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Revocatoria fallimentare e prova della scientia decoctionis

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30260/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società fornitrice contro un’azione di revocatoria fallimentare. La Corte ha confermato che la restituzione di merce (datio in solutum) costituisce un mezzo di pagamento anomalo. In tali casi, la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore (scientia decoctionis) da parte del creditore è presunta, e spetta a quest’ultimo dimostrare il contrario. La Corte ha ritenuto sufficienti gli indizi valutati dal giudice di merito (protesti, vicinanza territoriale, pagamenti parziali) per confermare la decisione.

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Revocatoria fallimentare: la Cassazione sui pagamenti anomali

L’azione di revocatoria fallimentare è uno strumento cruciale per la tutela dei creditori nel contesto di una procedura concorsuale. Permette di ‘revocare’ atti compiuti dall’imprenditore prima del fallimento, che hanno leso la cosiddetta par condicio creditorum. Con l’ordinanza n. 30260 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un caso emblematico, chiarendo i confini della presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza (scientia decoctionis) e la natura dei pagamenti anomali, come la restituzione di merce.

I Fatti di Causa

Una società fornitrice di servizi e beni per l’allestimento di eventi si vedeva restituire parte della merce da una società committente, a saldo di alcune fatture. Tale operazione, formalizzata tramite note di accredito e documenti di trasporto, avveniva per un valore complessivo di circa 50.000 euro. Pochi mesi dopo, la società committente veniva dichiarata fallita.

Il curatore fallimentare agiva in giudizio con un’azione di revocatoria fallimentare contro la società fornitrice, sostenendo che la restituzione dei beni costituisse una datio in solutum (pagamento con beni diversi dal denaro) e, quindi, un mezzo di pagamento anomalo. La Corte d’Appello accoglieva la domanda, condannando la società a restituire i beni o, in alternativa, a pagarne il valore corrispondente.

I Motivi del Ricorso e la questione della revocatoria fallimentare

La società fornitrice ricorreva in Cassazione, articolando tre motivi principali:
1. Mancata prova della scientia decoctionis: La Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente motivato perché la fornitrice dovesse essere a conoscenza dello stato di insolvenza della debitrice, specialmente a fronte di un bilancio dell’anno precedente che mostrava un cospicuo utile.
2. Errata qualificazione del rapporto: Il rapporto tra le parti non era un semplice scambio, ma un contratto più complesso con comunione di scopo, la cui risoluzione consensuale avrebbe giustificato la restituzione dei beni.
3. Contraddittorietà della condanna: La condanna alla restituzione includeva anche il valore di prestazioni di servizi (progettazione, installazione) che, per loro natura, non potevano essere materialmente restituite.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte, offrendo importanti chiarimenti sui principi della revocatoria fallimentare.

Sul primo motivo, la Corte ha ribadito che, in caso di pagamenti con mezzi anomali, l’articolo 67 della Legge Fallimentare pone una presunzione iuris tantum (cioè valida fino a prova contraria) di conoscenza dello stato di insolvenza. Di conseguenza, l’onere della prova (onus probandi) si inverte: non è il curatore a dover dimostrare la scientia decoctionis, ma è il creditore a dover provare la sua incolpevole ignoranza (inscientia decoctionis).
I giudici di legittimità hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello, sebbene sintetica, fosse sufficiente, poiché basata su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti: l’esistenza di protesti a carico della società fallita, la vicinanza territoriale tra le due imprese (che rende più probabile la conoscenza delle difficoltà altrui) e il fatto che la fornitrice avesse incassato solo una minima parte del suo credito totale. La mancata valutazione del bilancio dell’anno precedente non è stata ritenuta un’omissione decisiva, in quanto la valutazione degli indizi è compito esclusivo del giudice di merito.

In merito al secondo motivo, la Cassazione ha stabilito che la qualificazione giuridica del contratto sottostante è irrilevante. Ciò che conta ai fini della revocatoria fallimentare è la natura del pagamento. La restituzione di merce per estinguere un debito pecuniario è, a tutti gli effetti, una datio in solutum, un mezzo anormale di pagamento che rientra pienamente nella previsione normativa.

Infine, riguardo al terzo motivo, la Corte lo ha ritenuto inammissibile per carenza di autosufficienza. La condanna della Corte d’Appello era formulata in modo alternativo: restituire i beni “o, in caso di impossibilità, a pagare la somma”. Questa formula, del tutto corretta, copre proprio i casi in cui la restituzione in natura non è possibile. Lo scopo dell’azione revocatoria, infatti, non è recuperare il bene in sé, ma reintegrare il patrimonio del fallito del valore economico che ne è uscito, a beneficio di tutti i creditori.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida principi fondamentali in materia di revocatoria fallimentare. Anzitutto, conferma che la datio in solutum è sempre considerata un mezzo di pagamento anomalo, che fa scattare la presunzione di conoscenza dello stato di crisi del debitore. In secondo luogo, ribadisce che l’onere di vincere tale presunzione grava sul creditore, che deve fornire una prova rigorosa della propria buona fede. Per le imprese, il messaggio è chiaro: accettare pagamenti diversi dal denaro da un partner commerciale in difficoltà finanziaria espone a un elevato rischio di revocatoria. La valutazione della salute finanziaria dei propri debitori, basata non solo sui bilanci ma anche su indici concreti di mercato, diventa un’attività di diligenza essenziale per proteggersi da future azioni legali.

Quando un pagamento può essere soggetto a revocatoria fallimentare?
Un pagamento può essere soggetto a revocatoria se è stato effettuato con mezzi ‘anomali’ (diversi dal denaro, come la restituzione di beni o ‘datio in solutum’) entro un anno prima della dichiarazione di fallimento e se il creditore era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore.

Chi deve provare la conoscenza dello stato di insolvenza in un’azione di revocatoria fallimentare?
Nei casi di pagamenti con mezzi anomali, la legge presume che il creditore fosse a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore (scientia decoctionis). Pertanto, l’onere della prova si inverte: è il creditore che deve dimostrare di non essere stato a conoscenza delle difficoltà finanziarie del debitore per evitare la revoca del pagamento.

Se un bene ricevuto in pagamento non può essere restituito fisicamente, cosa succede in caso di revocatoria fallimentare?
Se il bene non può essere materialmente restituito (ad esempio, perché si trattava di una prestazione di servizi o il bene è stato consumato), il giudice condanna il creditore a pagare l’equivalente valore monetario al fallimento. Lo scopo è reintegrare il patrimonio del fallito del valore economico sottratto, a beneficio di tutti i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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