Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8900 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34886/2018 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO N 58/2015 di RAGIONE_SOCIALE
– intimato – avverso la sentenza del Tribunale di Rovigo n. 203/2018 depositata il 23/3/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/3/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 203/2018, revocava, ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall., il pagamento di € 22.241,08 effettuato dalla fallita RAGIONE_SOCIALE in favore dell’AVV_NOTAIO, ritenendo non applicabili al caso di specie le esenzioni previste dall’art. 67, comma 3, lett. a) e f), l. fall., e condannava
quest’ultimo a corrispondere tale somma in favore della procedura attrice.
La Corte d’appello di Venezia dichiarava inammissibile l’impugnazione presentata dall’AVV_NOTAIO con ordinanza ex art. 348ter cod. proc. civ..
AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di primo grado, prospettando quattro motivi di doglianza.
L’intimato fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il primo motivo di ricorso rappresenta che l’avvocato che presti o abbia prestato la sua opera professionale in sede giudiziale nei confronti del proprio assistito, pur essendo equiparabile al monopolista di cui all’art. 2597 cod. civ., non può invocare, pena la violazione del codice deontologico, gli artt. 1460 e 1461 cod. civ. per poter legittimamente rifiutare l’esecuzione della prestazione in assenza di un pagamento delle competenze dovute.
Per questa ragione il compenso erogato in favore dell’AVV_NOTAIO COGNOME non poteva essere revocato ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall., dovendosi così ritenere che la norma sia stata falsamente applicata.
Il motivo è inammissibile.
La doglianza, infatti, costituisce una novità nel contenuto delle difese presentate dall’odierno ricorrente, che non risulta aver mai prospettato al primo giudice la questione concernente l’inapplicabilità dell’art. 67, comma 2, l. fall. in ragione dell’im possibilità per il difensore di rinunciare al mandato in presenza di un inadempimento del proprio cliente.
Per di più, quand’anche ciò fosse avvenuto, la questione non risulta essere stata oggetto di impugnazione avanti alla Corte d’appello, con la conseguenza che sul punto si sarebbe comunque formato il giudicato interno ex art. 329 cod. proc. civ..
6. Il secondo motivo di ricorso si duole della violazione dell’art. 24
Cost.: il Tribunale di Rovigo e la Corte d’appello di Venezia hanno
omesso -in tesi – di considerare che il testo unico delle spese di giustizia non consente l’accesso al gratuito patrocinio delle persone giuridiche; pertanto, qualora sia revocato, ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall., il compenso dell’avvocato che ha prestato la propria opera di assistenza giudiziale in favore di una società, pur se in stato di decozione, si innescherebbe un pericoloso precedente che porterebbe gli avvocati a rifiutare a priori la propria prestazione in casi analoghi; in tal modo verrebbe leso irrimediabilmente il diritto alla difesa tecnica di una persona giuridica, benché lo stesso sia costituzionalmente garantito dalla norma denunciata come violata.
Il motivo è inammissibile.
7.1 La violazione delle norme costituzionali, infatti, non può essere prospettata direttamente con il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass., Sez. U., 25573/2020, Cass. 15879/2018, Cass. 3708/2014).
Né è possibile sostenere che la norma costituzionale richiamata sia di immediata applicazione (cfr. Cass., Sez. U., 11167/2022), dato che l’accesso al patrocinio a spese dello Stato rimane disciplinato nelle sue modalità da disposizioni con forza di legge.
7.2 Non ricorrono neppure i presupposti per dare seguito alla richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale nei termini sollecitati dal ricorrente.
Questa Corte, da tempo, ha chiarito non solo che il pagamento dei compensi ed i versamenti a titolo di fondo spese eseguiti dal debitore, poi fallito, in favore del proprio difensore non sono sottratti alla revocatoria fallimentare (Cass. 19215/2005), ma anche che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale regola, per violazione del diritto di difesa sotto il profilo della
dissuasione di qualsiasi difensore dall’assumere l’incarico difensivo, atteso che le difficoltà cui potrebbe di fatto andare incontro l’imprenditore nella ricerca di un avvocato disposto a difenderlo, oltre ad essere meramente ipotetiche ed eventuali, non dipendono dal contesto normativo, bensì dalle oggettive difficoltà economiche in cui lo stesso imprenditore si sia venuto a trovare; qualora poi, in determinate e specifiche situazioni, tali difficoltà risultino davvero tali da non consentire al debitore di rinvenire un avvocato disposto a farsi carico della necessaria assistenza legale, il diritto di difesa troverebbe comunque tutela nell’istituto del patrocinio a spese dello stato (così la medesima Cass. 19215/2005 nonché Cass. 24046/2006).
Giova sottolineare, inoltre, che le persone giuridiche insolventi, come tali dichiarate, possono accedere al patrocinio a spese dello Stato, ove ricorrano le condizioni di cui all’art. 144 d. lgs. 115/2002; la ragione per cui ciò non è dato alle compagini in bonis è perché si presuppone che le stesse non siano insolventi e dunque abbiano i mezzi per sostenersi.
Non esiste, poi, alcuna protezione costituzionale alla protrazione dell’esistenza delle persone giuridiche a dispetto della loro incapienza o dell’incapacità di raggiungere gli scopi sociali per difetto di mezzi.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 3 e 35 Cost. perché il tribunale, non applicando all’avvocato, quale collaboratore del fallito per oltre un anno per attività svolta per conto della società, l’esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., ha leso il suo diritto ad essere adeguatamente remunerato per il proprio lavoro.
Il motivo non è fondato.
9.1 Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 26244/2021), nel sistema della legge fallimentare la regola generale è quella della revocabilità dei pagamenti e negozi
posti in essere nel cd. periodo sospetto, mentre i casi di esenzione si pongono in termini di vere e proprie eccezioni.
L’eterogeneità delle situazioni, volta a volta prese in considerazione e fatte oggetto di esonero, ha come filo di unificazione la volontà di assicurare particolari interessi che il legislatore ha ritenuto superiori (cfr. Cass. 27939/2020, Cass. 4340/2020); ne consegue che l’interpretazione delle diverse situazioni di esenzione non può che rapportarsi con la ragione specifica che, ipotesi per ipotesi, viene a giustificarle, per porsi, dunque, in termini di stretta coerenza con la stessa (ovvero con il particolare interesse superiore che vi presiede). 9.2 Il disposto dell’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. prevede che non siano soggetti all’azione revocatoria ‘ i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito ‘.
La norma assicura una finalità sociale di tutela del lavoro in ogni sua forma, estendendo la tutela da revocatoria a tutti i titolari di rapporti da parasubordinazione e lavorativi di natura interinale organicamente inseriti nell’impresa; ciò nell’intento di tutelare soggetti generalmente ritenuti deboli, ma con l’effetto di favorire, anche, la conservazione dell’attività, evitando che la minaccia della revocatoria possa rappresentare un impedimento alla continuazione della prestazione di lavoro in favore d ell’impresa.
Il rapporto intercorrente tra il cliente e l’avvocato non può essere ricondotto in questo ambito, non essendo qualificabile come rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione continuata e coordinata e dovendo invece essere ascritto -in ragione del suo carattere intellettuale – all’area del lavoro professionale autonomo.
9.3 Peraltro, « ciò trova conferma nell’art. 67, comma 3, lett. g), l.f., che, nell’esentare da revocatoria i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili contratti con i professionisti solo in relazione all’accesso alle date procedure concorsuali, implicitamente presuppone la revocabilità dei pagamenti per compensi erogati dall’imprenditore
(poi fallito) per servizi diversi, come nella specie » (Cass. 13002/2019).
10. Il quarto motivo prospetta la violazione dell’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., in quanto il tribunale non ha valorizzato il fatto che il mandato era stato conferito all’avvocato dalla società fallita, cosicché l’assistenza in sede giudiziale non poteva che rappresentare normale attività di impresa.
11. Il motivo è inammissibile.
Il tribunale ha escluso la possibilità di applicare l’esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. perché ‘ il pagamento di cui si tratta non appare poter rientrare nel normale esercizio dell’impresa in relazione all’oggetto sociale perseguito ‘; ha aggiunto, poi, che ‘ in ogni caso la disposizione esaminata non appare applicabile essendo già prevista normativamente un’apposita esenzione per tale tipologia di pagamenti, ovvero quella della lett. g) sopra citata ‘.
Si tratta, all’evidenza, di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la decisione.
Nessuna contestazione è stata sollevata rispetto alla seconda ratio decidendi .
Ne discende l’inammissibilità del mezzo.
Infatti, l’omessa impugnazione di una delle autonome rationes decidendi rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. 9752/2017).
Il che rende superfluo ricordare che l’esenzione di cui alla lettera a) del comma 3 dell’art. 67 legge fall. risulta direttamente « intesa a favorire la conservazione dell’impresa nell’ottica dell’uscita dalla crisi» e che, di conseguenza, la stessa fa riferimento ai pagamenti delle «forniture » (che innervano la produzione di beni e servizi),
quali negozi immediatamente espressivi dell’esercizio dell’attività di impresa, e sempre che siano stati effettuati secondo i termini d’uso, o comunque riferibili all’oggetto tipico dell’attività dell’imprenditore, con esclusione delle operazioni che con q uell’attività non abbiano un nesso diretto (cfr. Cass. 25162/2016, Cass. 26244/2021).
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 13 marzo 2024.