Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28618 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28618 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4666/2022 R.G. proposto da : BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè COGNOME NOME,
contro
BROGI
COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n.
38/2021 depositata il 19/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 38/2021, depositata il 19.1.2021, la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Macerata, con sentenza del 16.2.2017, ha dichiarato inefficaci ex art. 67 comma 2° L.F., nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, le rimesse effettuate dalla società poi fallita in favore del predetto istituto bancario nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per un importo complessivo di € 76.664,35, con conseguente condanna della Banca Monte dei Paschi alla corresponsione in favore della curatela della stessa somma, oltre accessori di legge.
Il giudice di secondo grado, per quanto ancora di interesse, ha, in primo luogo, evidenziato che ‘in tema di revocatoria, in caso di ‘castelletto di sconto’ o ‘fido per smobilizzo crediti’, che corrisponde proprio all’assetto negoziale invocato da parte appellante, non sussiste la c.d. ‘copertura’ di un conto corrente bancario, in quanto tali strumenti, a differenza del contratto di apertura di credito, non attribuiscono al cliente della banca la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di denaro, ma sono solo fonte, per l’istituto di credito, dell’obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l’affidato presenterà, sicchè ai fini dell’esercizio
dell’azione predetta, le rimesse effettuate su tale conto dal cliente, poi fallito, hanno carattere ‘solutorio’, ove nel corso del rapporto, il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito’.
Il giudice d’appello ha ritenuto insussistenti le ‘operazioni bilanciate’ invocate dalla banca.
Infine, la Corte d’Appello ha ritenuto la sussistenza della scientia decoctionis, evincibile da una serie continua di richieste di proroga avanzate dalla fallita in ordine agli anticipi su fatture esportazione, a nulla rilevando che tali richieste di proroga dipendevano, a loro volta, dalla posticipazione nelle consegne e dalle proroghe di pagamento chieste dai clienti della RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALEp.a. affidandolo a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Con atto del 18.10.2024, è stata formulata proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 1, c.p.c.
Con atto del 28.10.2024 RAGIONE_SOCIALE ha depositato istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 comma 2 L.F.
Espone la ricorrente che dalla documentazione ritualmente versata in atti risulta incontrovertibilmente che RAGIONE_SOCIALE ha operato sempre nell’ambito degli affidamenti concessi, con la conseguenza che non è nemmeno ipotizzabile la revocabilità delle rimesse per cui è causa.
La ricorrente si duole che la Corte d’Appello ha omesso di considerare che risulta provato per tabulas che RAGIONE_SOCIALE ha fruito di linee di credito regolarmente autorizzate ed utilizzate, rimaste
operanti per tutto il periodo sino alla revoca degli affidamenti del 25.6.2023, con la conseguenza che il conto non poteva ritenersi scoperto e le relative operazioni di accredito non avevano avuto effetti solutori, ma la sola finalità di ricostituire la provvista.
Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c..
La ricorrente lamenta che, a fronte dello specifico motivo d’appello dalla stessa formulato in ordine all’inutilizzabilità della CTU, la Corte d’Appello ha omesso qualsivoglia delibazione, ritenendo sussistenti le ‘operazioni bilanciate’ e così aderendo alla decisione del Tribunale che ha recepito l’analisi tecnico contabile del CTU senza fornire alcuna motivazione. La ricorrente ha, altresì, riproposto le critiche formulate alla CTU richiamando le osservazioni di parte alla CTU.
In ordine alla scientia decoctionis , la ricorrente espone che sussiste una serie di elementi dirimenti, completamente omessi dalla Corte distrettuale, che, considerati complessivamente, comprovano l’insc ientia decoctionis , ed ha contestato gli indici presuntivi ritenuti dal giudice d’appello.
Con proposta di definizione anticipata del 18.10.2024 è stata delibata, in parte, l’inammissibilità del ricorso e, in parte, (con riferimento all’eccepito vizio di nullità della sentenza) la manifesta infondatezza sulla base delle seguenti osservazioni:
‘Si discute della revocatoria fallimentare di versamenti eseguiti su conto corrente bancario, ritenuti di natura solutoria.
La domanda della curatela è stata accolta all’esito di c.t.u.
L’appello della banca è stato respinto.
Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi: (i) violazione e falsa applicazione dell’art. 67, secondo comma, legge fall. e (ii) nullità della sentenza per motivazione apparente.
Il ricorso è in parte inammissibile e in parte (a misura dell’eccepito
vizio di nullità della sentenza) manifestamente infondato.
Secondo la ricorrente sarebbe stata erroneamente ritenuta l’insussistenza di un’apertura di credito con data certa anteriore al fallimento e, pertanto, la natura solutoria di tutte le rimesse affluite in conto con saldo passivo.
Il vizio di apparente motivazione ricorrerebbe in quanto la corte d’appello avrebbe omesso di indicare gli elementi di convincimento, o comunque li avrebbe indicati senza una loro approfondita disamina logico-giuridica, anche in rapporto alle critiche formulate rispetto alla c.t.u.; e al di là delle mere formule di stile adottate, la curatela attrice in primo grado non avrebbe comunque allegato (né provato) alcuna circostanza concreta in merito alla sussistenza del presupposto soggettivo.
Ora, per consolidata giurisprudenza, è apparente la motivazione che sia basata su una affermazione generale e astratta, in quanto carente del giudizio di fatto (v. tra le varie Cass. Sez. 3 n. 416624). È altresì apparente la motivazione della sentenza che non consenta di stabilire la ratio decisionale (v. ex plurimis Cass. Sez. 6-1 n. 6758-22). La situazione di specie non è di questo tipo.
L’impugnata sentenza, seppure sinteticamente, ha esplicitato il giudizio sui fatti. Lo ha fatto mediante riferimento alle risultanze della c.t.u., in forza della rilevata esistenza del presupposto per la revocabilità delle rimesse confluite sul conto passivo al momento non supportato da apertura di credito. Sempre menzionando la c.t.u. ha ritenuto non riscontrabili gli elementi identificativi delle dedotte operazioni bilanciate.
Si tratta di un giudizio di fatto motivato in quanto basato, appunto, sul richiamo della c.t.u.; giudizio peraltro reso in doppia conforme rispetto alla sentenza di primo grado.
La ricorrente muove invece dall’assunto che ‘dalla documentazione ritualmente versata in atti’ sarebbe risultato ‘incontrovertibilmente che la RAGIONE_SOCIALE ha operato sempre nell’ambito degli affidamenti
concessi, ed anzi con conti su basi attive’, sicché non sarebbe nemmeno ipotizzabile la revocabilità delle rimesse per cui è causa. Si tratta di affermazione in contrasto con l’accertamento operato dal giudice del merito, dato che la sentenza ha deciso la causa -come detto in doppia conforme. Donde, esclusa l’esistenza del vizio di nullità per motivazione apparente, l’accertamento di fatto resta totalmente insindacabile.
E’ deficitaria la tesi della ricorrente in punto di mancato esame delle critiche rivolte alla c.t.u.
Dalla sentenza invero non risulta se come e quando tali critiche siano state specificamente formulate, e sul punto il ricorso non soddisfa il fine di autosufficienza, perché la sostanza delle suddette critiche non è riportata. Per consolidato principio, nel ricorso per cassazione per vizio di motivazione la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso e al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche a essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (v. Cass. Sez. 3 n. 19989-21, Cass. Sez. 1 n. 1636814)’.
Questo Collegio non può che confermare e far proprie le argomentazioni e le conclusioni della proposta di definizione anticipata anche alla luce delle seguenti ulteriori considerazioni.
In particolare, quanto alla dedotta violazione dell’art. 67 comma 2° L.F., la ricorrente ha reiterato le proprie censure in ordine alla ritenuta (dai giudici di merito) natura solutoria delle rimesse
affluite sul conto corrente della fallita, sul mero generico rilievo che avrebbe fruito di linee di credito regolarmente autorizzate ed utilizzate. Non si è tuttavia, minimamente confrontata, da un lato, con la precisa affermazione della sentenza impugnata, secondo cui la concessione alla fallita di ‘castelletto di sconto’ o ‘fido per smobilizzo crediti’ ‘corrisponde proprio all’assetto negoziale invocato da parte appellante’ -affermazione non contestata dalla ricorrente neppure in questa sede di legittimità -e non ha considerato, dall’altro, il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 13510/2015; conf. Cass. n. 22597/2017; Cass. 926/2022; 17231/2023) -cui questo Collegio intende dare continuità – secondo cui, in tema di revocatoria fallimentare, in caso di “castelletto di sconto” o fido per smobilizzo crediti, non sussiste la cd. copertura di un conto corrente bancario in quanto essi, a differenza del contratto di apertura di credito, non attribuiscono al cliente della banca la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono solo fonte, per l’istituto di credito, dell’obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l’affidato presenterà, sicché, ai fini dell’esercizio dell’azione predetta, le rimesse effettuate su tale conto dal cliente, poi fallito, hanno carattere solutorio ove, nel corso del rapporto, il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito. Né tale distinzione viene meno se tra le due linee di credito sia stabilito un collegamento di fatto, nel senso che i ricavi conseguiti attraverso sconti e anticipazioni siano destinati a confluire nel conto corrente di corrispondenza, trattandosi di meccanismo interno di alimentazione del conto attraverso le rimesse provenienti dalle singole operazioni di smobilizzo crediti, alla stregua di qualunque altra rimessa di diversa provenienza.
Quanto alla invocata natura bilanciata delle operazioni, le censure della ricorrente si appalesano inammissibili, in quanto in contrasto con l’accertamento di fatto del giudice di merito che come ben evidenziato nella proposta di definizione anticipata -è in doppia conforme (sulla non sindacabilità della valutazione di fatto del giudice di merito in ordine all”esistenza o meno di un accordo tra solvens ed accipiens finalizzato a destinare le rimesse in conto corrente alla costituzione di una provvista per coeve o prossime operazioni di pagamenti o prelievi mirati in favore di terzi o del cliente stesso, vedi anche Cass. n. 27266/2023).
Parimenti inammissibili, in quanto di merito oltre che generiche, sono le censure svolte in ordine alla ritenuta (dai giudici di merito) sussistenza della scientia decoctionis , in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione degli elementi fattuali rispetto a quella operata dal giudice di secondo grado, la quale, in quanto proprio di merito, non è sindacabile in sede di legittimità (vedi Cass. n. 3081/2018; conf. n. 8827/2011, n. 15939/2007, recentemente, Cass. n. 1148/25 non mass.).
Quanto al dedotto vizio di motivazione – invocato nel secondo motivo del ricorso – per non avere, asseritamente, la sentenza esaminato le critiche svolte dal proprio consulente di parte alla CTU, deve, in primo luogo, condividersi integralmente quanto evidenziato nella proposta di definizione anticipata in ordine al difetto di autosufficienza del ricorso con riferimento alle critiche rivolte dalla ricorrente alla CTU, il cui contenuto non è stato specificamente riportato.
In ogni caso, tale censura si appalesa manifestamente infondata, non considerando, da un lato, che – come ha dato atto la stessa ricorrente alle pagg. 17 e 18 del ricorso – il ctu, nella relazione definitiva, ha risposto alle critiche e alle richieste di chiarimento formulate dal CTP della banca e, dall’altro, che è orientamento costante di questa Corte (cfr. Cass. n. 33742/2022; Cass. n.
1815/2015; Cass. n. 282/09; Cass. n. 8355/07) quello secondo cui il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive.
Il ricorso è quindi infondato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., devono essere applicati come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ. il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente della somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo (che si stima pari a quella quantificata a titolo di spese di lite) nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 e Cass. Sez. U 13-102023 n. 28540, l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata. Peraltro, se è pur vero
che di una siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché l’applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Sez.Un. n.36069 del 27.12.2023), nondimeno nell’ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale: è evidente la complessiva piena «tenuta» del sintetico provvedimento di proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 7.200, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Condanna la ricorrente ex art. 96 co.3 e 4 cod. proc. al pagamento di € 7.000,00 a favore della controricorrente nonché alla somma di € 2.500,00 a favore della C assa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 15.10.2025
Il Presidente
NOME COGNOME