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Revocatoria fallimentare: il momento del pagamento

La Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale in materia di revocatoria fallimentare. In caso di escussione di un pegno, il momento rilevante per il calcolo del periodo sospetto non è quello dell’imputazione contabile della somma, ma quello della ‘monetizzazione del pegno’, ovvero della vendita del bene. Nel caso esaminato, una curatela fallimentare aveva agito contro una banca per revocare un pagamento, ma la Corte ha stabilito che la vendita dei titoli in pegno, avvenuta fuori dal periodo sospetto, costituiva il pagamento effettivo, rendendo l’azione inefficace.

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Revocatoria fallimentare: quando avviene il pagamento in caso di pegno?

Nell’ambito della revocatoria fallimentare, stabilire con esattezza la data di un pagamento è cruciale per determinare se questo sia avvenuto nel cosiddetto ‘periodo sospetto’ e sia quindi annullabile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un chiarimento decisivo su come individuare tale momento quando il pagamento deriva dall’escussione di una garanzia, come un pegno su titoli. Questa pronuncia consolida un principio fondamentale per la tutela dei creditori garantiti.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla domanda di un curatore fallimentare nei confronti di un istituto di credito. Il curatore chiedeva la revoca, ai sensi dell’art. 67 della Legge Fallimentare, di un’operazione che considerava un pagamento avvenuto nel periodo sospetto antecedente alla dichiarazione di fallimento.

In dettaglio, l’impresa poi fallita aveva costituito in pegno due polizze a favore della banca. L’istituto di credito aveva successivamente ‘monetizzato’ questi titoli, ovvero li aveva venduti per ricavarne una somma liquida. Questo evento era accaduto in una data (maggio 2012) che si trovava al di fuori del periodo di sei mesi antecedente la richiesta di concordato preventivo. Tuttavia, la banca aveva impiegato tale somma per estinguere il saldo passivo di un conto corrente del debitore solo alcuni mesi dopo (ottobre 2012), in una data che invece rientrava pienamente nel periodo sospetto. Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda del fallimento, revocando l’operazione.

La Decisione della Corte d’Appello e il Principio in gioco

L’istituto di credito ha impugnato la decisione di primo grado. La Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza, accogliendo la tesi della banca. Secondo i giudici di secondo grado, il momento rilevante ai fini della revocatoria fallimentare non era l’imputazione contabile della somma sul conto corrente, ma la precedente monetizzazione del pegno.

La Corte ha distinto nettamente l’operazione di pagamento (la vendita dei titoli) dalla sua successiva imputazione. Poiché il pagamento vero e proprio si era perfezionato con la vendita dei titoli in una data non sospetta, l’operazione non poteva essere revocata. Il Fallimento ha quindi proposto ricorso per cassazione contro questa decisione.

La questione procedurale dell’appello

Un secondo aspetto affrontato dalla Cassazione riguarda una questione puramente processuale. Il Fallimento si doleva del fatto che la Corte d’Appello avesse omesso di pronunciarsi su altre domande di revoca, proposte in via alternativa in primo grado e riproposte in appello. La Corte ha ritenuto questo motivo inammissibile, sottolineando una regola importante: la parte vittoriosa in primo grado, le cui domande alternative o subordinate sono state assorbite, deve riproporle in appello in modo specifico e non con un generico richiamo. In assenza di una chiara e inequivoca riproposizione, tali domande si presumono rinunciate.

Le Motivazioni della Cassazione sul Momento del Pagamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Fallimento, confermando la decisione della Corte d’Appello e consolidando un orientamento giurisprudenziale stabile. Il cuore della motivazione risiede nella natura stessa del pegno.

Il pegno, spiega la Corte, è una garanzia reale sull’obbligazione. Quando il creditore escute il pegno, realizza un adempimento diretto dell’obbligazione. Il pagamento si concretizza nel momento in cui il creditore si soddisfa sul bene, prelevando la somma dovutagli. Questo meccanismo costituisce un pagamento vero e proprio, non una compensazione tra crediti e debiti reciproci.

Di conseguenza, il momento del pagamento è quello della ‘monetizzazione del pegno operata dalla banca creditrice’. L’atto successivo con cui la banca imputa la somma ricavata a uno specifico debito del cliente è un’attività meramente contabile e successiva, che non sposta la data in cui il patrimonio del debitore ha subito il depauperamento e il creditore ha ricevuto il pagamento. Essendo tale momento al di fuori del periodo sospetto, l’azione di revocatoria fallimentare era infondata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio di grande rilevanza pratica per gli operatori del diritto bancario e fallimentare. La data che conta ai fini del calcolo del periodo sospetto per l’azione revocatoria di un pagamento ottenuto tramite l’escussione di un pegno è quella della vendita del bene dato in garanzia. Questo orientamento offre certezza ai creditori pignoratizi, stabilendo che la successiva registrazione contabile dell’operazione è irrilevante. Inoltre, la pronuncia funge da monito processuale: le domande non esaminate in primo grado perché assorbite devono essere riproposte in appello in modo puntuale e dettagliato, pena la presunzione di rinuncia.

Quando si considera avvenuto un pagamento ai fini della revocatoria fallimentare, se deriva dalla vendita di un bene in pegno?
La Corte di Cassazione stabilisce che il pagamento si considera avvenuto nel momento della ‘monetizzazione del pegno’, ovvero quando il creditore vende il bene dato in garanzia e ne ricava la somma. Questa data è quella rilevante per il calcolo del periodo sospetto.

L’imputazione contabile del ricavato a uno specifico debito cambia la data del pagamento?
No. L’atto con cui la banca, dopo aver venduto il bene in pegno, applica la somma a copertura di uno specifico debito del cliente è considerato un’operazione successiva e distinta, che non modifica la data in cui il pagamento si è giuridicamente perfezionato.

Cosa deve fare la parte che ha vinto in primo grado se alcune sue domande alternative non sono state esaminate perché ‘assorbite’?
Per evitare che tali domande si considerino rinunciate, la parte deve riproporle espressamente nel giudizio di appello. Non è sufficiente un richiamo generico agli atti del primo grado, ma è necessaria una deduzione chiara e inequivoca, con l’indicazione dei fatti e delle conclusioni, per manifestare la volontà di sottoporle a un nuovo esame.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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