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Revocatoria compenso professionale: la Cassazione decide

Una società di consulenza chiede l’ammissione al passivo fallimentare per il suo compenso, in prededuzione. Il Tribunale lo ammette in chirografo per un importo ridotto, ritenendo sproporzionato il compenso pattuito e quindi soggetto a revocatoria. La Cassazione rigetta il ricorso, chiarendo che l’esenzione dalla revocatoria compenso professionale si applica ai pagamenti ma non al contratto sottostante se la prestazione è sproporzionata.

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Revocatoria compenso professionale: quando l’onorario è sproporzionato?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali sulla revocatoria compenso professionale e sulla prededucibilità dei crediti dei consulenti che assistono le imprese nell’accesso a procedure concorsuali. La decisione analizza il delicato equilibrio tra la necessità di remunerare i professionisti che tentano di salvare un’azienda in crisi e la tutela della massa dei creditori in caso di successivo fallimento.

I Fatti di Causa

Una società di consulenza (l’advisor) veniva incaricata da un’altra società, poi fallita, di assisterla nella presentazione di una domanda di concordato preventivo. Le parti pattuivano un compenso di 60.000 euro. Dopo una prima domanda di concordato ‘in bianco’ a cui la società debitrice rinunciava, ne veniva presentata una seconda, che però veniva revocata, portando alla dichiarazione di fallimento.

L’advisor chiedeva quindi l’ammissione del proprio credito di 60.000 euro allo stato passivo del fallimento, sostenendo che dovesse essere pagato in prededuzione, cioè con priorità su tutti gli altri creditori. Il Fallimento si opponeva, eccependo l’inefficacia del contratto d’opera professionale per sproporzione del compenso ai sensi dell’art. 67 della Legge Fallimentare (azione revocatoria).

Il Tribunale accoglieva solo parzialmente la domanda, ammettendo un credito di soli 9.200 euro e collocandolo come chirografario (non prededucibile), ritenendo fondata l’eccezione di revocatoria. La società di consulenza ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla Revocatoria compenso professionale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale e stabilendo principi fondamentali in materia.

L’esenzione dalla revocatoria: pagamenti vs. contratto

Il punto centrale della controversia era l’interpretazione dell’art. 67, comma 3, lett. g) della Legge Fallimentare. Questa norma esenta da revocatoria i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali. La ricorrente sosteneva che questa esenzione dovesse estendersi anche al contratto che dava origine a tali pagamenti.

La Cassazione ha respinto questa interpretazione. La norma, per la sua formulazione letterale, protegge unicamente l’atto del pagamento, non il contratto sottostante. Pertanto, un contratto di prestazione d’opera professionale che preveda un compenso sproporzionato (superiore di oltre un quarto al valore della prestazione) rimane soggetto all’azione revocatoria generale prevista dal comma 1 dell’art. 67. L’esenzione non può tutelare chi ha approfittato dello stato di crisi dell’imprenditore per ottenere condizioni contrattuali inique.

La determinazione del compenso equo

Una volta accertata l’inefficacia del patto sul compenso a seguito della revocatoria compenso professionale, come si determina la giusta remunerazione del consulente? La Corte ha chiarito che, venendo meno l’accordo tra le parti, il giudice deve determinare il compenso secondo equità, avendo riguardo alle tariffe professionali. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente utilizzato come parametro il d.m. 140/2012, che lega il compenso al totale delle passività, riducendolo ulteriormente in considerazione del parziale svolgimento dell’attività e dell’esito negativo della procedura.

Il rigetto della prededuzione

La Corte ha anche confermato la collocazione del credito in chirografo, negando la richiesta prededuzione. Ai sensi dell’art. 111 della Legge Fallimentare, un credito sorto prima della procedura può essere considerato prededucibile solo se ‘funzionale’, ovvero se la prestazione è stata concretamente coerente con l’interesse della massa dei creditori alla conservazione del patrimonio aziendale. La valutazione di tale ‘funzionalità’ deve essere fatta ex ante. Nel caso in esame, il tribunale ha correttamente ritenuto che le attività svolte non avessero dimostrato tale finalità conservativa, non potendo quindi beneficiare del privilegio della prededuzione.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una rigorosa interpretazione delle norme fallimentari. L’esenzione dalla revocatoria per i pagamenti funzionali al concordato è un’eccezione alla regola generale della par condicio creditorum e, come tale, non può essere interpretata estensivamente. Proteggere un contratto con un compenso sproporzionato significherebbe pregiudicare la massa dei creditori a vantaggio di un singolo professionista che ha abusato della situazione di debolezza del debitore. La revoca del contratto non nega il diritto al compenso per l’opera svolta, ma lo riconduce a una misura equa, determinata dal giudice sulla base di parametri oggettivi come le tariffe professionali. Infine, il riconoscimento della prededuzione non è automatico ma richiede una prova rigorosa della ‘funzionalità’ della prestazione alla tutela dell’attivo aziendale, una prova che nel caso di specie non è stata fornita.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti indicazioni pratiche per i professionisti che assistono le imprese in crisi. L’accordo sul compenso, anche se finalizzato a un tentativo di risanamento, non è immune da contestazioni in caso di fallimento. È fondamentale che l’onorario pattuito sia proporzionato al valore e alla complessità della prestazione, per non incorrere in una successiva revocatoria compenso professionale. Inoltre, per poter aspirare alla prededuzione, è necessario che l’attività professionale sia chiaramente e programmaticamente volta a conservare o incrementare il valore del patrimonio aziendale a beneficio di tutti i creditori, e non solo a gestire la procedura concorsuale in sé.

Un contratto con un professionista per l’accesso al concordato preventivo è sempre esente da revocatoria fallimentare?
No. Secondo la Corte, l’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. g), l.fall. si applica solo ai pagamenti eseguiti per ottenere i servizi, ma non al contratto sottostante. Se il contratto prevede un compenso sproporzionato (superiore di oltre un quarto al valore della prestazione), può essere oggetto di azione revocatoria.

Se il compenso pattuito con il professionista viene dichiarato inefficace, come si calcola la sua giusta remunerazione?
Quando il patto sul compenso è reso inefficace dalla revocatoria, il giudice deve determinare l’importo dovuto. Lo fa non in base all’accordo tra le parti, ma applicando i criteri previsti dalle tariffe professionali (nel caso di specie, il d.m. 140/2012), tenendo conto dell’opera effettivamente svolta e della sua importanza.

Il credito del professionista che assiste l’impresa in crisi è sempre prededucibile in caso di successivo fallimento?
No, non è automatico. Per ottenere la prededuzione, è necessario dimostrare la ‘funzionalità’ della prestazione. Ciò significa provare, con una valutazione da farsi ex ante (cioè basata sulla situazione iniziale), che l’attività professionale era concretamente finalizzata a conservare o incrementare il valore del patrimonio aziendale nell’interesse della massa dei creditori. Se questa prova manca, il credito viene ammesso come chirografario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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