Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30260 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30260 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30884/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1184/2019 depositata il 17/07/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Ancona, ravvisando un’ipotesi di pagamento anomalo per “datio in solutum”, ha accolto, in riforma della sentenza di primo grado, la
domanda ex art. 67, comma 1, n. 2, l.fall. proposta dal RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), dichiarando inefficaci le «attribuzioni patrimoniali meglio indicate in atti dalla curatela» -segnatamente quelle di cui alla nota di accredito n. 164 del 25/6/2007 dell’importo di € 46.773,39, recante la dicitura ‘… storno totale ns. fattura n. 135 del 31.05.2007 per reso totale fornitura ‘ nonché alla bolla e fattura n. 123 del 15/9/2007 dell’importo di € 3.170,53 con la dicitura ‘ a compensazione ns debito ‘, per un ammontare totale di € 49.943,92 e condannando RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE (di seguito IE) «a restituire alla Curatela fallimentare i beni oggetto di anormale attribuzione» di cui sopra, «o, in caso di impossibilità, a pagare la somma di euro 49.943,92 oltre rivalutazione ed interessi».
-Contro questa decisione IE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. Entrambe le parti depositano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo, rubricato « violazione ed errata applicazione art. 67 comma 1, n. 2, L.F. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – omesso esame di fatti decisivi derivanti da documenti in atti di causa (bilancio depositato al registro imprese della RAGIONE_SOCIALE) in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. -vizio di motivazione per insanabile contraddittorietà ed apparenza », il ricorrente si duole che la corte d’appello non avrebbe motivato in alcun modo perché la convenuta IE « non ha assolto l’onere di provare la mancata conoscenza dello stato di insolvenza del ‘solvens’ », nonostante fosse stato prodotto dalla curatela il bilancio al 31.12.2006 dal quale risultava l’esistenza di un « utile di € 680.000,00 con un ROE del 55,75% ed un ROI pari a 114,91% », a riprova che IE non avrebbe potuto avere alcuna percezione di insolvenza, « che era inesistente alla data del giugnosettembre 2007, stanti gli ottimi risultati di bilancio ottenuti nell’anno 2006 dalla società poi fallita in data 5.5.2008 ».
3.1. -Il motivo è inammissibile ex art. 360-bis n. 1 c.p.c.
3.2. -Innanzitutto, non sussiste il vizio di apparenza della motivazione, che ricorre solo quando le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi , senza che possa venire più rilievo la sufficienza delle argomentazioni (Cass. 395/2021, 26893/2020, 22598/2018).
Invero, nella sentenza in esame è evincibile l’iter logico seguito in punto di scientia decoctionis dai giudici di appello, i quali hanno valorizzato gli elementi segnalati dal RAGIONE_SOCIALE appellante, riportati a pag. 3 (in particolare l’esistenza di plurimi protesti per rilevanti importi e l’operatività di entrambe le società nel medesimo ambito comunale, oltre all’avvenuto incasso nel 2007 da parte di IE di soli € 4.100,00 a fronte del credito maturato di € 80.964,00).
Può dunque dirsi che la sentenza, per quanto stringatamente motivata sul punto, non sia affetta da vizi tali da non superare il cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. Sez. U, 8053/2014, 34474/2019, 20867/2020; Cass. 27501/2022, 34459/2022, 4784/2023, 14703/2024).
3.3. -Del tutto destituita di fondamento è la denuncia di violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., che si configura solo ove il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo -cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni -e non anche ove si contesti, come fa il ricorrente, il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendo che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Cass. Sez. U, 16598/2016; Cass. 26366/2017, 13395/2018, 26769/2018, 1634/2020, 17313/2020, 11362/2024).
Del resto, il primo comma dell ‘art. 67 l.fall. pone una presunzione iuris tantum di scientia decoctionis del convenuto in revocatoria, sul quale grava pertanto l’onere di provare la cd. inscientia decoctionis , sicché eventuali dubbi sull’ignoranza dell’insolvenza da
parte del convenuto medesimo, in esito all’esame delle prove da questi offerte, o comunque acquisite agli atti, vanno risolti in suo danno (Cass. 12568/23019, 17286/2014, 1169 del 1980).
3.4. -A ciò si aggiunga che l’accertamento della effettiva conoscenza o meno dello stato di insolvenza può avvenire anche per presunzioni, ex artt. 2727 e 2729 c.c., ma la scelta dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l’apprezzamento della loro rispondenza ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza integrano un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità per vizio di motivazione solo nei limiti del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., e non attraverso la prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, che si basi sulla normale prudenza e avvedutezza del terzo, rapportata alle sue qualità personali e professionali nonché alle condizioni, anche territoriali, in cui questi abbia in concreto operato (Cass. 27080/2023, 12874/2023, 12357/2023, 22366/2021, 3854/2019, 3081/2018, 25635/2017).
Nel caso di specie, la corte d’appello ha proceduto all’ esame complessivo e non atomistico delle risultanze probatorie (Cass. 9054/2022; cfr. Cass. 27070/2022, 29257/2019), valorizzando l’esistenza di plurimi ‘indici esterni’ (protesti, contiguità territoriale) nonché tempistica e modalità dei pagamenti nell’ambito del rapporto tra le parti, con un ragionamento decisorio scevro da illogicità e contraddittorietà (Cass. 12357/23023).
Inoltre, per un verso, la mancata valutazione di un elemento indiziario -nel caso di specie il bilancio al 31.12.2006, peraltro a fronte di atti compiuti a metà del 2007 -non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass. 5279/2020, 8023/2009, 10847/2007, 1404/2001); per altro verso, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessit à causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalit à̀ , visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, ma non anche oggettivamente inconfutabile (Cass. 12874/2023, 22366/2021).
3.5. -Infine, la valutazione delle risultanze istruttorie è attività riservata in via esclusiva al giudice di merito, il quale può selezionare quelle ritenute più attendibili e idonee a sorreggere la motivazione, senza doversi esprimere analiticamente su ciascuna di esse (Cass. 18134/2004, 20455/2006, 42/2009, 27197/2011, 24679/2013, 11511/2014, 25188/2017, 28916/2020), e senza dover confutare esplicitamente gli altri elementi probatori allegati ma non accolti (Cass. 16467/2017, 11511/2014, 42/2009, 9662/2001), n é le deduzioni svolte al riguardo dalle parti (Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017, 33091/2018, 41101/2021), essendo necessario e sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento, in modo tale da rendere evidente che tutte quelle con esse logicamente incompatibili sono state implicitamente rigettate (Cass. 956/2023, 29860/2022, 3126/2021, 25509/2014, 5586/2011, 17145/2006, 12121/2004, 1374/2002, 13359/1999).
È infatti evidente come il ricorrente per cassazione non possa pretendere di contrapporre la propria valutazione del materiale istruttorio a quella espressa dal giudicante, al fine di ottenere una diversa lettura delle risultanze processuali (Cass. 3630/2017, 9097/2017, 30516/2018, 205/2022).
In ogni caso, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, può integrare il vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare -con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, come è nel caso in esame -l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi del tutto priva di base (Cass. 24092/2013, 15604/2007, 9368/2006).
4. -Il secondo mezzo, rubricato « violazione art. 1463 e 1466 in combinato disposto con art. 1420 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. -contratto plurilaterale con scopo comune -vizio della motivazione per omesso esame di fatti storici accertati -contraddittorietà per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili in relazione alla qualificazione del contratto ed alla impossibilità di esecuzione -art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. »,
denuncia che la corte d’appello, omettendo di esaminare « le circostanze di fatto relative alla catena causale dei rapporti contrattuali intercorsi tra la società poi fallita e la committente » per l’allestimento di uno spettacolo « a cui era conseguito il rapporto contrattuale per l’allestimento della parte tecnica/elettrica fra la stessa società fallita (appaltatrice) e l’odierna ricorrente », non avrebbe verificato se si trattasse in effetti « di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, ovvero di un contratto senza alcuna comunione di scopo fra le parti alla stregua di un contratto di scambio, come erroneamente affermato in sentenza », mentre, se avesse aderito alla prima qualificazione, non avrebbe definito ‘inverosimile’ la prospetta « risoluzione consensuale informale del rapporto », confermata anche dal teste escusso.
4.1. -Il motivo è inammissibile, perché impinge nel merito.
4.2. -La corte d’appello , cui competeva l’ apprezzamento del tipo di rapporto negoziale intercorso tra le parti, ha chiaramente escluso la necessità di indagare la qualificazione giuridica del contratto, sul rilievo che, in ogni caso, «il pagamento del corrispettivo è avvenuto (non importa se parzialmente o totalmente) con la restituzione dei beni non pagati», restando così integrata la tipica ipotesi di “datio in solutum”, che integra un mezzo anormale di pagamento (Cass. 3673/2018, 193/2001, 9690/2000, 5356/1999).
Questa Corte ha avuto occasione di rilevare che l’estinzione di un’obbligazione da parte del debitore mediante cessione di merce costituisce appunto, in quanto prestazione diversa dal denaro, una “datio in solutum”, alla stregua di pagamento revocabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, l.fall., «senza che rilevi l’accertamento di una clausola contrattuale in tal senso, poiché il creditore, in tal modo, realizza la compensazione del credito originario con il debito del pagamento del prezzo» (Cass. 3581/2011; v. Cass. 26927/2017, con esplicito riferimento alla ‘datio in solutum’ attuata mediante cessione di beni con imputazione del prezzo a compensazione di un debito scaduto).
E, come visto, nel caso in esame le parti hanno fatto espresso riferimento ad una operazione di ‘compensazione’.
4.3. -Per il resto, non è sindacabile in questa sede la valutazione della prova testimoniale espletata, che i giudici di merito hanno ritenuto inidonea a supportare la tesi difensiva di una ‘risoluzione consensuale informale’ tra le parti.
Sotto altro profilo, risponde ad uno stabile indirizzo nomofilattico che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio tra esse intercorso si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ai cui fini è necessaria la specificazione dei canoni ermeneutici che in concreto si assumono violati, e la precisa indicazione dei punti della motivazione che se ne discostano ( ex multis , Cass. 15367/2024, 3590/2021, 34672/2021, 15597/2021, 7945/2020, 21576/2019; cfr. da ultimo Cass. Sez. U, 3925/2024, nel senso che l’interpretazione del titolo determina un apprezzamento di merito incensurabile in sede di legittimità).
-Il terzo motivo denuncia un vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. « per contraddittorietà della condanna alla restituzione di beni non oggetto di datio in solutum », avuto riguardo alle prestazioni di progettazione e installazione dell’impianto ( le quali, per quanto rilevato dalla stessa corte d’appello, avevano in fattura un valore di « circa 11.000,00 euro sui circa 46.000,00 totali ») che ontologicamente non potevano essere state restituite, trattandosi di prestazione di opere.
5.1. -La censura, frutto di una equivoca lettura della motivazione, è inammissibile per difetto di autosufficienza.
5.2. -È pacifico che l’operazione scrutinata consti di una serie di atti (fatture, documenti di trasporto, note di credito) nei quali i giudici di merito hanno ravvisato l’esistenza di ‘attribuzioni patrimoniali’ anormali, del valore complessivo di € 49.943,92 , condannando di conseguenza NOME a restituire al RAGIONE_SOCIALE i beni oggetto di dette attribuzioni «o, in caso di impossibilità, a pagare la somma di euro 49.943,92».
Le ulteriori deduzioni articolate dal ricorrente poggiano su dati che sfuggono all’apprezzamento d el giudice di legittimità, e che la stessa ricorrente non si è peritata di chiarire, come era suo onere.
Non può allora che restare fermo il principio generale per cui oggetto della domanda di revocatoria fallimentare non è il bene in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori, mediante l’assoggettabilità ad esecuzione e, quindi, la liquidazione di un bene che, rispetto all’interesse dei creditori, viene in considerazione soltanto per il suo valore ( ex plurimis , Cass. 3673/2018, 14098/2009, 2883/2007).
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, senza che ricorrano i presupposti della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c. invocata dal controricorrente.
-Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione proposta, se dovuto, a norma del comma 1-bis del l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/10/2024.