Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7565 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7565 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19753/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in COSENZA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
REGIONE CALABRIA , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in REGGIO CALABRIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
Oggetto: Pubblica amministrazione – Revoca finanziamenti
R.G.N. 19753/2023
Ud. 12/03/2025 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 420/2023 depositata il 03/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 420/2023, pubblicata in data 3 aprile 2023, la Corte d’appello di Catanzaro, nella regolare costituzione dell’appellata REGIONE CALABRIA, ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME titolare dell’omonima azienda agricola, nei confronti della sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 155/2020, pubblicata in data 27 gennaio 2020.
Quest’ultima, a propria volta aveva respinto l’opposizione proposta dalla medesima NOME COGNOME avverso l’ingiunzione di pagamento n. 813 del 5 novembre 2010, con la quale la REGIONE CALABRIA le aveva intimato il pagamento della somma di € 61.767,3 1 a titolo di restituzione -comprensiva di sanzioni ed interessi – del finanziamento erogato ai sensi della ‘Legge 215/90 agevolazioni all’imprenditoria femminile IV Bando 2000 -Concessione contributo in conto capitale a favore della Ditta COGNOME NOME -C.da Buda -87031 Aiello Calabro (CS) -Progetto n. 2001/CL1/1481, Macrosettore: Agricoltura’ , successivamente revocato con decreto dirigenziale n. 11 del 16 gennaio 2009.
NOME COGNOME a fondamento dell’opposizione, aveva dedotto l’illegittima del decreto di revoca del contributo erogato nella misura di € 53.628,60, deducendo che:
-la verifica dell’osservanza del parametro relativo al dato occupazionale (numero complessivo dei dipendenti occupati e numero delle donne occupate) andava effettuata con riferimento all’anno 2004 e non all’anno 2005;
-l’ente regionale aveva revocato il contributo nonostante l’inadempimento dedotto comunque contestato – fosse di lieve entità e come tale inidoneo a giustificare la revoca totale del contributo, potendo al più dare luogo alla revoca parziale;
-la revoca era tardiva in quanto adottata oltre il termine di cinque anni dall’erogazione del contributo, quando si era ormai consolidato il legittimo affidamento al mantenimento del contributo.
Costituitasi la REGIONE CALABRIA, il Tribunale aveva disatteso l’opposizione .
La Corte d’appello di Catanzaro ha disatteso i motivi di gravame articolati dall’odierna ricorrente, in quanto:
-ha affermato che l”anno a regime’ con riferimento al quale doveva verificarsi il rispetto del livello occupazionale doveva essere individuato nel 2005, richiamando sul punto la circolare n. 1138443 del 2 febbraio 2001 emanata dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato ed osservando che, sulla scorta della medesima, emergeva che la ‘data di ultimazion e’ dell’investimento andava individuata nella data dell’ultimo titolo di spesa – nel caso di specie il 22 marzo 2004 individuato dall’istanza presentata dalla stessa NOME COGNOMEmentre la data di entrata ‘a regime’ andava individuata sempre nell’anno 2004, essendosi in tale anno proceduto allo studio di fattibilità ed alla progettazione e
realizzazione del sito web aziendale, con conseguente individuazione dell’anno ‘a regime’ nel 2005;
-ha disatteso la tesi -ritenuta formulata dall’appellante per la prima volta in appello -secondo la quale la data di completamento dell’investimento avrebbe dovuto essere anticipata al 2002 (avendo l’appellant e effettuato in quell’anno gli acquisiti più rilevanti), argomentando che, sulla scorta sempre della circolare n. 1138443, ‘l’entrata a regime’ andava fissata nel momento in cui l’impresa, completati gli investimenti, è in grado di svolgere l’attività normale d’impresa e di raggiungere gli obiettivi soprattutto con riferimento al numero degli occupati;
-pur concordando con l’appellante sul fatto che il giudice di prime cure aveva confuso il profilo dei requisiti di accesso e di mantenimento dei contributi previsti a favore delle imprese a ‘prevalente partecipazione femminile’ con la vera inadempienza cont estata all’appellante e cioè lo scostamento degli indicatori occupazionali – ha tuttavia ritenuto che, ai fini della revoca del contributo fosse sufficiente lo scostamento in diminuzione tra gli indicatori rilevati nell’esercizio a regime e quelli posti a base per la formazione delle graduatorie, scostamento nella specie pacificamente sussistente nell’esercizio 2005 non avendo la ricorrente assunto in detto anno sei unità di sesso femminile;
-ha ritenuto, sempre sulla scorta della circolare che l’entità dello scostamento – superiore al 30% – non lasciasse margini di discrezionalità all’amministrazione competente sul tipo di sanzione applicabile;
-ha escluso che il provvedimento di revoca fosse tardivo in quanto intervenuto a distanza di oltre cinque anni dal
provvedimento di concessione del beneficio, osservando che l’inadempimento dell’odierna ricorrente atteneva alla fase esecutiva del rapporto di finanziamento senza, conseguentemente, la revoca comportasse una nuova discrezionale valutazione comparativa degli interessi pubblici.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre NOME COGNOME
Resiste con controricorso REGIONE CALABRIA.
5. In data 13 dicembre 2023, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza della parte ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. -cui si può rinviare anche per la sintesi dei motivi di ricorso -si osserva testualmente:
‘(…) Con il primo motivo di ricorso la ricorrente critica la sentenza impugnata in ordine al rigetto del suo primo motivo di appello, relativo all’errata individuazione dell’anno a regime da prendere a riferimento per la valutazione dell’osservanza dei par ametri e denuncia violazione e/o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) di norme di diritto, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione alla interpretazione ed applicazione della Circolare n. 1138443 del 2 febbraio 2001.
Il motivo presenta concorrenti profili di inammissibilità.
In primo luogo, il motivo prospetta la violazione dei canoni ermeneutici (ritenuti applicabili anche all’atto amministrativo generale) in modo del tutto generico e svincolato da specifici passaggi della sentenza impugnata in cui l’uno o altro criterio inte rpretativo sarebbe stato violato o mal applicato e scivola perciò inevitabilmente in una censura di merito, con la quale si rimprovera alla Corte territoriale di aver adottato una interpretazione del contratto diversa da quella sostenuta dalla parte ricorr ente. L’opera dell’interprete mira a determinare una realtà storica ed obiettiva, ossia la volontà delle parti espressa nel contratto, e pertanto costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di le gittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 cod.civ. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Perciò, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017; Sez. 1, n. 27136 del
15.11.2017; Sez. 2, n. 18587, del 29.10.2012; Sez. 6-3, n. 2988, del 7.2.2013).
La denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto (o del provvedimento) non può costituire lo schermo, attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni che appartengono in via esclusiva al giudizio di merito (Sez.2, n.30686 del 25.11.2019); non è quindi certamente sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma è necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito.
In secondo luogo, la ricorrente, a ben vedere, contesta l’accertamento del fatto compiuto dai giudici del merito (tra l’altro in modo conforme, sì da precludere la denuncia del vizio motivazionale ex art.360, comma 4, c.p.c., già art.348-ter, comma 5, c.p.c.) circa il momento di ultimazione dell’investimento e il momento di entrata a regime dell’iniziativa, inteso come il momento in cui gli investimenti oggetto del programma e tutti gli altri fattori produttivi sono in grado di assicurare il normale svolgim ento dell’attività e il raggiungimento degli obiettivi previsti soprattutto con riferimento al numero di occupati.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente critica la sentenza impugnata in ordine al rigetto del suo primo motivo di appello, relativo all’errata individuazione dell’anno a regime da prendere a riferimento per la valutazione dell’osservanza dei parame tri e denuncia violazione e/o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) di norme di diritto, violazione art. 1375 c. civ. e 1455 c.c., violazione art. 20 d.p.r. 314/2000.
La ricorrente si duole del mancato accoglimento del motivo d’appello relativo alla lievità dell’inadempimento e alla sproporzione della sanzione irrogata.
Il motivo appare infondato.
La Corte di appello si è riferita alla circolare (solo impropriamente qualificandola come dettato normativo), che ben può articolare e specificare i limiti di scostamento rilevanti ai fini della revoca; cosa del resto che ha fatto in conformità a quanto pr evisto dall’art.4 del d.m. Industria, commercio e artigianato, del 2.2.2001, emesso ai sensi dell’art.10 del d.p.r. 314/2000, richiamato dall’art.20, comma 1, lettera d) dello stesso decreto. Secondo tale decreto del 2.2.2001 il valore di ciascun criterio risultante a consuntivo può subire scostamenti in diminuzione, rispetto ai valori posti a base per la formazione della graduatoria, non superiori a 30 punti percentuali, mentre la media degli scostamenti in diminuzione dei criteri interessati non può superare i 20 punti percentuali e il superamento dei predetti limiti di scostamento determina la revoca delle agevolazioni, ai sensi dell’art. 20, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2000, n. 314.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente critica la sentenza impugnata in ordine al rigetto del suo primo motivo di appello, relativo all’errata individuazione dell’anno a regime da prendere a riferimento per la valutazione dell’osservanza dei parametr i e denuncia violazione e/o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) di norme di diritto e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.
Il motivo (per vero erroneamente dedotto con riferimento al n.3 e non al n.4 dell’art.360) presenta profili di inammissibilità commisti a profili di infondatezza.
Non risulta innanzitutto che l’allegazione in questione sia stata proposta in primo grado; in secondo luogo, la Corte si è pronunciata sulla determinazione dell’anno a regime e non era tenuta a prendere in considerazione tutte le argomentazioni proposte dalle parti.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13.8.2018; Sez. 5, n. 29191 del 6.12.2017; Sez. 1, n. 24155 del 13.10.2017); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia, pur in difetto di un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6 – 1, n. 15255 del 4.6.2019).
Inoltre non si vede come la ricorrente possa fondatamente dolersi del fatto che siano state prese in considerazione spese di investimento che, a suo dire, avrebbero dovuto essere escluse, visto che l’effetto deprecato scaturisce da suo fatto proprio ed essa non ha tempestivamente contestato la decisione della Regione asseritamente errata.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente critica la sentenza impugnata in ordine al rigetto del suo secondo motivo di appello, relativo alla intempestività della revoca adottata dalla Regione e denuncia violazione e/o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) di
norme di diritto e violazione dell’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 (inserito dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15) vigente ratione temporis, violazione art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge Finanziaria per il 2005), violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 bis, della Legge 241/1990, violazione art. 1 Prot. Add. CEDU.
La ricorrente ricorda di aver eccepito che l’atto di revoca del finanziamento era viziato per intempestività perché l’atto di revoca è stato adottato dopo oltre 5 anni dall’adozione del provvedimento riconoscimento del contributo e dopo che, la stessa Regione, con decreto 2324/2005 aveva erogato l’intero contributo e aveva altresì dato atto della favorevole verifica contabile ed amministrativa e della coerenza dell’investimento rispetto alle finalità perseguite dal bando.
Il motivo non si confronta adeguatamente con la puntuale motivazione adottata dalla Corte territoriale, basata sul constatato successivo inadempimento della ricorrente e sulla natura di atto dovuto della revoca, rispetto al quale la beneficiaria non può opporre alcun legittimo affidamento al mantenimento del contributo non avendo raggiunto gli obiettivi occupazionali per i quali l’aveva ottenuto.
Gli ulteriori riferimenti normativi appaiono inconferenti.
(…)’ . .
Ritiene questa Corte che la proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. meriti piena condivisione e conferma, non valendo a condurre a diversi esiti le deduzioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., in relazione alle quali si può osservare, in sintesi, che:
quanto al primo motivo, le deduzioni della ricorrente in alcun modo censurano l’ulteriore e condivisibile -rilievo contenuto nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., per cui le
argomentazioni della ricorrente medesima finiscono per appuntarsi all’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito circa il momento di ultimazione dell’investimento ed il momento di entrata a regime dell’iniziativa;
quanto al secondo motivo, si deve osservare che:
radicalmente inesatta è l’affermazione contenuta nella memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. -per cui nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. si verrebbe ad asserire ‘ che la circolare applicativa (…) stabilisce ipotesi identiche al tessuto normativo applicabile ‘ , osservandosi, semmai, nella proposta che la circolare poteva e può ‘articolare e specificare i limiti di scostamento rilevanti ai fini della revoca’ ;
è lo stesso art. 4 del Decreto Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato 2 febbraio 2001 ( ‘Individuazione dei criteri di priorità di cui all’art. 10 del D.P.R. 28 luglio 2000, n. 314, da utilizzare per la formazione delle graduatorie delle domande ammissibili alle agevolazioni a favore dell’imprenditoria femminile.’ ) a stabilire – al proprio art. 4, ed in esecuzione di quanto stabilito dal D.P.R. 28 luglio 2000, n. 314 -che ‘Il valore di ciascun criterio risultante a consuntivo può subire scostamenti in diminuzione, rispetto ai valori posti a base per la formazione della graduatoria, non superiori a 30 punti percentuali, mentre la media degli scostamenti in diminuzione dei criteri interessati non può superare i 20 punti percentuali ‘ e che ‘ Il superamento dei predetti limiti di scostamento determina la revoca delle agevolazioni, ai sensi dell’art. 20, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2000, n.
314’ , fissando in tal modo dei precisi parametri che la successiva Circolare ha solo ulteriormente specificato, delimitando i criteri di valutazione rimessi alla p.A.;
quanto al terzo motivo, la memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. evita, sostanzialmente, di confrontarsi con il duplice -e condivisibile – rilievo, contenuto nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., per cui:
non risulta che il profilo dedotto nel motivo fosse stato sollevato nel giudizio di prime cure, rilievo, questo, cui la ricorrente replica in memoria sostenendo, in modo sostanzialmente apodittico, che tale profilo costituiva mera difesa, non avvedendosi che nella specie si pone un tema non di mera operatività delle preclusioni processuali (come, appunto, sembra opinare la ricorrente) bensì di rispetto del canone di specificità del ricorso ex art. 366 c.p.c., come da questa Corte costantemente affermato (Cass. Sez. L Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 -Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013);
‘non si vede come la ricorrente possa fondatamente dolersi del fatto che siano state prese in considerazione spese di investimento che, a suo dire, avrebbero dovuto essere escluse, visto che l’effetto deprecato scaturisce da suo fatto proprio ed essa non ha tempestivamente contestato la decisione della Regione asseritamente errata’ ;
quanto al quarto motivo, le deduzioni della ricorrente, nell’invocare il legittimo affidamento e nel dedurre la violazione dell’art. 1 CEDU, omettono di considerare che l’erogazione di finanziamenti finalizzati ad interventi di agevolazione nel settore dell’economia resta comunque subordinata all’originaria sussistenza e -ove richiesto -alla successiva persistenza delle condizioni stabilite dalla legge, senza, quindi, che possa integrarsi alcun affidamento nel privato nell’incondizionata conservazione dei finanziamenti e senza che il privato possa considerare i finanziamenti come ‘suoi beni’ ex art. 1 Prot. Add. Conv. EDU, essendo, semmai, compito della p.A. -nel rispetto, a tacer d’altro, del principio di pareggio di bilancio di cui all’art. 81 Cost. e del canone di buon andamento della p.A. di cui all’art. 97 Cost. -procedere al recupero delle risorse pubbliche erogate in assenza dei presupposti di legge ed in tal modo sottratte ad altri aventi diritto.
Quanto alla sollecitazione a disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia EU, la stessa non può trovare accoglimento, potendosi richiamare, in punto di rinvio pregiudiziale c.d. interpretativo, i principi fissati dalla CGUE (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, causa C-283/81, Cilfit ), e cioè, in sintesi, che non è sufficiente che una parte sostenga che la controversia verte su una questione d’interpretazione del diritto UE perché l’organo giurisdizionale interessato – anche se di ultima istanza – sia tenuto a considerare che sussiste una questione da sollevare ai sensi dell’art. 267 TFUE (da ultimo CGUE, ord. 14 novembre 2013, causa C-257/13, Mlamali , punto 23).
Il ricorso deve quindi essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore della ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 3.700,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente , della somma equitativamente determinata in € 3.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima