individuato nella lesione della garanzia patrimoniale offerta dai beni del debitore al momento del compimento dell’atto e ancora esistente a quello della proposizione dell’azione. Lesione, in termini di insufficienza di tali beni a consentire il soddisfacimento delle ragioni creditorie, da verificarsi con riferimento all’insieme dei creditori. Ancora, la dichiarazione di inefficacia dell’atto si estende nei confronti dell’intera massa dei creditori, anteriori o posteriori all’atto, nonché determina direttamente, come per la revocatoria fallimentare, il recupero del bene al patrimonio oggetto dell’esecuzione fallimentare.
L’azione revocatoria ex art. 66 L.F., pur differendo dalla revocatoria fallimentare, in quanto non azione nuova nascente dal fallimento, non può
considerarsi identica a quella che fuori dal fallimento spetta ai singoli creditori. Ciò permette di ricondurre tale azione nell’ambito di quelle derivanti dal fallimento, come confermato dall’attribuzione espressa al tribunale fallimentare in base all’art. 24 L.F., e offre il destro, pur nella distinzione con quella fallimentare, per estend ere a essa l’interpretazione seguita dalla giurisprudenza con riferimento alla revocatoria fallimentare.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ‘erra ta valutazione della ricorrenza dell’ eventus damni ‘.
L a Corte d’appello in violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. ha omesso di considerare che il canone di locazione (non) era stato determinato dal C.T.U. alla data della sottoscrizione del contratto e che, comunque, era provato che al momento del contratto lo stato del bene era ben diverso da quello ‘attuale’ , per aver la ricorrente eseguito lavori di ultimazione sostenendo il relativo costo, non senza considerare che fino al 2017 il complesso immobiliare era in ‘stato di abbandono’ . Erroneamente, quindi, la Corte d’appello, sulla base della indicazione resa dal C.T.U., aveva preso a riferimento per la valutazione il canone al 2019 e non al 2012.
Sotto altro profilo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2901 cod. civ. Anche a voler tenere per buona la stima fatta dal C.T.U., erroneamente la Corte d’appello ha affermato l’esistenza del danno ai creditori a causa della locazione a tempo indeterminato, per essere stato stipulato per l’intera vita della conduttrice (ed oltre) e per un ‘canone irrisori o, considerate la natura e le condizioni dell’immobile ex actis ‘.
L’azione revocatori a presuppone un canone inadeguato, perché vile, e non solamente incongruo come affermato dal C.T.U., la cui stima era stata recepita, trovandosi di un tanto conferma nell’art. 2923, comma secondo, cod. civ., il quale prevede come non «adeguato» il canone inferiore di un terzo ‘al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni’ : a fronte di una stima di euro 850, il canone concordato di euro 650 non era né vile, né irrisorio.
5.1. La prima censura è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter , comma quinto, cod. proc. civ. In caso di una doppia pronuncia conforme sulla base delle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto oggetto di censura non è ammesso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha confermato la decisione del primo grado in ordine alla stima del canone contrattuale e la ricorrente non ha dimostrato la diversità delle ragioni esposte nelle due sentenze con riferimento alle stesse questioni di fatto (v. Cass. 29 gennaio 2024, n. 2701; 20 settembre 2023, n. 26934; 28.2.2023, n. 5497; 7 maggio 2018, n. 10897; 10 marzo 2014, n. 5528).
5.2. La seconda censura, invece, è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., in quanto non attinge l’intera ratio decidendi espressa dalla Corte d’appello a pagina 10 e 11 (paragrafo 4.4.1), dove la valutazione dell’ eventus damni è stata affrontata non solo nella prospettiva della stima del canone da parte del C.T.U., il quale aveva tenuto conto ‘del sostanziale «stato di abbandono» del condominio sino al 2017 (ma anche dell’ultimazione/completamento nel 2007)’ indicando, su lla base dello stato del bene, un canone di euro 850 dal 2012 al 2017, per poi concludere per la non congruità di quello pattuito di euro 650, comprensivo delle spese condominiali di norma di euro 200 al mese per gli anni antecedenti al 2017/2018.
Detta considerazione, unitamente alla mancata dimostrazione sia della spesa per 39.000 per lavori nell’abitazione, asseritamente sostenuta dalla ricorrente, sia dello stato al grezzo del bene al momento della locazione, si è abbinata all’esame del quinto motivo d’appello vertente sulle le censure alla C.T.U., dove è stato ritenuto che la differenza tra il valore del bene nelle due condizioni (libero o gravato) sarebbe rimasta rilevante, poiché la vendita di analogo immobile della società della RAGIONE_SOCIALE, collocato nello stesso stabile, gravato da vincolo analogo e concesso in locazione per
euro 600 con coevo contratto vita natural durante, era avvenuta per soli euro 132.500.
La ricorrente, pertanto, ha prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio ‘ (v. in motivazione Cass., Sez. Un., 20 marzo 2017, n. 7074; Cass., sez. VI-I, 7 settembre 2017, n. 20910).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto de ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, in favore del controricorrente Fallimento, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente Fallimento.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 4 aprile 2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME