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Revocatoria fallimentare: no alla mediazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di due coniugi, confermando che l’azione di revocatoria fallimentare, intentata dalla curatela per rendere inefficace un trasferimento immobiliare dal fallito alla moglie, non richiede il preventivo esperimento della mediazione obbligatoria. L’azione ha natura personale e mira a tutelare la garanzia patrimoniale dei creditori, non a contestare diritti reali. La Corte ha inoltre ritenuto inammissibile il motivo relativo all’estinzione del processo per presunta errata ripresa dopo una sospensione.

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Revocatoria Fallimentare: La Cassazione Esclude la Mediazione Obbligatoria

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un importante aspetto procedurale legato all’azione di revocatoria fallimentare. Con la decisione in commento, i giudici supremi hanno stabilito che tale azione non rientra tra le controversie per cui è previsto il tentativo obbligatorio di mediazione. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sulla natura dell’azione e sulle sue differenze rispetto ad altre tutele patrimoniali.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla dichiarazione di fallimento di una società in accomandita semplice e del suo socio accomandatario. La curatela fallimentare aveva agito in giudizio per far dichiarare l’inefficacia di alcuni atti di disposizione patrimoniale compiuti dal socio fallito. Nello specifico, si trattava di un atto con cui il socio aveva trasferito alla moglie la metà indivisa di alcune proprietà immobiliari. Successivamente, queste proprietà erano state vendute a un terzo acquirente.
Il Tribunale, in primo grado, aveva accolto la domanda della curatela, dichiarando inefficaci i trasferimenti e ordinando la restituzione dei beni alla massa fallimentare. La Corte d’Appello aveva poi confermato la decisione, rigettando le doglianze dei coniugi.
Questi ultimi hanno quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo principalmente su due motivi: la presunta improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione obbligatoria e la richiesta di estinzione del processo per un vizio procedurale legato a una sua precedente sospensione.

La questione della mediazione nella revocatoria fallimentare

Il primo e più significativo motivo di ricorso si concentrava sull’articolo 5 del D.Lgs. 28/2010, che impone la mediazione per le controversie in materia di diritti reali. Secondo i ricorrenti, poiché l’azione della curatela mirava a ottenere la retrocessione della proprietà degli immobili, essa doveva essere considerata una controversia su diritti reali e, di conseguenza, soggetta a mediazione.
I ricorrenti hanno tentato di distinguere tra la revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), che si limiterebbe a una declaratoria di inefficacia relativa, e la revocatoria fallimentare speciale (art. 44 l. fall.), che, a loro dire, implicherebbe una richiesta intrinseca di restituzione del bene e del possesso, incidendo così sui diritti reali.

L’errata gestione della sospensione processuale

Il secondo motivo di ricorso riguardava un aspetto puramente processuale. Durante il giudizio di primo grado, il processo era stato sospeso su richiesta dei convenuti, in applicazione della normativa speciale emanata a seguito degli eventi sismici del 2016. I ricorrenti sostenevano che la ripresa del processo da parte della curatela fosse avvenuta oltre i termini di legge, causando l’estinzione del giudizio. A loro avviso, il provvedimento del giudice era una vera e propria sospensione, che richiedeva una riassunzione formale entro un termine perentorio, e non un semplice rinvio d’udienza.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i motivi, ritenendoli infondati.

Sulla mediazione obbligatoria

I giudici hanno chiarito in modo definitivo la natura dell’azione di inefficacia ai sensi dell’art. 44 della legge fallimentare. Essa non verte sulla qualificazione o attribuzione di diritti reali. Il suo scopo non è contestare la validità del trasferimento di proprietà inter partes (tra chi ha compiuto l’atto), ma è quello di conservare la garanzia patrimoniale del debitore fallito a tutela dei suoi creditori.
L’azione ha, quindi, natura personale. Il suo effetto è quello di rendere l’atto di disposizione ‘insensibile’ (cioè inopponibile) nei confronti della massa dei creditori, senza incidere sulla sua validità tra le parti originarie. Di conseguenza, non rientra nell’ambito delle controversie in materia di diritti reali per le quali è richiesta la mediazione.
La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “L’azione di inefficacia ex art. 44 l. fall. – non vertendo sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali ed avendo invece natura personale per perseguire solo l’effetto di rendere insensibile, nei confronti dei creditori, l’atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore – non rientra fra le controversie assoggettate alla condizione di procedibilità della domanda consistente nel previo esperimento del procedimento di mediazione ex art. 5, del d.lgs. n. 28 del 2010”.

Sulla sospensione del processo

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che la qualificazione del provvedimento del Tribunale (come sospensione o come mero rinvio) è una valutazione di merito, basata sull’interpretazione della volontà del giudice e del contesto processuale. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione plausibile, ritenendo che, non trattandosi di una richiesta congiunta delle parti, il provvedimento fosse da intendersi come un semplice rinvio. Questa interpretazione, non essendo illogica, non può essere sindacata in sede di legittimità come errore processuale.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un principio importante: la revocatoria fallimentare è uno strumento a tutela della par condicio creditorum con natura personale e non reale. Pertanto, non è soggetta alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria. Questa decisione semplifica l’avvio di tali azioni da parte delle curatele, evitando un passaggio procedurale considerato non pertinente alla natura e agli scopi dell’istituto. Inoltre, la Corte ribadisce che l’interpretazione dei provvedimenti processuali da parte dei giudici di merito è difficilmente censurabile in Cassazione se supportata da una motivazione logica e coerente.

L’azione di revocatoria fallimentare richiede il tentativo di mediazione obbligatoria?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’azione di revocatoria fallimentare, avendo natura personale e non reale, non rientra tra le controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 28/2010.

Qual è lo scopo principale dell’azione revocatoria fallimentare secondo la Corte?
Lo scopo non è contestare la proprietà o altri diritti reali sul bene, ma conservare la garanzia patrimoniale del debitore fallito. L’azione mira a rendere l’atto di trasferimento inefficace solo nei confronti dei creditori, per poter soddisfare i loro crediti con i beni che erano usciti dal patrimonio del debitore.

Come ha risolto la Corte la questione procedurale sulla sospensione del processo?
La Corte ha ritenuto inammissibile il motivo, spiegando che la qualificazione di un provvedimento del giudice di primo grado (in questo caso, se fosse una sospensione o un mero rinvio) è una valutazione di merito. Poiché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione plausibile per considerarlo un rinvio, la Cassazione non può riesaminare tale interpretazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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