Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1407 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1407 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20438/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente agli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 306/2017 depositata il 28/2/2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Il Tribunale di Cremona, con la sentenza n. 37/2010, rigettava le domande proposta dal Fallimento di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Cassa
Padana Banca di Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, Cassa Padana), di inefficacia, ai sensi de ll’art. 67, 1° comma n. 1 o n. 3 l. fall., del l’atto del 26 luglio 2002, col quale RAGIONE_SOCIALE (fallita nel 2004) aveva costituito in pegno in favore della banca convenuta titoli del valore di € 75.500 , a garanzia della restituzione di un finanziamento di € 150.000 ricevuto.
L ‘ appello proposto dal Fallimento contro la decisione è stato accolto dalla Corte d’appello di Brescia che, con sentenza del 28.2.2017 , ha dichiarato l’inefficacia del pegno e ha condannato Cassa Padana a restituire all ‘ appellante la somma di € 75.500, maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda.
La corte del merito -accertata in p remessa l’interposizione fittizia di NOME COGNOME, amministratore di Larix, nell ‘atto di concessione del pegno, gravante su titoli acquistati con liquidità della società poi fallita – ha in primo luogo ritenuto che andasse accolta la domanda di revocatoria svolta dal Fallimento ai sensi del n. 3 dell’art. 67, 1° comma l. fall, in quanto il pegno era stato costituito a garanzia di un debito preesistente non scaduto. Ha rilevato al riguardo che la discrasia temporale tra la concessione del finanziamento e il rilascio della garanzia non era addebitabile ai tempi tecnici occorrenti per l’erogazione delle somme mutuate, ma al fatto che solo a seguito di detta erogazione Larix aveva acquisito la provvista necessaria all’acquisto dei titoli; ha aggiunto che il finanziamento era stato accreditato sul conto corrente di Larix, sul quale la società godeva di un’apertura di credito, quando già il conto risultava passivo per oltre 92.000 euro, sicché, in mancanza di prova contraria, non fornita dall’ appellata, doveva concludersi che il pegno era servito a garantire la banca anche dalla pregressa esposizione debitoria della correntista.
La corte d’appello ha infine affermato che il pegno andava revocato anche ai sensi de l n. 1 dell’art. 67, 1° comma, l. fall., dovendosi ritenere ricorrente il requisito della sproporzione perché a seguito
dell’operazione RAGIONE_SOCIALE si era indebitata nei confronti di Cassa Padana per la somma di € 150.000, pur potendo disporre , di fatto, soltanto della metà dell’importo mutuato.
Cassa Padana ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali il Fallimento di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Il secondo motivo di ricorso -da cui occorre prendere le mosse per la sua priorità in termini logico-giuridici – lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 324 e 345 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. e 67, comma 1, n. 3, l. fall..
La ricorrente osserva che la corte d’ appello, nel ritenere che il pegno fosse stato costituito a garanzia anche della pregressa esposizione debitoria di Larix, è incorsa in un vizio di ultra-petizione, perché il Fallimento non aveva mai prospettato (se non, inammissibilmente, nella comparsa conclusionale di secondo grado) che la garanzia coprisse obbligazioni della società diverse da quelle restitutorie discendenti dall’erogazione del mutuo.
Peraltro, a dire di Cassa Padana, risultava coperta da giudicato la statuizione del primo giudice, non censurata dall’appellante, secondo cui , al fine dell’accoglimento della domanda svolta ai sensi dell’ art. 67, comma 1, n. 3, l. fall., il Fallimento, per dimostrare che il pegno dei titoli era servito a garantire il rientro della pregressa esposizione debitoria maturata da Larix nei confronti di Cassa Padana, avrebbe dovuto impugnare tutti gli atti negoziali posti in essere tra le parti.
La banca deduce infine che spettava al l’attore individuare e provare, quale elemento costitutivo dell’azione proposta ex art. 67, comma 1, n. 3, l. fall., l’esistenza del debito preesistente a garanzia del quale era stato costituito il pegno, e non, come erroneamente ritenuto dalla corte territoriale, ad essa di provarne l’insussistenza.
Il motivo è fondato, nei termini che si vanno a illustrare.
5.1 La domanda di revoca di garanzie costituite nel periodo sospetto a mente dell’art. 67, comma 1, n. 3, l. fall. (nel testo applicabile ratione temporis , che si riferiva a ‘
, presupponeva,
all’evidenza, l’allegazione, quale elemento costitutivo dell’azione, dell’avvenuta concessione di una garanzia da parte del soggetto poi fallito e del fatto che la stessa era stata costituita, nel periodo sospetto, per un debito preesistente non scaduto.
5.2 La procedura attrice nell’atto di citazione in prime cure (atto direttamente consultabile da questa Corte, in ragione della natura del vizio denunciato, quale giudice del fatto processuale) – ha sempre e solo fatto riferimento, quale debito che giustificava la revoca della garanzia prestata, al mutuo erogato alla compagine fallita in data 26 luglio 2002.
La corte distrettuale, là dove ha ritenuto che i titoli dati in pegno andassero a garantire l’intera esposizione debitoria della società, configurando così una garanzia per debito preesistente, ha valorizzato un’allegazione contenuta nell’atto di appello (secondo motivo) che costituiva un mutamento dell’originaria causa petendi , dato che consisteva in una modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo, perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio.
La prospettazione dell’appellante a cui la corte di merito ha dato seguito costituiva, pertanto, un mutamento della domanda compiuto in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., poiché l’originaria domanda si basava su una causa petendi identificabile in una specifica posizione debitoria (l’erogazione di un mutuo chirografario) inidonea a ricomprendere diverse esposizioni.
5.3 Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’applicazione del principio iura novit curia , di cui all’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti; tale principio, tuttavia, deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. 5832/2021, Cass. 8645/2018, Cass. 12943/2012).
La corte d’appello, fondando la decisione su un fatto costitutivo diverso da quello che, nel giudizio di primo grado, il Fallimento aveva posto a sostegno della domanda, tardivamente e inammissibilmente allegato dall’appellante solo nell’atto di gravame, è perciò incorsa nella violazione del divieto di ultrapetizione (Cass. 5153/2019).
6. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, n. 3, l. fall.: la c orte d’appello ha negato l’esistenza di un rapporto di contestualità fra il finanziamento concesso e la garanzia impugnata, ritenendo che il debito fosse preesistente e non scaduto, senza fare riferimento al momento in cui entrambe le operazioni erano state volute, non considerando che le stesse erano state unitariamente convenute e valorizzando, invece, discrasie
temporali dovute ai tempi tecnici necessari per la realizzazione della garanzia.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la finalità dell’art. 67, comma 1, n. 3, l. fall. è quella di ‘ rendere inoperanti nei confronti del fallimento tutti quegli atti costitutivi di garanzia reale che, in quanto posti in essere in un momento successivo rispetto all’insorgenza del credito, si considerano rivelatori dell’esigenza avvertita dal creditore di far fronte, per ovviare al principio della “par condicio creditorum”, alle mutate condizioni del debitore che versa in stato d’insolvenza o comunque in non previste difficoltà di cui egli è evidentemente a conoscenza. Se tale è la funzione cui la norma attende non può certamente essere attribuita rilevanza ai fini in esame ad eventuali discrasie temporali riscontrabili fra la concessione del credito e la costituzione della garanzia, dovute ai tempi tecnici necessari per la realizzazione della garanzia medesima, ma è necessario far riferimento invece al momento in cui entrambe le operazioni siano state volute con la conseguenza che deve escludersi l’applicabilità della norma se esse siano state unitariamente convenute e cioè realizzate in un contesto al di fuori di ogni sospetto ‘ (Cass. 6558/1997).
La corte di merito, pur avendo accertato che nel contratto di mutuo era prevista la costituzione in pegno da parte di NOME COGNOME, amministratore di COGNOME, di obbligazioni della Cassa Padana del valore nominale di € 75.000 e che la garanzia era stata prest ata con denari provenienti da Larix, attraverso l’interposizione fittizia dell’COGNOME, ha escluso la contestualità delle operazioni perché la loro discrasia temporale (la somma mutuata con contratto del 26 luglio 2002 e contestualmente erogata era stata trasferita, per la parte necessaria all’acquisto delle obbligazioni, il 29 luglio sul conto corrente dell’Agosti e utilizzata il giorno successivo) non era addebitabile a
tempi tecnici necessari per l’accredito delle somme, ma all’indisponibilità della somma necessaria per l’acquisto dei titoli.
Una simile valutazione si discosta dal principio sopra riportato, sia perché trascura di valorizzare la riconosciuta contestualità delle operazioni di concessione del credito e costituzione della garanzia, sia perché attribuisce valore determinante per l’a ccoglimento della domanda alla mancata disponibilità della provvista necessaria all’acquisto dei titoli su cui la garanzia era stata costituita senza considerare che, stante l’accertata (oramai in via definitiva) interposizione fittizia dell’COGNOME nelle o perazioni di costituzione della garanzia (e dunque la loro piena riferibilità alla Larix quale parte sostanziale), la mutuataria aveva avuto -tenuto conto dei fatti acclarati dalla stessa corte di merito – fin da subito la disponibilità delle somme necessarie a prestare la garanzia concordata e la discrasia temporale fra la concessione del credito e la costituzione della garanzia era dipesa dai tempi tecnici necessari per la realizzazione di quest’ultima attraverso l’artificio a cui le parti avevano ritenuto di far ricorso.
8. Il terzo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 67, comma 1, n. 1, l. fall.: la Corte d’appello ha rilevato che NOME si era indebitata per € 150.000, pur potendo disporre soltanto della metà della somma mutuata, e ha ritenuto che questa circostanza integrasse i presupposti previsti dall’art. 67, comma 1, n. 1, l. fall. per accogliere l’azione revocatoria.
Quest’affermazione contrasterebbe con il principio secondo cui, con riferimento all’atto di prestazione di garanzia, il rapporto di corrispettività deve essere valutato non con riguardo all’utile che il garante ricava dalla concessione della garanzia, bensì in relazione alla prestazione del creditore in rapporto alla garanzia stessa.
9. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha infatti già avuto occasione di chiarire, in un caso in cui i giudici d’appello avevano ritenuto applicabile l’art. 67, comma 1, n. 1, l. fall. a un pegno concesso a garanzia di un’operazione di finanziamento, che il rapporto di corrispettività va valutato avendo riguardo non all’utile che il garante ricava dalla concessione della garanzia, ma alla prestazione del creditore garantito a fronte della garanzia stessa (Cass. 26933/2006)
10. La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., e rigettare l ‘appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado.
Le spese del giudizio d’appello e di questo giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l ‘appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado.
Condanna il Fallimento RAGIONE_SOCIALE al rimborso in favore della ricorrente delle spese del giudizio di appello, che liquida in € 9.515, e del giudizio di cassazione, che liquida in € 6.200, di cui € 200 per esborsi,; il tutto oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma in data 23 novembre 2023.