Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29432 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29432 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 06/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 22378/2023 r.g. proposto da:
NOME COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE, e NOME COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in atti, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME ed NOME COGNOME, e presso lo studio del secondo in Roma, INDIRIZZO, elettivamente domiciliati.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, resa in data 27 luglio 2023, n. 5529;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/10/2025 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 14175/2018.
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano infatti proposto appello avverso la predetta sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto la domanda formulata ai sensi dell’art. 44 l. fall. dal Fallimento della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME (dichiarato fallito in proprio quale socio accomandatario) e per l’effetto aveva dichiarato inefficace nei confronti della curatela l’atto per rogito del AVV_NOTAIO di Terni del 3 marzo 2014 , con cui NOME aveva trasferito alla moglie NOME COGNOME la metà indivisa di alcune unità immobiliari site, rispettivamente, nel Comune di Roma e nel Comune di Norcia e i successivi atti per rogito del AVV_NOTAIO di Terni del 16 luglio 2014 e del 2 ottobre 2014, con cui NOME COGNOME, in ragione del 50 per cento, e NOME COGNOME, in ragione del restante 50, avevano venduto a NOME COGNOME l’intera proprietà delle unità immobiliari in questione, con conseguente condanna restitutoria alla curatela delle predette unità immobiliari che NOME COGNOME aveva trasferito a NOME COGNOME in forza del rogito del 3 marzo 2014.
La Corte territoriale, nel respingere il gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha osservato e rilevato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) in ordine alla richiesta di estinzione del processo ai sensi degli artt. 297 e 307 cod. proc. civ., le doglianze sollevate dagli appellanti erano infondate, in quanto l ‘ordinanza del 10 novembre 2016 – con cui il processo era stato sospeso ‘sino al 31.5.2017’ – non era stata adottata dal giudice su istanza congiunta di tutte le parti, come invece r ichiesto dall’art. 296 cod. proc. civ. per le ipotesi di sospensione volontaria, ma su richiesta espressa della sola parte convenuta, che aveva invocato all’uopo l’applicazione dell’art. 49 del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229; (ii) l ‘art. 49 del decreto -legge cit.
contiene in realtà due distinte disposizioni di natura processuale: (a) il comma 1 prevede la sospensione ex lege, fino al 31 maggio 2017, dei processi civili pendenti alla data del 24 agosto 2016 presso gli uffici giudiziari aventi sede in uno dei Comuni interessati dall’evento sismico che aveva colpito l’Italia centrale il 24 agosto 2016, indicati nell’allegato 1 al decreto -legge; (b) il comma 3 stabilisce invece che ‘Sono rinviate d’ufficio a data successiva al 31 maggio 2017, le udienze processuali civili e amministrative e quelle di competenza di ogni altra giurisdizione speciale in cui le parti o i loro difensori, purché la nomina sia anteriore al 24 agosto 2016, erano residenti o avevano sede nei Comuni di cui all’allegato 1, alla data del 24 agosto 2016. È fatta salva la facoltà dei soggetti interessati di rinunciare espressamente al rinvio’ ; (iii) poiché il processo pendeva davanti ad un ufficio giudiziario, e cioè il Tribunale di Roma, ubicato in un Comune non rientrante nell’elenco dei Comuni contenuto nell’allegato 1 al decreto -legge, il tribunale non avrebbe dovuto sospendere il processo, ma si sarebbe dovuto limitare a rinviare la trattazione della causa a data successiva al 31 maggio 2017, fissando con ordinanza la data per la prosecuzione del giudizio, senza che potesse assumere alcuna rilevanza la volontà della curatela di aderire od opporsi al suddetto rinvio; (iv) non vertendosi in materia di sospensione volontaria del processo, non trovava dunque applicazione al caso di specie la disciplina invocata dagli odierni appellanti, che chiedevano dichiararsi l’estinzione del processo ai sensi del combinato disposto dell’art. 297, secondo comma, e dell’art. 307, terzo comma, cod. proc. civ.; (v) anche l ‘eccezione di improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione era infondata, non potendosi ritenersi obbligatoria, nella materia in esame , riguardante un’ azione revocatoria di trasferimento immobiliare, la conciliazione obbligatoria, poiché la funzione dell’azione revocatoria ordinaria è soltanto quella di ricostituire la garanzia generica ex art. 2740 c.c. tramite l’inefficacia relativa dell’atto dispositivo, sicché non v i era controversia alcuna sulla validità dell’atto, né tantomeno sull’oggetto della disposizione.
La sentenza, pubblicata il 27 luglio 2023, è stata impugnata da NOME COGNOME
e NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 5, d. lgs. n. 28/2010.
1.1 Sostengono i ricorrenti che la Corte di Appello di Roma, reiterando acriticamente l’erroneo ragionamento del Tribunale, aveva ritenuto che la controversia non riguardasse diritti reali, e dunque non fosse soggetta alle disposizioni in tema di obbligatorietà del previo tentativo di mediazione e conciliazione.
1.2 Secondo i ricorrenti, invece, la Corte territoriale avrebbe, tout court ed in modo piuttosto semplicistico, parificato l’istituto della revocatoria ordinaria, di cui all’art. 2901 c.c., e quello della speciale revocatoria fallimentare, di cui all’art. 44, l. fall., a suo tempo invocato dalla curatela ed accolto dal giudice del merito. Al contrario gli istituti sarebbero profondamente diversi. Secondo i ricorrenti, la pronuncia adottata ex art. 2901 c.c. si limiterebbe alla declaratoria di inefficacia relativa di un determinato atto, senza nulla disporre a proposito della proprietà o del possesso del bene sottostante, con la conseguenza che, non incidendo su diritti reali, essa non rientrerebbe nell’alveo delle materie per le quali sarebbe obbligatorio il previo tentativo di mediazione. Il ragionamento tuttavia dovrebbe essere del tutto diverso quando si agisca ex art. 44 l. fall., posto che in questo caso, sarebbe presupposto intrinseco dell’azione la contestuale richiesta della retrocessione della proprietà e del possesso dell’immobile di cui si era disposto.
1.3 Il motivo è infondato.
La norma evocata – e cioè l’ art. 5, d. lgs. n. 28/2010, di cui si lamenta in questa sede la violazione – impone il tentativo di conciliazione, fra le altre, per le controversie in materia di diritti reali.
Come correttamente colto anche dalla sentenza impugnata, qui si tratta di tutt’altra materia e non si verte invero sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali, essendo la vicenda traslativa del tutto estranea all ‘ odierna controversia ed invece riguardando la controversia la conservazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito, attraverso la dichiarazione di inefficacia relativa dell’atto dispositivo compiuto dopo la dichiarazione di fallimento; azione quest’ultima che , come noto, si limita a rendere insensibile nei confronti dei creditori l’atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità inter partes dell’atto stesso.
Occorre pertanto affermare il seguente principio di diritto:
‘L’azione di inefficacia ex art. 44 l. fall. – non vertendo sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali ed avendo invece natura personale per perseguire solo l’effetto di rendere insensibile, nei confronti dei creditori, l’atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore – non rientra fra le controversie assoggettate alla condizione di procedibilità della domanda consistente nel previo esperimento del procedimento di mediazione ex art. 5, del d.lgs. n. 28 del 2010’ .
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., degli artt. 297, comma secondo, e 307 cod. proc. civ., 49 d.l. n. 189/2016, conv. in l. n. 229/2016.
2.1 Ricordano i ricorrenti che la Corte di Appello aveva ritenuto che il provvedimento di sospensione, adottato dal Tribunale su richiesta di essi ricorrenti, dovesse essere qualificato come provvedimento di mero rinvio e che dunque le modalità adottate dalla curatela avversaria per il prosieguo del processo, appunto dopo un provvedimento di sospensione, fossero corrette, giacché conformi ad un provvedimento, che prescindeva dalla sospensione per volontà congiunta delle parti. Così facendo, tuttavia, sarebbero stati stravolti principi processuali la cui violazione è sanzionata con l’estinzione del giudizio.
2.2 Si evidenzia che, a ll’udienza di comparizione del 10 novembre 2016, la loro difesa aveva invocato la sospensione del processo, effettivamente ai sensi dell’art. 49, d.l. n. 189/2016 e la controparte nulla aveva eccepito o resistito, con la precisazione che il difensore AVV_NOTAIO, pur avendo
indicato per un mero refuso il comma 1, si era riferito invece alla fattispecie del comma 3. Il Giudice monocratico, in adesione alla richiesta, aveva sospeso il giudizio sino al 31 maggio 2017, invece di disporre mero rinvio a data successiva al 31 maggio 2017 e contestuale fissazione, appunto, della nuova udienza.
2.3 Sempre secondo i ricorrenti, la loro controparte processuale, in violazione degli artt. 297, comma due, e 307 cod. proc. civ., aveva depositato ricorso in riassunzione in data 12 giugno 2017, così ‘ sforando ‘ i termini di cui alle norme citate. La Corte di appello, invece, rigettando l’eccezione sollevata sul punto, aveva argomentato che la richiesta di sospensione era unilaterale, e non congiunta, e dunque non espressa secondo i canoni d i cui all’ art. 296 cod. proc. civ., a torto invocato.
2.4 Evidenziano ancora i ricorrenti che ebbero ad invocare la sospensione e non già il rinvio del processo e che la controparte nulla ebbe ad eccepire e che infine il Tribunale ritenne di adottare provvedimento di sospensione e non già di mero rinvio. Aggiungono che poiché l’art. 49, co. 1, d.l. n. 189/2016 non consentiva l ‘ adozione di un provvedimento di sospensione, in quanto il Tribunale di Roma non rientrava nell’elenco allegato alla norma di legge e poiché il provvedimento era inequivocabilmente, per il suo chiaro tenore letterale, un provvedimento di sospensione e non di mero rinvio ad udienza successiva al 31 maggio 2017 – sarebbe stato evidente che il Tribunale ebbe a disporre tout court una sospensione del processo.
2.5 Ne conseguiva che, non vertendosi in ipotesi di sospensione ‘speciale’, disciplinata dalla legge (non ricadendosi, come visto, nella fattispecie di cui all’art. 49, co. 1, cit.), non resta va altro che qualificare tale sospensione come intervenuta a richiesta delle parti.
2.6 Il secondo motivo è inammissibile.
La parte ricorrente denuncia un errore di diritto in cui sarebbero incorsi i giudici del gravame nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto che il provvedimento di sospensione, adottato dal Tribunale su richiesta dei ricorrenti, dovesse essere qualificato come provvedimento di mero rinvio. La questione rileverebbe, secondo la prospettiva difensiva dei ricorrenti, per
del processo (art. 297 cod.
sostenere l’erroneità ed invalidità della ‘ ripresa ‘ proc. civ.).
Si discute, pertanto, del provvedimento di ‘ sospensione ‘ adottato dal Tribunale su richiesta dei soli ricorrenti, in relazione al quale la Corte territoriale ha tuttavia confermato la qualificazione fornita dal Tribunale e per la quale il provvedimento in parola era da qualificarsi come di ‘ mero rinvio ‘. Si tratta, invero, di una valutazione motivata da parte dei giudici del merito e implicante, peraltro, l’interpretazione della volontà della parte che aveva fatto l’istanza . Sul punto la motivazione fornita dalla Corte territoriale non è implausibile – in quanto basata sull ‘ inesistenza di una istanza congiunta, come invece pretenderebbe l’art. 296 c od. proc. civ. – e non può essere sindacata come errore processuale appunto perché tratta dall ‘ interpretazione del contesto della volontà della parte così come espressa (secondo il giudice del merito) nel giudizio. Questa circostanza induce a considerare ininfluente, nel caso concreto, la pendenza della generale questione dell’ammissibilità o meno della cd. sospensione impropria dinanzi alle sezioni unite della Corte.
Il ricorso va dunque complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 9.10.2025
Il Presidente NOME COGNOME