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Revocatoria compenso avvocato: quando è a rischio?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8900/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un legale contro la revocatoria del compenso ricevuto da una società poi fallita. La Corte ha chiarito che il pagamento non rientra né tra le prestazioni di collaboratori esenti da revocatoria, né tra gli atti di normale esercizio d’impresa, confermando la piena applicabilità dell’azione di revocatoria del compenso avvocato in questi contesti.

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Revocatoria compenso avvocato: la Cassazione chiarisce i limiti

Il pagamento della parcella di un avvocato da parte di un cliente che successivamente fallisce è un’eventualità che può creare notevoli preoccupazioni per il professionista. La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 8900 del 4 aprile 2024 affronta proprio il tema della revocatoria del compenso dell’avvocato, stabilendo principi chiari sulla non applicabilità di alcune esenzioni previste dalla legge fallimentare. Questa decisione sottolinea come, nella maggior parte dei casi, tali pagamenti possano essere recuperati dalla procedura fallimentare a tutela della parità di trattamento tra i creditori.

I Fatti di Causa: Un Pagamento Contestato

Il caso riguarda un avvocato che aveva ricevuto un pagamento di oltre 22.000 euro da una società per l’assistenza legale fornita. Successivamente, la società veniva dichiarata fallita e il curatore avviava un’azione revocatoria per recuperare la somma versata al professionista. Il Tribunale accoglieva la domanda del curatore, ordinando all’avvocato la restituzione della somma. La decisione si basava sulla constatazione che non fossero applicabili le esenzioni alla revocatoria previste dalla legge fallimentare, in particolare quelle per atti compiuti nell’esercizio dell’impresa e per i pagamenti a collaboratori. Dopo che la Corte d’Appello dichiarava inammissibile l’impugnazione, il legale ricorreva in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Revocatoria del compenso avvocato

Il professionista ha basato il suo ricorso su quattro principali argomentazioni, cercando di sottrarre il suo compenso alla revocatoria:
1. Impossibilità di rifiutare la prestazione: Sosteneva che l’avvocato non può rifiutare la propria opera, e quindi il pagamento ricevuto non dovrebbe essere revocabile.
2. Violazione del diritto di difesa: Affermava che la revocatoria del compenso disincentiverebbe i legali dall’assistere imprese in crisi, violando il diritto costituzionale alla difesa.
3. Applicabilità dell’esenzione per collaboratori: Chiedeva di essere considerato un “collaboratore” della società, i cui pagamenti sono esentati dalla revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. f) della legge fallimentare.
4. Atto di normale esercizio dell’impresa: Riteneva che il pagamento per l’assistenza legale costituisse un atto rientrante nel “normale esercizio dell’attività d’impresa” del cliente, esente da revocatoria secondo l’art. 67, comma 3, lett. a).

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. Le motivazioni della Corte sono state precise e articolate su ogni punto.

In primo luogo, la Corte ha definito inammissibile il primo motivo perché sollevato per la prima volta in Cassazione, costituendo una difesa nuova e non precedentemente discussa.

Sul secondo motivo, relativo alla violazione del diritto di difesa, la Corte ha chiarito che una presunta incostituzionalità di una norma non può essere un motivo diretto di ricorso, ma deve essere sollevata come eccezione specifica. Ha inoltre giudicato la questione manifestamente infondata, ricordando che anche le persone giuridiche insolventi possono accedere al patrocinio a spese dello Stato, garantendo così il diritto alla difesa.

La Corte ha poi affrontato la questione cruciale dell’esenzione per i “collaboratori”. Ha stabilito che questa norma è finalizzata a proteggere lavoratori e figure parasubordinate organicamente inserite nell’impresa. L’avvocato, in quanto professionista autonomo il cui rapporto si basa su un mandato intellettuale, non può essere ricondotto a tale categoria. Pertanto, il pagamento del suo compenso non gode di questa specifica tutela.

Infine, riguardo all’esenzione per gli atti di normale esercizio dell’impresa, la Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile per una ragione processuale: il Tribunale aveva basato la sua decisione su una doppia motivazione (una ratio decidendi plurima) e il ricorrente ne aveva contestata solo una, rendendo l’altra definitiva e sufficiente a sostenere la sentenza.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce un principio consolidato: i pagamenti dei compensi professionali agli avvocati, effettuati da un’impresa nel cosiddetto “periodo sospetto” prima del fallimento, sono generalmente soggetti all’azione revocatoria. Le esenzioni previste dalla legge fallimentare hanno una portata specifica e non possono essere estese analogicamente alla prestazione legale autonoma. Questa ordinanza rappresenta un importante monito per i professionisti, che devono essere consapevoli del rischio di revocatoria quando assistono clienti in situazioni di crisi finanziaria. La regola generale rimane quella della revocabilità, a garanzia della par condicio creditorum, ovvero la parità di trattamento di tutti i creditori del soggetto fallito.

Il compenso pagato a un avvocato da una società poi fallita può essere revocato?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che, come regola generale, il pagamento del compenso di un avvocato effettuato da un cliente nel periodo antecedente al fallimento è soggetto all’azione revocatoria fallimentare, in quanto non rientra nelle specifiche esenzioni previste dalla legge.

La prestazione dell’avvocato rientra tra quelle dei “collaboratori” esenti da revocatoria?
No. La Corte ha chiarito che l’esenzione prevista per i pagamenti a “dipendenti ed altri collaboratori” (art. 67, comma 3, lett. f, l. fall.) non si applica agli avvocati, poiché questi operano come professionisti autonomi in base a un mandato intellettuale e non come figure parasubordinate inserite organicamente nell’impresa.

Il pagamento della parcella di un avvocato è considerato un atto di “normale esercizio dell’impresa” del cliente?
No, secondo la decisione del tribunale di primo grado (non efficacemente contestata in Cassazione), il pagamento per l’assistenza legale non appare rientrare nel normale esercizio dell’impresa in relazione all’oggetto sociale perseguito, specialmente se esistono altre norme specifiche (come la lett. g dell’art. 67) che regolano i pagamenti ai professionisti in contesti concorsuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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