Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15423 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15423 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31888/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 389/2020 depositata il 4/5/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/5/2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
Per quanto qui interessa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE stipulavano il 28 aprile 2009 un contratto in cui RAGIONE_SOCIALE si obbligava nei confronti di controparte alla fornitura e alla revisione di una macchina fustellatrice per un corrispettivo di euro 396.000. RAGIONE_SOCIALE cedeva il conseguente credito a Banca Ifis S.p.A.; RAGIONE_SOCIALE però successivamente citava davanti al Tribunale di Macerata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e Banca Ifis, affermando che la macchina aveva gravi vizi e dunque proponendo domande di risoluzione del contratto, di conseguente rimborso di quanto già pagato e di risarcimento dei danni; le convenute resistevano, la banca presentando anche domande riconvenzionali nei confronti dell’attrice.
Il Tribunale, con sentenza del 19 agosto 2014, dichiarava risolto il contratto, condannando pertanto RAGIONE_SOCIALE a restituire all’attrice la somma di euro 90.000 oltre interessi quale parte del corrispettivo versato e rigettando ogni altra domanda.
La banca proponeva appello principale; RAGIONE_SOCIALE resisteva e proponeva appello incidentale; RAGIONE_SOCIALE rimaneva contumace.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 4 maggio 2020, rigettava l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava RAGIONE_SOCIALE a restituire a RAGIONE_SOCIALE quale ulteriore parte del corrispettivo la somma di euro 198.000 oltre interessi.
La banca ha presentato ricorso, sulla base di un unico motivo. RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso, e ha depositato memoria.
Considerato che:
L’unico motivo del ricorso denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1375, 1175, 1176 e 2036 c.c. ‘in relazione alla domanda subordinata di condanna al risarcimento del danno proposta dalla banca’ .
1.1 La ricorrente afferma che il giudizio d’appello ‘ha avuto ad oggetto unicamente la pronuncia relativa al rigetto’ delle domande, proposte dalla banca stessa in via riconvenzionale subordinata, di condanna di RAGIONE_SOCIALE a corrisponderle la somma di euro 198.000 di cui avrebbe ‘riconosciuto alla debenza’, oltre interessi ai sensi del d.lgs. 231/2002, nonché, in ulteriore subordine, di condanna della suddetta a risarcirle il danno nella misura di euro 154.000 o quella di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi. Entrambe queste domande sarebbero state ‘fondate sull’efficacia confessoria e ricognitoria del riconoscimento di debito sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE successivamente alla cessione del credito’.
Mentre il primo giudice aveva negato la valenza confessoria della dichiarazione di RAGIONE_SOCIALE, il giudice d’appello l’aveva riconosciuta, ma poi, pur avendo dato rilievo anche ‘al conseguente affidamento della banca circa l’effettiva esistenza del credito oggetto di cessione’, era caduto nell’errore del Tribunale affermando che la confessione era inefficace perché viziata da errore per il carattere asseritamente occulto dei vizi della fornitura.
Afferma la ricorrente che ‘la suddetta statuizione non è oggetto del presente ricorso’, costituendo un accertamento di fatto di cui non è ammissibile chiedere
riesame al giudice di legittimità. Tuttavia, la corte territoriale ha disatteso il motivo d’appello concernente il rigetto della domanda risarcitoria proposta dall’attuale ricorrente , ritenendo che ‘non emergono elementi tali da cui dedurre una negligenza, imprudenza o imperizia del dichiarante, fonte di responsabilità risarcitoria, per gli stessi motivi per cui è dimostrato l’errore che consente la revoca della confessione’.
Si sarebbe dinanzi a una motivazione ‘meramente apparente e palesemente contraddittoria’, oltre che non rispettosa degli articoli 1375, 1175, 1176 e 2043 c.c.: il giudice d’appello, infatti, ‘pur dando atto della natura frettolosa e parziale delle verifiche poste in essere da RAGIONE_SOCIALE, che come tali hanno determinato l’errore in relazione al cui accertamento è stata revocata la confessione, non ha, inspiegabilmente, ritenuto di considerare tale comportamento come rilevatore di negligenza’, e quindi avrebbe offerto una motivazione ‘assolutamente incoerente ed errata laddove non attribuisce una condotta oggettivamente negligente, impotente e imperita’ a RAGIONE_SOCIALE, la quale in realtà avrebbe ‘reso intenzionalmente (o, il che è equivalente, con gravissima negligenza) una dichiarazione mendace’ all’attuale ricorrente. Sarebbe pertanto ‘indubitabile’ che l’errore di RAGIONE_SOCIALE, ‘tale da determinare la revoca della confessione’ , è ‘unicamente ascrivibile alla negligenza e superficialità con cui è stato eseguito, da parte di RAGIONE_SOCIALE, il collaudo’, che lo stesso giudice d’appello avrebbe accertato ‘<> e limitato a <> ‘.
Nessuna negligenza sarebbe invece imputabile all’odierna ricorrente, il cui danno poi sarebbe dimostrato in via documentale. Occorrerebbe pertanto una ‘riforma della sentenza impugnata’ nella parte in cui ha ritenuto che il comportamento di RAGIONE_SOCIALE cioè ‘avere reso dichiarazioni confessorie in merito alla regolarità della fornitura ed alla liquidità ed esigibilità del credito dopo aver svolto verifiche frettolose e parziali’ – non integrasse negligenza, imperizia e imprudenza, e quindi decidere nel merito giacché risulterebbero provati il fatto illecito consistente nell’aver reso la confessione, il nesso causale tra questo e la erogazione da parte della banca di euro 154.000 a RAGIONE_SOCIALE e il conseguente danno consistente in tale erogazione di somma mai recuperata.
1.2 Il motivo non ha pregio, in quanto la ricorrente non impugna – e lo dichiara expressis verbis – la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente una valida revoca per errore della confessione da parte di RAGIONE_SOCIALE. In questo modo si è formato un giudicato interno che osta quel che in realtà la ricorrente chiede, ovvero gli effetti della valida revoca della confessione, che comportano l’esclusione, in ultima analisi, di ogni elemento soggettivo censurabile nella condotta della revocante RAGIONE_SOCIALE (cfr., ex multis , Cass. 17716/2020, Cass. 26985/2013, Cass. 26970/2005, Cass. 15618/2004 e Cass. 2010/2002).
La ricorrente avrebbe dovuto, evidentemente, rivolgere censura anche avverso tale decisione del giudice d’appello, non potendo infatti eluderla collocandosi sul piano motivazionale in ordine ad una domanda ulteriore che ne è giuridicamente dipendente. Non può, in conclusione, parlarsi di apparenza e contraddittorietà della motivazione, la quale si basa proprio sul giudicato interno.
Da ultimo va rilevato che, pur avendo espressamente dichiarato di proporre un unico motivo – quello appena disatteso -, la ricorrente inserisce nella parte finale del ricorso alcuni argomenti sotto il titolo ‘sulla condanna al rimborso delle spese di lite’, lamentando il mancato accoglimento del motivo d’appello avverso la sua condanna alle spese da parte del giudice di prime cure anziché compens are, e aggiungendo che la corte territoriale ha ‘ribadito’ la condanna anche per le spese di secondo grado, il che consisterebbe in una manifestazione di ‘irragionevolezza’ e integrerebbe ‘la certa violazione dell’art. 91 c.p.c.’.
Dovendosi considerare ciò, in effetti, un ulteriore motivo, ne è evidente l’infondatezza, in quanto, sia in primo grado, sia in secondo grado, il giudice d’appello ha seguito in modo corretto il principio della soccombenza, non essendovi d’altronde alcun obbligo di compensazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 5500, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello del ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2024